Nel mondo sono ancora 795 milioni le persone che soffrono la fame: un abitante della Terra su nove non ha abbastanza cibo. Con conseguenze notevoli in diversi settori: una persona malnutrita non può lavorare, un bambino che non si nutre a sufficienza non può imparare gli insegnamenti ricevuti a scuola per non parlare dei problemi della crescita. Nel XXI secolo, fame e malnutrizione causano più danni alla salute di quanti ne provocano AIDS, malaria e tubercolosi insieme.
Eppure ogni anno, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo (pari a 1/3 della produzione totale destinata al consumo umano) finiscono nella spazzatura. A ricordarlo è l’ONU con la FAO che ha ribadito che nei Paesi industrializzati, 222 milioni di tonnellate di cibo vengono buttate, una cifra simile all’intera produzione alimentare dell’Africa Subsahariana (che è di 230 milioni di tonnellate). Negli Stati Uniti il 40% del cibo prodotto finisce in discarica. In Europa si sprecano in media 180 kg di cibo pro-capite all’anno. Il paese in cui si spreca di più è l’Olanda (con 579 kg pro-capite all’anno); quello dove minore è lo sperpero è la Grecia (44 kg pro-capite all’anno,forse anche a causa della crisi economica). In Gran Bretagna 6,7 milioni di tonnellate di cibo ancora perfettamente consumabile finiscono tra i rifiuti, per un valore annuale di 10 miliardi di sterline. In Italia si sprecano 149 kg di cibo per persona (anche qui, con la crisi economica lo spreco di cibo si è ridotto del notevolmente). Uno spreco che ha un valore economico che si aggira intorno ai 13 miliardi di euro all’anno.
Diverse le cause di questi sprechi: innanzitutto quelle a monte della filiera agroalimentare, in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola; e poi quelle durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale. A queste si aggiungono gli sprechi domestici (ad esempio gli alimenti acquistati e lasciati scadere nel frigo o nella dispensa).
Numeri che stonano non poco con altri dati distribuiti sempre dalla FAO: nonostante le promesse fatte nel 2000 nei Millenium Goals, gli obiettivi che i paesi del mondo hanno fissato per il 2030 (ma un primo step avrebbe dovuto essere raggiunto nel 2015), la fame nel mondo continua ad essere un problema serio. Anzi negli ultimi decenni la situazione è drasticamente peggiorata: dal 1974 a oggi lo spreco alimentare nel mondo è aumentato del 50%.
Eppure miliardi di tonnellate di cibo che finiscono nella pattumiera. Sprecare cibo significa anche sprecare le energie e le materie prime che sono servite per produrre quel cibo. A cominciare dall’acqua. Il 70% delle risorse di acqua potabile disponibili vengono destinate all’agricoltura e all’allevamento. Sprecare così tanto cibo significa buttare una quantità di acqua potabile che potrebbe servire per ridurre le carenze idriche di molti paesi del mondo. Secondo una ricerca dell’Università di Napoli, lo spreco alimentare in Italia causerebbe una perdita di 1.226 milioni di metri cubi d’acqua (impiegata per la produzione del cibo che è poi stato gettato via senza essere consumato). Con questa quantità sarebbe possibile soddisfare la domanda di acqua di 19 milioni di italiani (e invece in molte parti del Bel Paese l’acqua è razionata). Ma gli sprechi hanno un peso rilevante anche sulle emissioni: per produrre beni alimentari che poi finiscono nella spazzatura senza essere consumati vengono sprigionati nell’atmosfera 24,5 milioni di tonnellate di biossido di carbonio. A questi si aggiungono le emissioni di CO2 per il trasporto di prodotti che non servono a nessuno (pari a 14,3 milioni di tonnellate di CO2).
Anche i paesi “virtuosi” in molti settori, quando si parla di sprechi di cibo presentano i loro limiti: in Svezia, ad esempio, ogni anno, l’industria alimentare e la distribuzione causano la perdita di quasi un quarto di milione di tonnellate di cibo. Qui mediamente una famiglia butta nella spazzatura il 25% del cibo acquistato. Uno spreco tale che Kristina Liljestrand, della Chalmers Tekniska Högskola e vincitrice, nel 2015, del Renova environmental award proprio con una ricerca sulla riduzione dei rifiuti alimentari, ha suggerito alle imprese della filiera alimentare strumenti specifici “in grado di ridurre sia i rifiuti alimentari che l’impatto ambientale dei trasporti alimentari”. “E’ difficile capire la reale portata dei rifiuti alimentari in Svezia” ha detto. È come se una fila di 23.000 camion pieni di alimenti (lunga 430 km) li portasse in discarica.
Secondo la Liljestrand basterebbe “un ritocco dei sistemi logistici, per garantire che il cibo mantenga una buona qualità e duri il più a lungo possibile quando raggiunge il negozio”. Il suo studio ha indicato nove passaggi che potrebbero essere modificati per migliorare la logistica del cibo: “E’ necessaria la collaborazione per creare sistemi efficaci che vadano dall’inizio alla fine, in modo che i prodotti alimentari raggiungano i negozi in tempo”. Strumenti come il fattore di carico (ovvero se lo spazio sui bancali, nelle casse e nei camion è utilizzato bene o no) oppure la percentuale di trasporti intermodali (dove il trasporto su strada è combinato al trasporto ferroviario o marittimo) e molti altri.
In molti altri paesi, però, (e l’Italia è tra questi) il problema dello spreco alimentare resta irrisolto: un fenomeno che pone interrogativi non solo sull’efficienza dei moderni sistemi internazionali gestiti dalle multinazionali ma anche sugli squilibri di consumo nel mondo e sulle disparità sociali che in barba alle promesse fatte dai leader globali continuano ad esistere. Anzi, stando agli ultimi dati della FAO, pare che stiano aumentando.