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Tragedia Yemen, esiste una fine? Il racconto dell’inviato dell’ONU Martin Griffiths

Martin Griffiths in un'intervista rivela le sue speranze e preoccupazioni per i civili yemeniti, da anni vittime di gravissime violazioni dei diritti umani

Un News CentrebyUn News Centre
Tragedia Yemen, esiste una fine? Il racconto dell’inviato dell’ONU Martin Griffiths

L'inviato speciale in Yemen, Martin Griffiths, al Consiglio di Sicurezza dell'ONU (Foto delle Nazioni Unite di Manuel Elias)

Time: 9 mins read

The interview in English here.

Traduzione in italiano a cura di Alessandra Loiero

Gli scontri in Yemen sono iniziati nel lontano 2015, quando i ribelli hanno preso il controllo del paese del Nord, tra cui la capitale Sanaa, costringendo il presidente Abdrabbuh Mansour Hadi a fuggire.

Preoccupati per la destabilizzazione della regione e per l’aumento del potere di una forza vicina all’Iran, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (UAE) collaborano all’interno di una coalizione volta a ristabilire il governo di Hadi e nella lotta contro i ribelli sciiti Huthi. Gli Huthi sono un gruppo dello Yemen, nato in funzione anti-governativa, che in questi anni ha dato vita a un’organizzazione armata che si è definita “Partigiani di Dio” (in arabo Ansar Allah).

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono, però, divisi su un secondo fronte di battaglia nel Sud del Paese.

Milioni di persone soffrono la fame e la malnutrizione, dando origine ad una delle peggiori crisi umanitarie del mondo. Almeno i due terzi dei civili, sono stati uccisi in questi sei anni di guerra civile, e gli yemeniti hanno bisogno di costanti aiuti umanitari per sopravvivere.

Numerosi tentativi di negoziati di pace, si sono susseguiti nel tempo, senza che abbiano mai avuto successo.

Costruzioni danneggiate dai conflitti in Yemen (foto di Mohammed Awadh)

L’arrivo della pandemia non ha però fermato la guerra. Gli scontri proseguono a dispetto del cessate il fuoco iniziato dall’Arabia Saudita per limitare l’impatto del coronavirus.

Per questo l’intervento di Martin Griffiths, inviato speciale delle Nazioni Unite, per mediare un accordo negoziato e porre fine alla guerra, è diventato ancora più urgente. La pandemia minaccia le condizioni dei civili yemeniti, ora più che mai.

Mercoledì 15 luglio, Martin Griffiths ha iniziato l’intervista per l’ONU, condotta via e-mail, con un aggiornamento sullo stato di avanzamento dei negoziati di pace.

“Il processo è iniziato a marzo, quando il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha invitato coloro che combattevano in Yemen a cessare le ostilità e a concentrarsi sulla lotta contro la minaccia di COVID-19, usando questa opportunità per raggiungere una soluzione politica. Il governo dello Yemen e Ansar Allah, così come altri partiti yemeniti e la società civile, hanno accolto con favore l’appello del Capo dell’ONU.

Alla fine di marzo, il mio ufficio, con il governo dello Yemen e Ansar Allah, ha proposto progetti di accordi per un cessate il fuoco a livello nazionale, misure umanitarie ed economiche e ha sollecitato l’urgente ripresa del processo politico volto a porre definitivamente fine al conflitto.

Rania e la sua figlia maggiore, Amani, davanti l’entrata della loro casa nel campo per sfollati di Lahj, Yemen. (Photo WFP/Mohammed Awadh)

All’inizio di aprile, abbiamo ricevuto un feedback iniziale da entrambe le parti. Dopo aver esaminato le posizioni, abbiamo condiviso con loro una bozza, che è stata rivista a metà aprile, in modo da conciliare le loro opinioni. Molti negoziati bilaterali si sono susseguiti nei mesi a partire da aprile. Il processo è in corso e il testo continuerà a subire costanti cambiamenti, almeno fino a quando il negoziato sarà in trattativa.

Il processo è stato lungo e impegnativo, soprattutto perché viene condotto principalmente in modo virtuale. È molto difficile negoziare un accordo così delicato in questo clima di sfiducia tra le parti, e continue ostilità militari su tutti i fronti.

È mia responsabilità, in quanto mediatore, colmare il divario tra le posizioni delle parti; non importa quanto sia complicato,  ma è necessario raggiungere un compromesso che soddisfi le aspirazioni del popolo yemenita. Non rinuncerò alla ricerca della fine dei combattimenti, alle misure per alleviare la sofferenza del popolo e alla ripresa di un dialogo pacifico volto a porre fine al conflitto. Finché le parti resteranno impegnate nel processo, c’è una possibilità di pace nello Yemen”.

