L’accordo stretto nelle scorse ore tra Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan è stato il vero protagonista dell’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza sulla situazione in Siria. Un accordo che ha sancito la creazione di una zona demilitarizzata ad Idlib, per proteggere i 3 milioni di civili che sarebbero stati potenziali vittime dei combattimenti in caso di una escalation militare: prospettiva tutt’altro che peregrina fino a qualche giorno fa.
Una vera catastrofe militare è stata sventata, dunque, dopo che l’inviato del Segretario Generale in Siria Staffan De Mistura si è appellato, nelle scorse settimane, ai membri del Consiglio affinché mettessero i civili “al di sopra degli interessi nazionali”. Non solo: De Mistura si era definito ancora una volta pronto – se necessario – “a intervenire personalmente e fisicamente in prima persona” per sventare l’ipotesi più sanguinosa.
Ma l’incontro a Sochi tra il Presidente russo e il suo omologo turco pare, per ora, aver sventato il rischio della catastrofe, e aver restituito ottimismo a De Mistura. Il quale, tanto davanti al Consiglio quanto poi a colloquio con i giornalisti, ha sottolineato come, dati i terribili precedenti, in pochi giorni lo scenario sia del tutto cambiato (in meglio). Certo: il recente “incidente” dell’aereo russo abbattuto per errore dalle forze siriane ha fatto temere per alcune ore il peggio. In effetti, la Russia di Putin ha accusato Israele di aver provocato, di fatto, la morte dei 15 suoi uomini che erano a bordo del velivolo, mentre Tel Aviv si è difesa sostenendo che i suoi aerei stavano puntando un carico di armi diretto verso il Libano. Un episodio che potenzialmente avrebbe potuto far vacillare la tregua: non a caso, De Mistura ha di nuovo esortato tutte le parti ad astenersi da qualsiasi azione militare.
Ma è anche possibile che l’Inviato Speciale in Siria veda nel risultato dell’incontro di Sochi non soltanto un accordo strettamente limitato nel tempo – come l’Ambasciatore siriano si è affrettato a definirlo -, ma anche come un punto di partenza per “andare avanti rapidamente” con il processo politico, regolato dalla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza. Ma se quella stretta di mano tra Putin ed Erdogan sembra aver raccolto il plauso di tutti gli Stati membri, proprio sulla roadmap politica incombono, ancora oggi, le discordie. Dal canto suo, l’ambasciatore americano James Jeffrey, rappresentante speciale degli Stati Uniti per la Siria, ha esplicitamente attaccato Mosca per il suo sostegno incondizionato a Bashar al Assad: “La Russia vuole che il mondo creda che, dopo la campagna militare, tutto tornerà come è sempre stato. Ecco perché spingono per le ‘tre R’: riconoscimento del regime, ricostruzione economica, e ritorno dei rifugiati nelle loro case ancora prima che le condizioni di sicurezza vengano ristabilite”, ha tuonato. Un discorso a cui ha risposto, naturalmente, l’ambasciatore russo Vassily Nebenzia, sottolineando, tra le altre cose, come nessuno abbia mai cura di menzionare i sanguinosi effetti dei diversi raid aerei della “cosiddetta coalizione” sostenuta dagli Usa su Raqqa, bombe che hanno colpito zone ampiamente popolate da civili.
Nonostante i persistenti mal di pancia, dunque, Staffan De Mistura non ha nascosto il suo moderato ottimismo sugli sviluppi della questione. E ha ricordato come “sia necessario un processo politico inclusivo”, e come all’ONU spetti il compito di “facilitare questo processo, cominciando con la formazione di una commissione costituzionale”. Una commissione, ha detto, che deve essere credibile, “perché solo in quel caso le Nazioni Unite potranno conferirle la legittimazione che le occorre”.
Sulla stessa linea Mark Lowcock, UN Emergency Relief Coordinator, il quale ha puntualizzato che le agenzie ONU continuano a garantire assistenza umanitaria ad almeno due milioni di persone nella parte nordoccidentale del Paese, attraverso convogli dalla Turchia. Lowcock ha però espresso preoccupazione per altre parti della Siria, in particolare a Rukban, dove la mancanza di sicurezza limita l’accesso umanitario. Ed è stato, tra gli altri, su questo punto che il rappresentante siriano Bashar Ja’afari ha risposto a tono nel suo lungo intervento, in cui ha criticato anche Staffan De Mistura e il “fronte occidentale”. Perché Lowcock, si è chiesto il siriano, non ha ricordato nel suo briefing che furono proprio gli Stati Uniti a rifiutare l’accesso umanitario nei campi di Rukban? Non solo: Ja’afari ha definito inaccettabile che De Mistura non abbia citato l’impegno siriano nell’antiterrorismo; ha ricordato come l’ex ministro francese Roland Dumas raccontò che, nel giugno 2014, alcuni ufficiali britannici lo informarono che “si stava preparando qualche operazione in Siria”, ben prima, dunque, delle primavere arabe; e ha citato la teoria dell’ex capo dello staff di Colin Powell Lawrence Wilkerson, secondo cui la stessa Siria è stata un target americano dopo l’Iraq, e la questione delle armi chimiche una messinscena israeliana per volgere il conflitto a proprio favore. Il Rappresentante ha poi riportato una notizia apparsa sui media olandesi, secondo cui il Governo locale avrebbe “assicurato supporto”, anche in termini finanziari, “ad alcuni gruppi terroristici in Siria”.
Ad avviso dell’Ambasciatore siriano (che ha peraltro respinto il titolo affibbiatogli dal Regno Unito di rappresentante del “regime”), “it is all about Israeli, after all”. Ma soprattutto, ha aggiunto, nessuno dovrebbe dimenticare che il risultato raggiunto ad Idlib è sì merito di Russia e Turchia, ma non sarebbe stato possibile senza il sostegno del Governo siriano.
Di certo, nessuno potrà mettere in dubbio il ruolo giocato da Vladimir Putin e Recep Erdogan, in questa fase indubbiamente i più influenti player internazionali, nell’evitare la catastrofe. Ma quando noi della Voce abbiamo chiesto, su questo, il parere di De Mistura, il rappresentante del Segretario Generale in Siria ha puntualizzato: “Sì, ma solo su Idlib”. Come a voler specificare che dovrà essere il processo “mainstream” di Ginevra sotto l’egida dell’ONU – e non iniziative unilaterali da parte delle potenze più coinvolte nel conflitto – a produrre un esito politico definitivo per la crisi. Un esito, possibilmente, largamente condiviso, in primis dai siriani: ed è proprio qui che le Nazioni Unite saranno attese, presto o tardi, al varco della prova del fuoco.