In data 1 agosto, si sono collegati in video chiamata con il Palazzo di Vetro, il coordinatore di risposta alle emergenze Ebola, David Gressly, e la portavoce del team ebola dell’OMS, Margaret Harris. Il colloquio mirato a dare ulteriori chiarimenti sulle ultime notizie che ci sono pervenute dalla regione centroafricana, sito attivo del virus. Nel corso delle ultime settimane, coincidente con l’annuncio di una crisi sanitaria internazionale, il mondo intero ha osservato con il fiato sospeso, timoroso di assistere a un’epidemia con ramificazioni globali.
I due corrispondenti hanno inizialmente lodato gli sforzi delle forze di risposta, che dallo scorso agosto hanno allestito vari campi, accoglienti e ben forniti, per trattare gli affetti sul luogo. Rispondendo a perché questo focolaio sia rimasto acceso per così a lungo, Gressly ha chiarito, “Credo che questa sia una domanda estremamente importante da porre, i fattori principali sono in gran parte dovuti al contesto, questo è l’ambiente più difficile in cui è mai stata tentata una risposta all’ebola, l’ambiente è difficile a causa dell’alta densità della popolazione, è una zona di conflitto e lo è stata per gli ultimi 25 anni, è un’area di opposizione politica in cui la popolazione si sente emarginata, con una forte sfiducia nei confronti delle autorità locali.”Tutto ciò, secondo gli esperti, ha contribuito a detrimento di una risoluzione rapida e duratura.
Importantissimo anche mantenere un flusso costante di fondi essenziali alle operazioni e personale specializzato per maggiore efficienza nelle zone contaminate. Un singolo giorno perso, a causa di carenze nella catena di fornitura, può causare ripercussioni gravissime, le quali richiederanno settimane, se non mesi, da correggere. In questa situazione sembrerebbe logico cercare di isolare il virus, chiudendo i confini della RDC, vietando movimento tra gli stati circondanti fino a un contenimento totale del focolaio. Questo però, come ci spiega la dottoressa Harris, è controintuitivo, “la chiusura del confine provoca una grande perturbazione per i paesi coinvolti ma anche, come affermato dal sig. Gressly, scaturisce un’epidemia sotterranea”, continuando, “lo abbiamo visto nel corso della storia, se guardi alla storia della peste nera è esattamente ciò che è successo , se inizi a rendere le persone terrorizzate, chiudendo tutto, scappano, si nascondono e diffondono la malattia”.
Sorge dunque il dubbio di come dovremmo trattare questi argomenti, a prima vista terrificanti, nel dialogo pubblico, poiché una reazione istintiva di shock potrebbe facilmente causare un effetto avverso, diffondendo paura e prolungando le ripercussioni dell’Ebola. “Non è utile presentarlo in preda al panico”, ha ribadito Gressly, “non aiuta perché si tratta di una malattia che può essere gestita, qualcosa che può essere sradicata da quest’area, è estremamente dura e quindi il messaggio rimane che si tratta di un’epidemia di Ebola molto insolita, a causa del contesto in cui si sta svolgendo, ma è ancora abbastanza fattibile, avrà bisogno di tempo, determinazione e finanziamenti, ma non è affatto un’impresa impossibile”.
Un dato trascurato dal pubblico, spesso dovuto alla propria inconsapevolezza, è il fatto che, se scoperto e trattato nei primi giorni di sintomi, il virus presenta un tasso di sopravvivenza pari al 90%. Solo se questi segnali dovessero essere trascurati, cosa che purtroppo continua a succedere con pazienti che si ammettono ai campi specializzati dopo sette o otto giorni, in stadi ormai progressivi, le probabilità si rovesciano con un tasso di mortalità ora al 90%.
Il giorno seguente anche il Consiglio di Sicurezza, sempre al Palazzo di Vetro, si è riunito per discutere del problema. In un discorso di Jacek Czaputowicz, Ministro degli Esteri Polacco, ha reso note le preoccupazioni dell’Onu riguardo la sicurezza del personale in risposta all’epidemia, il quale si trova in una zona di conflitto attiva e altamente pericolosa. In argomento di rafforzare i sussidi diretti al paese, Czaputowicz ha sottolineato l’urgente bisogno di aiuti comprendenti, “contributi finanziari completi e rapidi, assistenza tecnica, cooperazione scientifica e risorse umane”.
Margaret Harris ha concluso la video chiamata con una prova concreta dei loro sforzi, per restituire uno stato di calma e salute alle zone in questione, ricordando a tutti il proprio dovere di prestare una mano a chi, al momento, ne ha più bisogno, “abbiamo visto i sopravvissuti lasciare il campo ed è così incoraggiante”, continuando, “anche per tutta la mia squadra, ho chiesto cos’è che ti dà gioia, e la risposta è sempre vedere quei sopravvissuti che se ne vanno, sapendo che hanno ascoltato il nostro messaggio, sono venuti, sono stati curati, e ora stanno tornando nelle loro comunità”.