Jabra, bambina di 7 anni, che in Yemen pratica le misure per proteggersi dalla pandemia (foto UNICEF)

“In che modo la Dichiarazione congiunta contribuisce a portare pace e prosperità nello Yemen?”

“La dichiarazione congiunta non è di per sé una fine al conflitto. Tuttavia, sarebbe un passo importante verso il raggiungimento di un immediato cessate il fuoco a livello nazionale in Yemen, alleviando così la sofferenza degli yemeniti e aprendo la strada a colloqui di pace volti a porre fine al conflitto permanentemente.

Il cessate il fuoco della Dichiarazione comune è da tempo atteso. Da gennaio abbiamo assistito ad una rinnovata ondata di escalation militare in diverse parti del paese. Solo due giorni fa, sette bambini e due donne sono stati uccisi a seguito di un attacco aereo ad Hajjah. Gli yemeniti sono costretti a far fronte alle terribili conseguenze di questa guerra, lottando anche con una difficoltosa economia e uno scoppio devastante del coronavirus.

Anche le misure umanitarie ed economiche incluse nella Dichiarazione comune sono attese da tempo. La Dichiarazione prevede gli impegni e delinea i passi da seguire, tra le altre misure: la creazione di un’unità operativa congiunta tra il governo dello Yemen e Ansar Allah con il sostegno dell’Organizzazione mondiale della sanità per garantire la consegna di una risposta efficace e coordinata ai focolai di l COVID- 19 in tutto lo Yemen; il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, che sono nella banca dati sui salari 2014 e non hanno ricevuto i loro stipendi; il rilascio di tutti i prigionieri e detenuti legati al conflitto, una mossa che è diventata ancora più urgente con la diffusione di COVID-19 e altre malattie nello Yemen; apertura delle principali strade di accesso essenziali all’interno e tra i governatorati; l’apertura dell’aeroporto di Sana’a e l’allentamento delle restrizioni all’ingresso delle navi portacontainer commerciali, e  anche delle navi che trasportano gas e petrolio, attraverso i porti di Hudaydah, garantendo contemporaneamente il rispetto dell’embargo sulle armi imposto dal Consiglio di Sicurezza; e garantire la sicurezza della nave cisterna SAFER, che è rimasta bloccata a Ras Issa negli ultimi 5 anni, minacciando di provocare una grande fuoriuscita di petrolio: una catastrofe ambientale per lo Yemen e i paesi vicini.

Il mio ufficio continua a lavorare intensamente su alcune di queste misure indipendentemente dai negoziati in corso, compresa la questione SAFER, perché sono urgenti e necessari. Se le parti decidessero di rispondere a queste esigenze umanitarie, non solo allevierà la sofferenza degli yemeniti, ma segnerà anche un significativo inizio verso il ripristino della fiducia tra le parti.

Infine, e forse più importante, la Dichiarazione impegna le parti a riprendere con urgenza i colloqui di pace basati sui tre riferimenti, che è l’unico modo per interrompere la violenza del passato e porre fine a questo conflitto in modo definitivo e sostenibile.

Senza un orizzonte politico e senza progressi sulla strada politica, il cessate il fuoco e qualsiasi misura concordata nella Dichiarazione congiunta finiranno inevitabilmente per crollare. Abbiamo già assistito a questo in Yemen e non dobbiamo permettere che accada di nuovo.

Esistono sempre punti di convergenza su cui può basarsi un processo di mediazione. Lo Yemen non è diverso. Continueremo a lavorare con le Parti per trovare un percorso consensuale, raggiungere questi obiettivi comuni e aprire la strada per porre fine a questo conflitto”.

Martin Griffiths inviato speciale dell’ONU in Yemen e il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres (Svezia, Dicembre 2018)

“Le Nazioni Unite considerano l’inclusività come un principio fondamentale per la costruzione della pace. Come sta coinvolgendo le varie parti interessate e i diversi gruppi della società yemenita, tra cui donne e giovani?”

“Il modus operandi virtuale che COVID19 ci ha obbligato a seguire, ci ha permesso di conoscere nuovi strumenti di inclusione che ci hanno aperto gli occhi sotto molti aspetti. Dall’inizio del blocco a metà marzo, abbiamo lanciato un piano di inclusione digitale con lo scopo di informare regolarmente vari gruppi yemeniti sull’andamento dei negoziati con la massima trasparenza possibile, ma senza compromettere la riservatezza richiesta per garantire il successo di questo processo di mediazione.

