La Pasqua ebraica è iniziata il 30 marzo, e durerà fino al 7 aprile, nel ricordo della liberazione del popolo ebreo dall’Egitto e del suo esodo verso la terra promessa. In occasione della celebrazione di quest’anno, il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ringraziato i soldati per aver permesso alla nazione di santificare questa festa.
Nel suo tweet del 31 marzo, Netanyahu scrive: “Tutto il dovuto rispetto per i nostri soldati che hanno salvaguardato il confine dello Stato e permesso ai cittadini israeliani di celebrare la loro festività con serenità”. La notte prima, 30 marzo, il Consiglio di Sicurezza si riuniva in un meeting d’urgenza – richiesto dal Kuwait – sui fatti avvenuti quel giorno tra Israele e Palestina.
Venerdì, durante una marcia, nella Striscia di Gaza sono morti almeno 18 palestinesi, e circa 1400 sono rimasti feriti, anche con l’uso di proiettili. La manifestazione era organizzata in memoria del Land Day, e, quindi, degli eventi avvenuti nel 1976, che avevano visto sei cittadini arabi uccisi e circa cento feriti.
I fatti, verificatisi durante la Pasqua ebraica, hanno mandato nel caos anche le Nazioni Unite, dove si parlava di Conflitto Arabo-Israeliano già da qualche giorno, e dove le tensioni non sono finite.
E’ appena iniziata, ma non si può dire che questa festività sia davvero serena, come l’aveva augurata Netanyahu. Al memoriale della liberazione dalla schiavitù del popolo ebreo, quasi si presentava la possibilità che Israele stesso diventasse fautore di deportazione di massa e forzosa in Africa dei migranti – e tuttora non è ancora chiaro cosa succederà di loro.
Inoltre, appena il 26 marzo si era parlato, nel Consiglio di Sicurezza, dell’implementazione della risoluzione 2334 e dell’urgenza che Israele smettesse “di agire per contrattare rispetto ai territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme est”, aveva detto Nickolay Mladenov, il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il Processo di Pace nel Medio-Oriente, “l’espansione degli accordi illegali e le relative attività continuano a minacciare la fattibilità della soluzione ‘Two-State’”.
Ma la verità è che forse, questa soluzione, non è mai stata possibile. Durante il meeting d’urgenza del 30 marzo, Tayé-Brook Zerihoun, l’assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Politici, ha dichiarato di fronte al Consiglio che “gli sviluppi a Gaza sono un’occasione dolorosa che ci ricorda di nuovo le conseguenze dell’inesistenza della pace tra Israele e Palestina e del bisogno di intensificare i nostri sforzi per supportare una pacifica risoluzione del conflitto”, intendendo che urgono delle misure che favoriscano la pacificazione e la soluzione “Two-States”.
Ma Tayé-Brook Zerihoun, durante quello stesso meeting, aveva anche sottolineato che alcune vittime erano state uccise con proiettili veri da parte delle forze di sicurezza israeliane; e che erano avvenuti dei bombardamenti su un punto di osservazione di Hamas. Presupposti difficili, da ambo le parti per una soluzione pacifica di quel tipo.
Infatti, nonostante la maggior parte dei manifestanti siano rimasti lontani dalla linea di confine con Israele e non fossero violenti, “ci sono anche report che alcuni manifestanti avessero iniziato a lanciare pietre e ad avere un comportamento violenti; alcuni sarebbero stati armati”, aveva aggiunto l’assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Politici, richiamando Israele a prendersi le sue responsabilità rispetto al diritto internazionale.
Intanto, le autorità palestinesi continuano a richiedere un’investigazione internazionale sui fatti, e l’Ambasciatore palestinese all’ONU, Riyad Mansour, se ne sta occupando in collaborazione con Mansour Al-Otaibi, Rappresentante Permanente del Kuwait alle Nazioni Unite, lo stesso Rappresentante che aveva organizzato il meeting d’urgenza della notte del 30 marzo e che aveva proposto una bozza per uno statement che stabilisse “un’investigazione trasparente e indipendente”.
Nella giornata di venerdì, il Segretario Generale ONU, António Guterres, aveva detto in uno statement letto dal suo portavoce di essere “profondamente preccupato” riguardo agli eventi, esortando anche lui ad un’investigazione “indipendente e trasparente”. E così, si era augurata anche Federica Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza.
Ma la bozza, durante quel meeting, non era passata a causa del veto USA, e sembra ormai essere decaduta come proposta. Infatti, il primo ad essere reticente a cooperare è proprio Israele, che continua a sostenere di aver colpito solo quei Palestinesi che stavano cercando di oltrepassare il confine. Il Ministro della Difesa Avigdor Liberman ha detto che “sotto nessuna circostanza ci sarà una commissione d’indagine”.
Il Rappresentante Permanente di Israele alle Nazioni Unite, Danny Danon, all’impegno e alla preoccupazione del Consiglio di Sicurezza ha risposto con estrema durezza. Danon ha condannato il meeting d’emergenza, visto e considerato che “lo Stato del Kuwait, con la piena conoscenza del fatto che la nostra Missione Permanente, Israele e gli ebrei di tutto il mondo stavano osservando la prima notte di Pasqua, ha sequestrato le consultazioni”, ha scritto in un reclamo ufficiale.
“Ad Israele non è stata data la notifica con lo stesso anticipo e ci è stato impossibile partecipare alle deliberazioni a causa dell’osservanza della nostra festività religiosa”, continua il reclamo, con l’aggiunta di alcuni dettagli rispetto alle dimostrazioni.
La sua versione dei fatti è che, “nonostante l’insistenza dei vertici palestinesi sulla natura pacifica delle manifestazioni, Hamas e le fazioni affiliate ad esso hanno cosparso terroristi armati tra i civili, un numero dei quali è stato ucciso conseguentemente ad attacchi diretti alle posizioni israeliane”, ha detto il Rappresentante Permanente, richiamando i Principi Fondamentali della Carta ONU e un’eventuale violazione del principio di “onesta deliberazione”.
Di violazione grave del diritto internazionale ha parlato anche Riyad Mansour, Osservatore Permanente dello Stato della Palestina alle Nazioni Unite, invitato al meeting. Dopo aver sottolineato l’urgenza di adottare misure che pongano fine al massacro e di portare davanti alla giustizia i responsabili della catastrofe, ha detto che “non c’è niente di più ripugnante del massacro di persone disarmate e indifese, incluse donne e bambini”. E, intorno alla sua posizione si erano allineati tutti gli altri Paesi, tranne gli Stati Uniti, che hanno riconfermato la solita linea di Trump.
Niente di nuovo sul fronte medio-orientale, insomma. “Effettivamente, al meeting che c’è stato venerdì abbiamo tutti avuto occasione di esprimere la nostra preoccupazione riguardo a quello che stava succedendo a Gaza”, ha risposto il 2 aprile Gustavo Meza-Cuadra, Rappresentante Permanente del Perù, ad una domanda che gli è stata posta durante l’inaugurazione della sua Presidenza del Consiglio di Sicurezza e la presentazione del suo programma. “Non possiamo davvero dire quale sarà il prossimo passo, ma siamo davvero attenti agli eventi che si sviluppano sul terreno”, ha continuato.