Paolo Serra è il generale di corpo d'armata italiano che ha comandato la forza multinazionale dell'UNIFIL in Libano per 30 mesi, dal gennaio del 2012 al luglio del 2014. Torinese classe 1956, ufficiale degli Alpini, prima del Libano Serra è stato al comando di forze della NATO in Kosovo e in Afghanistan. Adesso Serra è il consigliere militare dell'ambasciatore Sebastiano Cardi presso la Missione d'Italia alle Nazioni Unite. A prendere il suo posto la scorsa estate al comando dei caschi blu dell'ONU in Libano, è stato chiamato il generale di divisione Luciano Portolano. Proprio la scorsa settimana nel Sud del Libano la tensione è tornata altissima a causa degli scontri tra Hezbollah e le truppe israeliane (due soldati di Israele sono rimasti uccisi e altri feriti), in cui ha perso la vita anche un soldato dell'UNIFIL, lo spagnolo Francisco Javier Soria Toledo. E intanto dalla Siria, le atrocità commesse dall'ISIS fanno intravedere le nubi di altre possibili tempeste che potrebbero coinvolgere le truppe ONU in Libano che, lo ricordiamo, hanno nelle loro fila oltre 1100 soldati italiani.
Il generale Paolo Serra ha concesso alla VOCE di New York questa intervista in cui ha accettato di analizzare non solo la sua passata esperienza in Libano, ma anche l'attuale situazione e i possibili futuri scenari.
Generale Serra, lei ha terminato la missione che aveva iniziato nel gennaio 2012 in Libano lo scorso luglio. La sua missione, rispetto a quello che sta accadendo adesso, la reputa più facile, più gestibile rispetto a quella iniziata dal suo successore, il generale Luciano Portolano?
"E’ una buona domanda. Quando io ho ricevuto l’incarico in Libano, la crisi in Siria incombeva già con tutti i suoi problemi. Dal punto vista dell’ONU, c’era veramente tanta ansia sulla possibilità che la crisi siriana si estendesse anche alla parte libanese e quindi io avevo questo fardello di responsabilità oltre a quello classico relativo ai tre ambiti della missione: monitorare il “cessate il fuoco”, supportare le forze armate libanesi e assistere la popolazione civile. Il problema della Siria è stato gestito in maniera straordinaria dalle autorità libanesi che con la 'dichiarazione di Baadba' avevano praticamente indicato la loro volontà di non belligeranza e quindi la volontà di distaccarsi da qualsiasi tipo di attività militare che si svolgesse ai loro confini. Ma non basta non volere partecipare, perché era interesse di altri di voler attirare anche il Libano nella grande palude delle crisi mediorientali. Ed infatti nel Nord ci sono state interferenze violente di vari gruppi che si alternavano: prima erano gruppi a base sunnita, poi gruppi a base sciita. La parte Sud, che è quella sotto il controllo di UNIFIL, è sempre stata più protetta anche perché avevamo 12 mila soldati di 37 nazioni che dimostravano la volontà della comunità internazionale non soltanto di voler mantenere il Libano fuori dai classici problemi con Israele, ma anche di tenerlo fuori da tutte le potenziali crisi che potessero nascere. Poi c’è stata l’evoluzione della crisi siriana che ha portato alla emergenza dei profughi che, come ho sempre detto, essi non erano il problema ma erano la risultanza di un problema che era dall’altra parte del confine. Siamo arrivati ad avere dei numeri straordinari, più di un milione di rifugiati che erano stati legalizzati dall’UNHCR, ma se ne stimavano almeno altri 250 mila in attesa di essere regolarizzati. Quindi equivalenti a un quarto dei cittadini libanesi, sarebbe come se in Italia avessimo 15 milioni di rifugiati! Quindi gli ospedali, le scuole e le istituzioni del Libano erano state completamente travolte; nel Sud l'ondata di rifugiati ha avuto un minor impatto perché lì all'inizio della crisi erano presenti numerosi operatori agricoli che erano ricongiunti con le loro famiglie, quindi non era un flusso di rifugiati ma una “riunione di famiglie” che poi, nel tempo, si è allargata. Siamo arrivati ad avere circa 40 mila rifugiati anche nel Sud contro 600 mila abitanti normalmente residenti… "

Il generale Paolo Serra durante il suo comando delle forze UNIFIL
Qui siamo nel 2013…
"Sì nel 2013 e andiamo verso la punta della crisi che arriva nel settembre quando la comunità internazionale, sotto l’egida statunitense, aveva minacciato l’intervento armato in Siria contro il regime di Al-Assad; a quel punto io ero pronto a dare l’evacuazione delle famiglie dei civili perché pensavo che se questo attacco fosse avvenuto, sicuramente anche il Sud avrebbe corso maggiori pericoli e non volevo avere anche l’impedimento ad agire dei 3 mila civili…"
Parla dei familiari dei soldati?
