Un gruppo di militanti di Boko Haram ha lanciato un attacco in una base militare a Rann, nello stato di Borno, Nigeria. L’attacco è avvenuto la notte di giovedì 1 marzo, ed è stato effettuato da “un gran numero di persone affiliate a Boko Haram dotate di armi automatiche, lanciarazzi e camionette militari”, ha dichiarato l’agenzia ONU della Migrazione.
Da quanto ricostruito finora, i morti sono almeno 11 persone: quattro soldati, quattro agenti di polizia e tre volontari, dei quali due erano collaboratori esterni e uno era un medico consulente per l’UNICEF. Gli agenti umanitari lavoravano nel campo sfollati vicino alla base militare, un campo in cui attualmente vivono 55.000 persone.
Una notizia che lascia con l’amaro in bocca il presidente Muhammadu Buhari, che ha iniziato il suo incarico nel maggio del 2015 promettendo più sicurezza e sostenendo già nel 2016, dopo la riconquista della foresta di Sambisa, che Boko Haram era stato sconfitto.
Ma la realtà è un’altra. Nonostante siano state fortemente indebolite da parte dell’esercito, le milizie di Boko Haram hanno continuato ad essere un pericolo costante. A dicembre, avevano ucciso quattro persone, sempre a Borno; e non bisogna dimenticare che attacchi terroristici e sparatorie rimangono una costante in Cameroon, Chad e Niger – anche, sporadicamente, nel nord-est della Nigeria. E se è vero che la Nigeria, poi, non ha confini impermeabili, la presenza dei fondamentalisti islamici rimane ancora un problema che non è certo risolto e che non si può ignorare.
L’attacco è avvenuto a meno di due settimane dal rapimento delle 110 studentesse nella scuola di Dapchi, ad ovest di Rann. Anche questo perpetrato da Boko Haram. Un “disastro nazionale”, ha twittato il 23 febbraio Muhammadu Buhari, il cui governo ha dichiarato che la ricerca delle ragazze è stata allargata anche oltre i confini nazionali, ma finora nessun risultato concreto. Le notizie appaiono confuse e contraddittorie; nè esistono dati certi. C’era stata la notizia che alcune ragazze erano state liberate dai militari, ma poi era stata ritrattata dalle autorità, provocando ulteriore frustrazione nelle famiglie in attesa.

“Gravemente preoccupato a riguardo”, era stato definito da Antonio Guterres, Segretario delle Nazioni Unite, dal suo portavoce. “Le Nazioni Unite si appellano ad un immediato e incondizionato rilascio delle bambine scomparse, perché tornino a casa dalle loro famiglie sane e salve”, aveva continuato il portavoce, sottolineando il pieno supporto al Governo della Nigeria nella sua lotta contro il terrorismo e l’estremismo violento. Insomma, un gruppo, quello di Boko Haram, che sembra tutt’altro che scomparso e sconfitto. Nel video girato nella scuola di Dapchi, Stephanie Hegarty, inviata della BBC, spiega come è avvenuto il rapimento.
In particolare, riguardo all’attacco del 1 marzo, si è espresso Edward Kallon, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Nigeria, esortando “le autorità ad assicurare che gli esecutori vengano portati a giudizio”.
Invece, Marie-Pierre Poirier, il Direttore Regionale dell’UNICEF per l’Africa Occidentale e Centrale, ha detto di essere “shoccata riguardo all’attacco del 1 marzo a Rann”, e lo ha condannato fortemente per aver colpito “operatori umanitari ‘altruisti’, che stavano lavorando in condizioni umanitarie difficilissime”. Nel suo statement, Marie-Pierre Poirier si è concentrata soprattutto sui volontari, specificando poi come “il numero degli attacchi a questi, sia crescente nel mondo, e dobbiamo riaffermare insieme il nostro commitment nel proteggerli”.
Ma che ne è invece di tutte le vittime seminate finora in Nigeria? ‘Shock’ è davvero la parola giusta, o ci saremmo dovuti aspettare che episodi del genere si ripresentassero? Borno è ancora, per Boko Haram, un centro di controllo. E’ il luogo dove i militanti sono riusciti di più a imporsi e perpetrare la stretta interpretazione del Corano, causando dal 2009 ad oggi una strage che ammonta ormai a più di 20.000 persone e lo sfollamento di due milioni di persone. Senza contare i rapimenti, di uomini ma soprattutto donne – che hanno portato alla mobilitazione mondiale del movimento #BringBackOurGirls.

Da ricordare, quello dell’aprile 2014, quando circa 300 ragazze erano state rapite da una scuola a Chibok; molte di loro furono liberate, ma tuttora, di 100 di queste non si hanno più notizie. E le 110 ragazze rapite meno di due settimane fa, ci ricordano che contro questa minaccia c’è ancora da lavorare.

“I responsabili di queste e altre atrocità in Nigeria devono essere perseguiti”, aveva detto in uno statement del 2 marzo il portavoce di Guterres, “il Segretario Generale esorta tutte le parti ad assicurare in ogni momento la protezione di tutti i civili nigeriani”. E lo stesso giorno è intervenuto anche il Consiglio di Sicurezza. “I Membri del Consiglio di Sicurezza esprimono tutta la loro preoccupazione riguardo alla condizione di scarsa sicurezza nella regione del Lago Chad e riconoscono la minaccia posta dai gruppi di Boko Haram e ISIL”, ha dichiarato.