Questi gruppi e individui includevano donne, organizzazioni yemenite e internazionali, professionisti dei media e giovani attori della società civile. Abbiamo consultato queste persone sui termini della Dichiarazione congiunta e abbiamo discusso con loro dei modi per renderla il più possibile inclusiva. Ad esempio, un illuminante incontro di questi, è stato quello con le donne yemenite su considerazioni di genere nell’attuazione del cessate il fuoco.

Abbiamo anche organizzato una consultazione interattiva virtuale su larga scala di due giorni, con oltre 650 yemeniti, principalmente della società civile. Oltre un terzo dei partecipanti erano donne e quasi la metà erano giovani. E’ stata la prima volta in cui è stato fatto qualcosa di simile durante un processo di mediazione.

La maggior parte delle persone con cui abbiamo parlato, ritiene che sia necessario e urgente iniziare immediatamente un cessate il fuoco a livello nazionale. Credono che la ripresa del processo di pace sia essenziale e attesa da tempo. Concordano principalmente sull’importanza e l’urgenza di tutte le misure umanitarie incluse nella Dichiarazione congiunta.

Abbiamo anche ascoltato le loro preoccupazioni circa la necessità di garantire un futuro democratico, basato su principi dei diritti umani, governance responsabile e uguaglianza tra i cittadini. Abbiamo avvertito chiaramente le loro delusioni per la mancanza di progressi verso la fine del conflitto mentre gli yemeniti continuano a soffrire.

Condividiamo questa delusione. Queste paure e preoccupazioni sono al centro della nostra pianificazione per il futuro. Sono molto grato per il continuo impegno dei tanti yemeniti e della loro coraggioso e instancabile auspicio per un futuro pacifico del loro paese.

Stiamo lavorando verso un’ulteriore espansione delle nostre attività di sensibilizzazione digitale; opzioni di sensibilizzazione offline per raggiungere le comunità locali che non hanno lo stesso accesso a Internet. Stiamo inoltre pianificando di espandere le nostre reti yemenite di sostenitori della pace per portarci avanti rispetto all’agenda della pace, durante il processo politico e durante la transizione”.

Un dei quattro ponti che collegano Hodeida con il resto del paese, distrutto in un bombardamento nel 2016 (UN OCHA/Giles Clarke)

“Questa Dichiarazione prevede il cessate il fuoco. Ultimamente abbiamo assistito ad un’escalation militare, comprese le recenti ostilità nei governatorati di Ma’rib e Al Jawf. Ciò vale anche per la parte meridionale del paese. Sicuramente starà comunicando con le parti interessate su questo fronte. Cosa significano i continui combattimenti per i negoziati in corso?”

“La continua escalation militare rende tutto più difficile. Ha un prezzo molto alto per i civili. Intensifica la sfida di rispondere efficacemente allo scoppio di COVID-19 e aggrava la sofferenza umanitaria di una popolazione che ha già attraversato grandi difficoltà negli ultimi 5 anni.

Mi scoraggia il fatto che, anche se i nostri negoziati sono in corso, continuiamo ad assistere alla ricerca di ulteriori guadagni territoriali. E’ un peccato che i combattimenti non si siano fermati o almeno rallentati, con lo scoppio della pandemia.

Vorrei essere chiaro su due cose. Innanzitutto, il continuo assalto a Ma’rib è inaccettabile. Temo che questo assalto possa minare seriamente le prospettive di pace nello Yemen.

In secondo luogo, non è troppo tardi per invertire la rotta e tornare sulla strada di politiche e negoziati pacifici, anziché sulla risoluzione del conflitto attraverso la forza militare.

Le parti dichiarano di impegnarsi a smettere di combattere non appena verrà raggiunto un accordo di cessate il fuoco. Mi aspetto che le parti agiscano in buona fede in linea con il loro impegno iniziale di negoziare l’accordo e di trattenersi dal perseguire operazioni militari attive durante i negoziati”

L’ONU suona l’allarme per i bambini dello Yemen

“Migliaia di dipendenti yemeniti non ricevono i loro stipendi da anni. Ciò ha causato sofferenze prolungate nello Yemen, che ora stanno diventando ancora più profonde con l’ulteriore pressione economica causata dall’epidemia di coronavirus. I rapporti suggeriscono anche che c’è una crescente crisi di carenza di carburante nel nord. L’accordo di Stoccolma prevedeva che le navi che trasportavano carburante e derivati ​​del petrolio sarebbero state autorizzate attraverso i più grandi porti dello Yemen ad Al Hudaydah e che le entrate del porto sarebbero state utilizzate per il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici. Come valuta i progressi nell’attuazione di questa disposizione?”