"Parlo dei familiari dello staff dell’ONU locale e internazionale, non dei soldati…"
Quindi è stato un momento di grande attenzione e preoccupazione…
"Certo, perché bisognava da una parte convincere le famiglie a prepararsi per andare via, dall’altra mantenere un’attività di routine che potesse mantenere la nostra zona sotto controllo".
Lei individua in quel momento la crisi al suo livello massimo?
"Quello è stato un momento di altissima crisi politica perché avrebbe probabilmente coinvolto la Siria e il Libano. Un problema del quale non si sapeva quale sarebbe stato il futuro e sul quale noi non potevamo agire, perché la difficoltà è non avere la possibilità di agire su una problematica. Sulle altre tematiche io potevo agire ed infatti lo abbiamo fatto dando l'avvio all’International Support Group per il Libano. Abbiamo schierato la comunità internazionale a favore delle idee del Libano di mantenersi separato dalla guerra; quindi con l’apporto straordinario di Sir Derek Plumby, che era il rappresentante speciale del Segretario Generale Ban Ki-moon in Libano, e degli ambasciatori dei paesi che erano in Libano, abbiamo reso reale questo International Support Group che ha aiutato le forze armate, i profughi e la gestione dell’economia. Quindi i profughi, dall' essere un problema solo del’UNHCR, in Libano sono diventati un problema per il mondo ed il mondo ha dato il proprio sostegno con il quale sono state salvate tante vite umane. La parte dell’economia ha fatto la stessa cosa: il Libano ha una struttura economica che per un occidentale è difficile da capire, è molto complicata quindi la Banca Mondiale ha fatto una attenzione particolare per poter sviluppare le attività lavorative per sostenere il grande sforzo che stavano facendo. Stessa cosa per le Forze Armate che erano e sono la spina dorsale del Paese in cui tutte le varie comunità si vedono rappresentate".

Il Generale Serra con il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon
Quindi l’UNIFIL su questi aspetti anche economici ha avuto un ruolo…
"L’UNIFIL ha un ruolo completo nella vita del Libano, quindi il Comandante è ascoltato come sono ascoltati i grandi elettori. L'attuale comandante, il generale Portolano, in questi giorni di crisi è andato a parlare con il Primo Ministro, ha parlato con il Presidente della Camera; cioè, ci sono degli scambi che sono sempre tali per esprimere il rinforzo del sostegno della comunità internazionale per questo Paese".
Ci sono fonti di stampa che dicono che Israele, dopo lo scontro dello scorso weekend, per segnalare ad Hezbollah che non era interessata ad una escalation del conflitto, abbia comunicato attraverso UNIFIL che a sua volta ha comunicato ai libanesi quali erano le vere intenzioni di Israele. Lei ci conferma che questo è anche un ruolo della missione UNIFIL…
"Questo è verosimile. Il Force Commander nella sua opera di mediazione ha anche la funzione di essere il ponte fra i due Paesi che non si possono parlare dato che sono ancora in uno stato di guerra. Quindi una volta al mese suvviene un incontro strutturato, l'incontro tripartito, in cui i rappresentanti militari con il backup politico delle proprie nazioni, vengono a trovarsi in un’aula comune dove con il sostegno di UNIFIL che dirige l’interazione fra i due Paesi si parla dei problemi di sicurezza, si cercano soluzioni, si cerca di capire perché la controparte abbia effettuato certe scelte. Ma questo è rituale, quando invece succede qualche problema, immediatamente il Force Commander, o per telefono o per videoconferenza, ha la capacità di parlare con entrambi i Paesi. Il F.C. UNIFIL non parla direttamente con Hezbollah, perché non è un suo interlocutore, essendo un partito politico che da altre parti è anche visto diversamente (per gli USA è ancora caratterizzato come una organizzazione terroristica, ndr). Abbiamo lo Special Envoy delle Nazioni Unite che per mandato deve parlare con tutti i partiti, quindi il Force Commander tramite lo Special Envoy può raccogliere quelli che sono i messaggi di altri che non sono le istituzioni con le quali lui si confronta. Se viene richiesto di passare questi messaggi, questi vengono trasmessi".
