Ginevra, Consiglio ONU sui Diritti Umani. Alla sessione di 4 settimane per festeggiare il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il 26 febbraio hanno preso la parola sia il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad Al Hussein.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è stata adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, e suo primo articolo, principio fondante, è che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Le Nazioni Unite sono fortemente impegnate in una campagna di celebrazione del testo, con l’idea che la sensibilizzazione a questo pilastro sia necessaria e urgente quanto lo era quando è stata abbozzata. La sessione, che durerà dal 26 febbraio al 23 marzo, si è aperta a ridosso dell’adozione della risoluzione 2401 e dell’escalation della violenza in Siria, dove c’è stato il picco di vittime relativamente soprattutto alla Ghouta orientale.
“Ricordo a tutte le parti il loro assoluto obbligo, ”, ha esordito il Segretario Generale dell’ONU, “a proteggere i civili e le infrastrutture civili”. “E che, allo stesso modo, le azioni intraprese per combattere il terrorismo non possono soprassedere questo obbligo”, sottolineando poi che i diritti umani sono fondamentali per prevenire il conflitto.
“Nel mondo odierno, è anche assicurando il primato dei diritti umani, che il conflitto può essere prevenuto”, ha continuato Guterres, sostenendo che gli obiettivi dell’Agenda 2030 possono essere raggiunti solo attraverso la promozione di questi e del Diritto Internazionale Umanitario. Tuttavia, c’è ancora una certa resistenza da parte di alcuni Soggetti internazionali a supportare le Nazioni Unite riguardo questo tema, ha “svelato” Guterres: “dobbiamo superare la falsa dicotomia tra diritti umani e sovranità nazionale. Questi vanno mano a mano. Non c’è contraddizione”.
Ancora, Guterres ha avvisato che il mondo della Dichiarazione Universale non ha ancora trovato riscontro con i fatti, rimane la disuguaglianza di genere, rimane la xenofobia, rimane il razzismo e l’intolleranza, incluso l’anti-semitismo e l’odio contro i musulmani, rifugiati e gli immigrati; e ha aggiunto poi dei commenti sulla situazione dei musulmani Rohingya in Myanmar.
Dopo di lui, anche Zeid Ra’ad Al Hussein, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha preso la parola. E, dopo il Segretario, anche lui ha iniziato il proprio discorso accogliendo favorevolmente il voto unanime del Consiglio di Sicurezza per il cessate il fuoco in Siria.
Ma laddove Guterres ancora usa il solito tono diplomatico, pari a molti altri discorsi, sui temi più disparati, Zeid Ra’ad Al Hussein sembra volersi sbarazzare dei toni mediatori imposti dal suo ruolo istituzionale. E lo dimostra fin da subito, quando dice che sarà davvero una lotta all’ultimo sangue tra lui e chi cerca di “farlo inginocchiare in segno di supplica”.
Al Hussein, infatti, prima dice che la risoluzione in Siria deve essere vista con uno spirito diverso rispetto a tutte le altre, che hanno invece continuato a permettere sette anni di “uccisioni di massa”. Ricorda che “questa mattina, gli attacchi aerei sono continuati”. Poi dice: “Più volte il mio ufficio e io abbiamo portato all’attenzione della comunità internazionale le violazioni dei diritti umani, che dovrebbero servire come limite prima della azione preventiva. Invece, c’è sempre stata un’azione minima. E dato che questo è l’ultima volta che faccio un discorso alla sessione d’apertura come Alto Commissario, voglio essere brutale”.
Per l’Alto Commissario le responsabilità delle violazioni dei diritti umani da parte di chi uccide e mutila ricade “sui cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Finché il veto verrà usato da questi per bloccare l’unità d’intenti, quando invece ce n’era più bisogno possibile e quando questa unità poteva ridurre l’estrema sofferenza di persone innocenti, beh fino a quel momento sono loro, i membri permanenti, che dovranno rispondere di queste vittime”. Al Hussein non ce l’ha tanto su con Francia e Gran Bretagna, che anzi elogia. L’attacco è rivolto a Cina, Russia e Stati Uniti, perché finiscano di usare in modo così dannoso questo potere, e chiede loro di farlo “per l’amor di Dio”.
E, parlando dei diritti umani, poi, Al Hussein aggiunge: “Molti a New York vedono il pilastro di Ginevra – quello dell’UNHCHR – non abbastanza seriamente”. Mentre sull’Europa arriva l’attacco frontale che accende gli animi della mattinata: “Oggi, l’oppressione è di nuovo di moda; lo stato di sicurezza è tornato, e le libertà fondamentali vengono ritrattate in ogni regione del mondo. E anche la vergogna viene ritrattata. Xenofobi e razzisti stanno abbandonando ogni senso di pudore – come Viktor Orban che nel mese di febbraio ha detto ‘non vogliamo che il nostro colore… si mischi con altri’. Ma sanno che cosa succede alle minoranze nelle società in cui i leader cercano la purezza etnica, nazionale e razziale?”. Nessuna pietà dunque, da parte sua, come aveva già mostrato durante tutto il suo mandato. Un mandato che lascia, così, con fierezza. Senza mai aver avuto peli sulla lingua – una qualità più unica che rara nel suo ruolo. E senza davvero aver ceduto alle minacce di chi minacciava “l’integrità della sua voce”.
E non è tardata la risposta dell’Ungheria. Prendendo la parola, Péter Szijjártó, Ministro degli Affari Esteri, mostra tutta la sua furia. La linea che intercorre tra diritti umani e sicurezza nazionale, l’ha rilevata anche lui, quasi come Guterres. E su questo c’è poco da discutere: nella mitezza di Guterres quasi chiunque ci si ritroverebbe. Ma rispetto a Guterres lo scontro nei confronti di Al Hussein è plateale: “Avere una vita sicura è un diritto, e l’obbligo di responsabilità della comunità internazionale è garantire questo diritto a tutti, nel luogo in cui vivono”, ha continuato il Ministro ungherese, dicendo che le Organizzazioni Internazionali che firmano dei progetti “pro-immigrazione”, sono irresponsabili e, allo stesso tempo pericolose. Sziijjártó ribadisce il concentrato, già sentito più volte, composto da immigrazione, terrorismo…e razzismo.
E ad Al Hussein direttamente dice: “Ci ha comparati ai peggiori dittatori… accuse che devo rigettare”. Crede infatti, il ministro ungherese, che Zeid Ra’ad Al Hussein debba “dimettersi dalla sua posizione dopo queste sue accuse, dopo il suo discorso e il suo comportamento”, e che debba farlo “fin da oggi”. Per Szijjártó, infatti, “le Nazioni Unite non si dimostrano abbastanza democratiche”. Anche se forse avrebbe dovuto dire che in realtà non si dimostrano tutt’oggi sufficientemente decise e esplicite. Nonostante ci abbia pensato una volta tanto l’Alto Commissario Al Hussein a denunciarlo, meritando pienamente gli applausi di un’uscita in grande stile.