Maggio è iniziato male per lo Yemen, che durante questa settimana è stato teatro di un’escalation di tensioni riguardanti la guerra civile che martoria il Paese dal 2014, ma non solo. Da una parte vi sono i ribelli, gli Houthi, che controllano la capitale Sana’a, dall’altra il governo di Hadi, che è stato spodestato da un colpo di stato ma che sostiene la legittimità del suo potere dalla città di Aden.

Ma poi ci sono anche gli iraniani, che appoggiano il governo di Sana’a, e c’è la coalizione araba – principalmente Arabia Saudita e Emirati Arabi – che sostiene Hadi. E Trump, poi, che ha deciso di ritirarsi dall’accordo nucleare con l’Iran. E gli Emirati Arabi, che stanno creando tensione all’interno della coalizione. E l’ONU, ovviamente, che tra fuochi incrociati e finanziamenti troppo ingenti per permettergli di fare qualcosa, si limita ad invitare alla pace. Detto questo, approssimativamente 22 milioni di yemeniti si trovano in situazione umanitaria disastrosa.
E’ iniziato tutto – o, meglio, continuato – lunedì, 7 maggio, quando gli attacchi aerei della coalizione hanno colpito un edificio governativo in un quartiere molto popolato della capitale, Tahrir, uccidendo sei persone. I ribelli, poi, hanno reagito sparando diversi missili balistici nei giorni seguenti, con target economici in Arabia Saudita.
Uno di questi attacchi oltre il confine yemenita è avvenuto ieri, 9 maggio, in accordo con quello che dicono sia i ribelli che l’esercito saudita. Quest’ultimo ha dichiarato che le loro forze aeree hanno intercettato i missili sopra Riyadh – la capitale dell’Arabia Saudita – e la città di Jizan, poco più a sud.

L’attacco oltre confine da parte dei ribelli, conosciuti come Houthis, è avvenuto proprio mentre si esasperano le tensioni nella regione, proprio mentre si aggravano le tensioni in Siria tra Iran e Israele, e dopo la decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo nucleare del 2015 con l’Iran, che potrebbe innescare reazioni a catena in tutto il Medio-Oriente.
Allo stesso tempo, nella giornata di oggi e di ieri sono continuati gli attacchi su diverse province yemenite. Secondo la news agency Saba, la coalizione avrebbe effettuato almeno 16 bombardamenti nelle ultime 24 ore. La rete televisiva yemenita al-Masirah ha dichiarato che, durante questi attacchi, almeno due famiglie intere sono state sterminate, due civili sono morti e almeno sei persone sono rimaste ferite, inclusi tre bambini.
Inoltre, gli Emirati Arabi avrebbero consolidato nell’isola di Socotra – territorio yemenita – una base militare, e gli abitanti dell’isola, finora indenni alle vicende della terraferma, starebbero precipitando nel conflitto, o in una parte di esso, schierandosi con gli Emirati Arabi o con il governo di Hadi. Senza poi così tanto pudore, insomma, il ricco Paese arabo si starebbe facendo strada verso un ponte commerciale sul Mar Rosso, avvantaggiandosi del conflitto drammatico che affligge lo Yemen da quattro anni.

Ieri, 9 maggio, l’Ambasciatore yemenita alle Nazioni Unite, Khalid Al-Yamani – rappresentante del governo di Hadi –, ha detto che il governo dello Yemen ha sovranità esclusiva sul territorio del Paese, che non può essere diviso. Ha avvisato, poi, che se gli Emirati Arabi non lasceranno Socotra, aumenteranno ancor di più l’escalation di tensioni sulla regione.
In risposta, lo stesso giorno, gli Stati Uniti hanno dichiarato in uno statement del Dipartimento di Stato che “il popolo yemenita, insieme al loro patrimonio culturale e naturale, hanno già sofferto incommensurabilmente a causa del conflitto. Lo Yemen non può sopportare altre divisioni … Gli Stati Uniti chiamano tutte le parti in campo ad accettare un processo politico che sia guidato dalle Nazioni Unite, e che coinvolga tutti nell’unico obiettivo di uno Yemen sicuro e prospero”.
In mezzo a questa intricata e incomprensibile trama, le Nazioni Unite, fino a ieri, sono rimaste in silenzio. I fondi stanziati dall’Arabia Saudita per gli aiuti umanitari in Yemen – 1 miliardo di dollari – valgono caro e le minacce di Trump al sistema-finanziamenti al Palazzo di Vetro pure. Guterres a Trump l’aveva suggerito, di non abbandonare l’accordo nucleare del 2015 con l’Iran, ultima àncora di salvezza, che nonostante tutte le sue imprecisioni, reggeva ancora. Ma forse gliel’aveva consigliato talmente piano che il Presidente non aveva sentito.
Ieri, il Yemen Human Rights Team si è detto “scioccato di fronte al nulla che la comunità internazionale sta facendo riguardo all’ultimo sterminio di massa nel distretto di Al-Tahrir”, la zona colpita lunedì. “Questa zona è piena di negozi e locali perché è la zona commerciale più importante nella capitale. Due aerei della coalizione saudita, il 7 maggio, hanno preso di mira l’ufficio presidenziale mentre era pieno di civili che facevano le loro transazioni, distruggendo molti edifici in tutta l’area – l’ufficio presidenziale, le case vicine, scuole, negozi. Questi raid hanno ucciso 6 civili e ferito più di 90 persone. E il numero delle vittime non è finito, è ancora in crescita. Questo crimine scandaloso non è stato condannato dal Segretario Generale, dall’Inviato Speciale, dal coordinatore umanitario dell’ONU, quindi speriamo che le voci degli attivisti dei diritti umani raggiungano le persone interessate, e che il gruppo di eminenti esperti internazionali sullo Yemen lo metteranno tra le loro priorità. Un tale attacco aggressivo indica che non importa alla coalizione saudita di raggiungere una fase pericolosa, e che per la comunità internazionale è molto facile non agire propriamente”.

Ma il messaggio è arrivato subito al Segretario delle Nazioni Unite, António Guterres, che mezz’ora dopo ha detto tramite il suo portavoce Stéphane Dujarric di essere “molto preoccupato rispetto alla crescente escalation del conflitto in Yemen, sia per quanto riguarda gli attacchi aerei della coalizione avvenuti il 7 maggio … sia i missili balistici sparati dagli Houthis il 6 e il 9 maggio verso diversi target in Arabia Saudita, compresa Riyadh”.
Continuando, “il Segretario Generale si appella a tutte le parti, perché evitino un’ulteriore escalation che dia un impatto negativo alle possibilità di pace. Ricorda alle parti che la contrattazione per una negoziazione politica attraverso il dialogo tra yemeni è l’unico modo per mettere fine al conflitto e prendere in mano la crisi umanitaria”, ha detto il portavoce, con la solita, ricorrente, formula.