Il 22 marzo si svolgerà in Francia il primo turno delle elezioni dipartimentali. Si tratta di elezioni non particolarmente importanti in sé (più o meno il corrispettivo delle elezioni provinciali in Italia), ma che importanti lo diventeranno di sicuro, anche a livello internazionale. Il 22 marzo, infatti, tutto il mondo scoprirà con stupore e costernazione quello che in Francia si sa già da un pezzo: che quelle elezioni saranno vinte dal Fronte nazionale.
Si tratta della seconda consultazione a livello nazionale in meno di un anno. Anche la volta scorsa – le europee del maggio 2014 – il Fronte nazionale (FN) era risultato il primo partito francese. Nel frattempo, a febbraio, un’elezione parlamentare suppletiva in una circoscrizione tradizionalmente socialista, nel Doubs, è stata vinta sì dal candidato socialista, ma con un margine strettissimo (51% a 49%, circa ottocento voti) nei confronti della candidata del FN.
Bisogna quindi cominciare ad abituarsi a un panorama politico francese in cui il FN è – stabilmente – il primo partito. È possibile che, per effetto del sistema elettorale a due turni, la cosa non abbia ripercussioni dirette: ricordiamo che nel 2002, quando Jean-Marie Le Pen riuscì ad accedere al secondo turno delle presidenziali, quasi tutto lo spettro politico restante si coalizzò intorno alla candidatura di Jacques Chirac, che fu eletto con l’82% dei voti. È grazie a quello stesso marchingegno elettorale che il FN, pur avendo ottenuto il 13,6% alle legislative del 2012, ha solo due deputati, mentre il Front de Gauche, che ha ottenuto il 7%, ha dieci deputati, e il Partito radicale di sinistra, con il suo magro 1,6%, ha dodici deputati.
Non si tratta qui di valutare il tasso di “democraticità” di un sistema elettorale che permette a un minuscolo partito che raccoglie l’1,6% dei voti di avere il 2% dei deputati e ad uno che ha il 13,6% dei voti di avere lo 0,3 dei deputati. Si può solo notare, di sfuggita, che molti democratici si felicitano che la legge non permetta, a chi ottiene più voti, di vincere le elezioni.
Fino a prova contraria.
Le condizioni che avevano permesso a Chirac di affermarsi con più dell’80% dei voti espressi nel 2002, infatti, potrebbero non ripetersi nel 2017. Quasi certamente non si ripeteranno nel caso in cui, al secondo turno, si trovassero di fronte un socialista e un(a) rappresentante del FN. Se nel Doubs, tradizionalmente socialista, la candidata del FN ha ottenuto il 49% dei voti espressi, in un’elezione nazionale – ove la tradizione è lungi dall’essere favorevole alla sinistra – è del tutto plausibile che l’eventuale (certa) candidata del FN possa essere eletta contro un eventuale (benché assai improbabile) candidato socialista.
Intendiamoci: il primo partito, in Francia come altrove, è l’astensione. Al secondo turno delle elezioni suppletive nel Doubs, il 50% degli aventi diritto non ha votato; il che significa che i due candidati hanno raccolto, in realtà, il 25% dell’elettorato totale. Alle europee dello scorso anno, contando l’astensione, il FN aveva in realtà raccolto attorno al 10% dell’insieme dell’elettorato.
Resta nondimeno il fatto che, tra i partiti che gli elettori sono disposti a votare, il FN risulta il più popolare. E che, anche se non dovesse superare il 10% dell’elettorato, quello score gli sarà sufficiente per governare i dipartimenti e, quasi di sicuro, per portare la sua candidata al secondo turno delle presidenziali del 2017.
Il successo del FN è in gran parte l’effetto dello sforzo combinato dei due partiti maggiori – il Partito socialista (PS) e il partito ex-gollista, l’UMP di Nicolas Sarkozy – che lo hanno costruito con una serie di operazioni degne di un manuale: come far vincere le elezioni al nostro peggior avversario.
Regola numero uno: la demonizzazione. Fu la scelta del socialista François Mitterrand nella seconda metà degli anni Ottanta per sconfiggere il suo rivale Jacques Chirac. La demonizzazione di un FN, di cui solo pochi adepti del manganello e dell’olio di ricino avevano fin lì sentito parlare, ha permesso di fargli una enorme campagna pubblicitaria che lo ha proiettato nei piani alti della competizione elettorale, permettendogli di sottrarre – e quello era lo scopo – voti decisivi alla “destra per bene” di Chirac (che perse le elezioni nel 1988).
Regola numero due: tentare di rioccupare lo spazio elettorale perduto, inseguendo il FN sul suo terreno. È quello che ha fatto la “destra per bene” per anni, alimentando le paure per una criminalità che in realtà è tra le più basse d’Europa, per un’immigrazione clandestina che in realtà è una minima frazione (tra il 2 e il 10%) dell’immigrazione totale, per un’immigrazione massiccia che in realtà massiccia non è perché i saldi migratori positivi della Francia sono tra i più bassi d’Europa, per un’immigrazione musulmana in realtà che è minoritaria (circa il 40%) tra gli immigrati che entrano nel paese ogni anno.
Regola numero tre: scaricare tutte le colpe degli insuccessi francesi sugli “altri”, e in particolare sull’Unione europea, sulla Germania, sul “neo-liberalismo anglosassone”, sull’euro, e così via. È quanto hanno sistematicamente fatto tutti i partiti, di destra e di sinistra, che si sono alternati al potere in Francia negli ultimi decenni.
Regola numero quattro: considerare la politica solo come un’elezione ininterrotta, per cui la sola preoccupazione del PS e dell’UMP a partire dal giorno dopo le elezioni del 2012 è stata come vincere le elezioni del 2017.
Regola numero cinque: pensare che i migliori candidati del PS e dell’UMP per il 2017 possano essere un presidente in carica che ha fallito su quasi tutti i fronti e che ha avuto il tasso di popolarità più basso di tutti i presidenti francesi di tutti i tempi, e un ex-presidente sconfessato dai suoi stessi elettori, che torna alla carica assetato di vendetta nonostante una lunga serie di procedimenti giudiziari in cui è, in un modo o in un altro, implicato.
Regola numero sei: passare tutti i santi giorni che ci separano dalle elezioni dipartimentali a parlare solo ed esclusivamente del FN, come fanno tutti i rappresentanti politici dei partiti ad eccezione… del FN (il vice-presidente del FN ha detto che sarebbe l’ora di parlare d’altro).
Regola numero sette: essere primo ministro e dichiararsi “angosciato” di fronte alla crescita del FN. Una gran bella prova di autorità e di fiducia in sé.
Per ora, l’abilità politica di Marine Le Pen si è limitata a stare (più o meno) compostamente seduta sulla riva del fiume ad aspettare che la corrente trascini via con sé i cadaveri politici dei suoi avversari. Di abilità politica, se del caso, si potrà parlare solo quando, infine priva di rivali così preziosi, si troverà per la prima volta a doversi fare propaganda da sé.
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