In troppi paesi Ue, fortunatamente non in Germania, torna periodicamente a spirare il brutto vento del nazionalismo e del razzismo europei che tante morti e distruzioni hanno generato nello scorso secolo. Si tratta di vampate di follia attizzate su singole questioni, che le passioni popolari vivono con intensità e partecipazione. E’ grave che forze politiche, e persino qualche governo, si prestino al gioco per calcoli elettorali: infatti, è essenziale, in queste vicende, non tanto il fatto in sé quanto la percezione che la gente acquisisce, anche per scelte di politici e media.
Da qualche tempo l’occasione per far leva sui vizi inconfessabili degli europei, viene dalle immigrazioni selvagge. Per sgombrare il campo da equivoci, iniziamo da due affermazioni. La prima: il problema esiste e i governi dei paesi membri hanno fatto tutto il possibile perché imputridisse e non trovasse soluzione a livello di Unione. La seconda: l’emigrazione “economica” (ricerca di un lavoro in Europa), è cosa diversa dal chiedere un asilo per scampare a morte, tortura, prigionia. Il primo caso chiede regole certe e il loro rispetto, il secondo impone l’accoglienza in base al diritto umanitario delle genti.
Piace a certe forze politiche non distinguere, generando la percezione che il fenomeno degli arrivi sia comunque devastante e ipotechi il mantenimento di una civiltà (la nostra) costruita nei secoli. L’analisi dei numeri dice quanto alta sia l’intossicazione delle opinioni pubbliche. In paesi come Italia, Spagna, Grecia, e nelle nuove democrazie dell’Europa centro-orientale le inchieste d’opinione testimoniano come, nell’opinione della popolazione, si ritenga che ci siano numeri di emigrati nettamente superiori al vero, in termini sia assoluti che percentuali. Se a detta percezione si aggiungono dati effettivi come quelli verificabili in presenza di immigrazione incontrollata (problemi di sicurezza, igiene, affollamento di certe aree o inurbamenti, costo finanziario per le casse pubbliche in tempi di crisi e disoccupazione) si comprende che la miscela esplosiva del risentimento resti solo in attesa di un innesco politico qualsivoglia per detonare. Sta accadendo in molte parti d’Europa: Recentemente, in Italia, è accaduto a Roma e in Veneto.
Il cattivo spettacolo offerto dal Consiglio dei ministri di lunedì, nel discutere di reinsediamento (spostamento di persone da paesi extraeuropei di prima accoglienza verso l’Europa) e di ricollocamento (spostamento da un paese membro, in particolare Grecia e Italia, verso altro paese membro), è stato generato da quanto su esposto. I numeri dicono con evidenza che la Commissione non ha ottenuto ciò che voleva: ricollocare 40.000 rifugiati (ne partiranno 32.256) attraverso i paesi membri, praticando il principio di umanità verso i rifugiati e di solidarietà verso i paesi membri che hanno dato, volenti o nolenti, la prima accoglienza. E fa pensare il constatare che, dove non era richiesta solidarietà tra europei, sui reinsediamenti, le cose siano andate meglio. A parte l’Ungheria, rinchiusa dal governo nel bunker dell’isolamento, tutti i paesi hanno accettato reinsediamenti, mentre diversi (Regno Unito, Danimarca, Austria) hanno rifiutato anche un solo ricollocamento).
Si è tuttavia affermato il principio che il ricollocamento sia materia dell’Unione. E molti paesi che alla vigilia si erano presentati con offerta zero per i ricollocamenti, hanno in realtà accettato di fare la loro parte, anche se al ribasso. Ancora più significativi i comportamenti dei paesi guida dell’Ue, Germania e Francia: la prima si è fatta carico di una quota superiore alla richiesta della Commissione, la seconda ha accettato senza volere sconti. In tempi grami bisogna contentarsi.