Ecco, andiamo alla crisi della scorsa settimana. Sembrerebbe che quella degli Hezbollah sia stata una ritorsione contro le forze israeliane per quello che era accaduto la settimana prima in Siria. Una situazione inedita perché fino a quel momento Israele ed Hezbollah non si erano confrontati fuori dallo scenario libanese. Quindi c’era stato un bombardamento di Israele contro forze di Hezbollah in Siria (che combattono contro l'ISIS in supporto del regime di Assad) dove era stato ucciso pure un generale iraniano che era con loro, e lo scontro successivo sarebbe stata la reazione di Hezbollah contro Israele che poi, a sua volta, ha reagito ma questa volta è stato ucciso anche un soldato spagnolo dell’UNIFIL. In queste ultime ore circola un video che era posizionato nella vettura militare dell’ONU e dove ci sono i soldati spagnoli che stanno osservando e alla fine si vedono i colpi che colpiscono la camionetta. Lo scorso venerdì l’ambasciatore spagnolo all’ONU ha detto che i colpi che hanno ucciso il casco blu arrivavano da Israele; ma se le forze ONU sono oggetto di fuoco, possono reagire come avviene per esempio in Mali? In Libano è stato un incidente? Ma se questo si ripetesse quali sono le rules of engagement?
"Per precisione bisogna dire che l’attacco svolto contro Hezbollah in Siria non è mai stato confermato da Israele. Né confermato, né smentito da parte di Israele. Tutto il resto è verosimile, ovvero che l’attacco sia stato fatto da Hezbollah e quindi sia avvenuta una rappresaglia, che è un classico dell’autodifesa, che comunque viene indicato da parte del F.C. di evitare: quando succedono queste cose l’ONU chiede che lo si avvisi. Prima che succeda tutto l’ONU vuole essere messo al corrente per poter agire; sono stati innumerevoli sotto il mio comando, i momenti in cui l’UNIFIL è intervenuto prima che succedesse il danno. Questo non sempre accade però. Le regole d’ingaggio hanno diversi livelli di risposta ma quella per l’autodifesa è sempre garantita. Paragonare l'incidente libanese con quello che succede in Mali? Lì le forze dell’Onu sono il bersaglio di azioni volontarie, quindi la difesa è una reazione diretta contro chi ci attacca. Ma quello della settimana scorsa non era un attacco diretto alle forze dell’ONU…"
Lei lo esclude, ma abbiamo sentito dire che la postazione ONU era in una posizione conosciuta, dove i caschi blu si trovano sempre. E’ stato un errore?
"Avevo fatto una differenza fra personale che vuole danneggiare e colpire le forze dell’ONU e quando l'ONU si trova in una posizione che invece viene colpita per errore. L’errore purtroppo non è impossibile, perché un tiro diretto è più difficile sbagliarlo, ma con un tiro con armi che usano il secondo arco, mortai, artiglierie, con sorgenti di fuoco poste a 20 km di distanza, la dispersione del fuoco è tale per cui un colpo può arrivare più lungo o più corto, ma escludo totalmente che questi colpi siano stati sparati intenzionalmente contro le forze dell’ONU".
Il primo ministro Netanyahu, ha chiamato il Segretario Generale dell’ONU e oltre ad esprimere le condoglianze per la morte del casco blu, si è lamentato con Ban Ki-moon perché le forze UNIFIL non starebbero rispettando la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza. In maniera specifica, il premier israeliano si riferiva alla circolazione di armi nella parte Sud. Al press briefing abbiamo chiesto al portavoce cosa abbia risposto il Segretario Generale al premier israeliano e ci è stato risposto che la missione UNIFIL cerca sempre di ottemperare alla sua missione al meglio delle sue possibilità. L’UNIFIL non sta completamente rispettando la risoluzione, ha ragione Israele? Come si dovrebbe rispondere al governo israeliano che critica l’UNIFIL?