“L’anno scorso, il mio ufficio ha mediato tra le parti una serie di disposizioni temporanee per sostenerle nell’adempimento dell’impegno assunto a Stoccolma, per convogliare le entrate raccolte dal porto di Hudaydah alla Banca centrale dello Yemen attraverso la sua filiale di Hudaydah (CBY-Hudaydah), come contributo al pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici a Hudaydah e in tutto lo Yemen.

Secondo i termini di questi accordi temporanei, le parti hanno concordato che le dogane, le tasse e le altre entrate provenienti dalle navi che trasportavano carburante e derivati ​​del petrolio nel porto di Hudaydah, sarebbero state depositate in un conto speciale in CBY-Hudaydah e infine erogate secondo un meccanismo concordato per gli stipendi dei dipendenti pubblici.

Sfortunatamente, questi accordi sono attualmente sospesi a seguito del ritiro unilaterale di fondi accumulati in quel conto da Ansar Allah all’inizio di quest’anno. Da allora ho chiesto ad Ansar Allah una serie di misure correttive, fornendo al mio ufficio la documentazione sull’utilizzo dei fondi.

La sospensione delle disposizioni temporanee significava che le navi che trasportavano derivati ​​del carburante e del petrolio non potevano più entrare attraverso il porto di Hudaydah.

Dopo la mia recente visita a Riyad, il governo dello Yemen ha fornito autorizzazioni, in via eccezionale, per quattro navi per motivi umanitari e ha espresso la disponibilità a impegnarsi con il mio ufficio per trovare una soluzione sostenibile al problema. Accolgo volentieri questa azione. Anche se fornirà solo un sollievo temporaneo.

Il mio ufficio sta lavorando con premura insieme alle parti per cercare di trovare una soluzione concordata. Le entrate del porto di Hudaydah dovrebbero essere utilizzate a beneficio degli yemeniti come contributo al pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici. In questo momento critico, anche gli yemeniti devono continuare ad avere un accesso regolare e ininterrotto al carburante. La scarsità o la carenza nella fornitura di carburante avrà gravi conseguenze umanitarie nella vita quotidiana in Yemen e nel settore sanitario”.

Yemen_UNHCR__Arhab_2016
Un’immagine di bambini rimasti senza casa in Yemen, nel 2016 (Foto: UNHCR/Yahya Arhab)

“Qual è la visione delle Nazioni Unite per il futuro dello Yemen?”

“La nostra visione e speranza per il futuro dello Yemen è di raggiungere un punto in cui gli yemeniti abbiano gli strumenti per occuparsi del proprio futuro basato sui principi di democrazia, diritti umani, governance responsabile e pari cittadinanza. Aspiriamo per un periodo di transizione che inaugura un futuro politico segnato dalla condivisione del potere in un atmosfera di consenso, dove il dialogo pacifico sostituisce la violenza e dove tutte le componenti politiche e sociali della società yemenita si accettano e lavorano insieme per il bene comune del paese.

Adesso potrebbe sembrare un sogno lontano. Le profonde violazioni dei diritti umani, l’intolleranza e l’esclusione sono aumentate notevolmente dall’inizio del conflitto.

Ci sono stati numerosi danni per le basi fondamentali di una vita politica sana, incluso il grave indebolimento delle istituzioni statali e la fiducia da parte del pubblico. A questo si aggiunge l’erosione della libertà e dell’indipendenza dei media e della società civile. C’è stata anche una preoccupante tendenza a prendere di mira gli oppositori politici e i professionisti dei media, con un rafforzamento dei discorsi su violenza e odio. Questo è inaccettabile.

Tuttavia, sono speranzoso e ispirato dal diligente lavoro degli attori dei diritti umani e della società civile nello Yemen. Mi ricordo sempre del grande esempio che lo Yemen ha dato alla Conferenza sul dialogo nazionale, il cui esito rimane un riferimento nel processo politico facilitato dalle Nazioni Unite. Una transizione pacifica e inclusiva consentirà il rinnovo del dialogo, promuoverà ancora una volta la tolleranza e l’accettazione e affronterà i rancori del passato con un’attenzione al futuro”.

Traduzione di Alessandra Loiero

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