"Bisogna risalire al mandato. In uno dei punti del mandato, monitor, support ed assist, dove per 'support' intendiamo supportare le forze armate libanesi e il governo libanese assicurando che l’area UNIFIL sia priva di armi non autorizzate dal governo. Il fatto che dalla parte meridionale del Libano siano partiti dei razzi contro Israele automaticamente fa capire che questi razzi c’erano. In questo senso, UNIFIL non ha completamente sviluppato la sua attività. D'altra parte UNIFIL non fa passare alcuna arma ma se queste armi non ci sono o non si vedono, per noi non esistono. Quindi in un territorio che ha visto quaranta anni fi guerra, con estesi bananeti e aranceti, aree da dove usualmente vengono lanciati razzi con rampe rudimentali, è molto facile trovare anche dei residuati che possono essere usati. Non so se ci sono delle armi nuove. Io non ne ho mai viste, altrimenti le avrei requisite".
Quindi l’accusa di Israele nei confronti dell’UNIFIL di farsi passare sotto il naso movimenti di armi, lei la respinge? L’UNIFIL farebbe il possibile, ma garantire al 100% diventa forse impossibile?
"Direi che oggi è ancora più difficile garantire l'impermeabilità del settore, anche per il flusso dei profughi provenienti dalla Siria. Abbiamo avuto palestinesi, sunniti, il cui campo in Siria è stato occupato dalle forze siriane governative a base sciita. Queste persone che hanno cercato rifugio in Libano, erano in maggior parte donne e bambini, ma è probabile che ci fossero anche individui appartenenti a cellule operative che volessero estendere la guerra in altre parti. E’ verosimile che ci sia un trasporto di armi? Sicuramente quando UNIFIL vede armi, le confisca".
Torniamo al suo successore, il generale Portolano: credo non sia mai successo che in un forza militare multinazionale ONU, si siano alternati due generali della stessa nazionalità. Questo è stato interpretato come un riconoscimento nei confronti dell’Italia. Ma, forse, è anche perché l’Italia resta il Paese occidentale con i maggiori interessi anche commerciali in Libano?
"Più che interessi, parlerei di come l’Italia viene vista dal Libano e da Israele. O in genere da tutto il Medio Oriente. Noi siamo un buon interlocutore con tutti. Abbiamo una politica estera di rispetto, una politica commerciale non invasiva, una politica di cooperazione e sostegno e quindi siamo ben accettati dai vari Paesi. Possiamo permetterci di esprimere dei pensieri anche difficili da digerire per l'interlocutore, ma lo facciamo con la forza di sapere che per noi non c’è un secondo motivo nascosto. Quindi questo secondo me ha evidenziato in maniera positiva la mia parte di missione e ha dato le chance anche all’Italia di riconfermarsi".

L’ultimo saluto del generale Luciano Portolano al feretro del soldato spagnolo dell’UNIFIL Francisco Javier Soria Toledo
Ritorno alla prima domanda, ma vorrei una risposta più precisa…
"Se è più difficile allora o è più difficile adesso? E’ un’evoluzione continua. Lei pensi che pochi giorni prima di Natale del 2013, abbiamo avuto il lancio di razzi dal Libano contro Israele e il giorno prima di Capodanno un soldato libanese ha ucciso un sottufficiale israeliano: tutta la notte ci sono stati contatti per far sì che l’escalation fosse mantenuta sotto controllo, si dormiva poco anche allora di notte…"
Quindi lei è stato nelle stesse situazioni in cui si trova adesso il generale Portolano. Ma qual era il suo incubo che non la faceva dormire di notte quando era in Libano? E cosa teme ancora di più riguardo a questa situazione?
"Lo scenario peggiore è quello di una riapertura delle ostilità tra Israele e Libano. Sarebbe devastante poiché vorrebbe dire che anche quest’ultima parte di Medio Oriente che sta mantenendo la stabilità e alla quale gli altri guardano è perduta. Il Libano oggi è una speranza. Se anche qui si entra in guerra, tutta l’area perde questa speranza. Il Libano è anche per tutti i profughi, un punto di riferimento. Ovvio che non è una pace come la intendiamo noi, continuano ad esserci bombe, sparatorie per strada, lanci di razzi, la minaccia di un’involuzione della pace è forte, però d’altra parte si parla anche di passare dalla attuale cessazione delle ostilità ad un “long-lasting peace”. Io ho speranza".
Per concludere. C’è uno scenario ora che non c’era nella parte iniziale della sua missione, ovvero quello dell’ISIS, dove il nemico principale, secondo una dichiarazione del Califfato stesso, non è Israele ma gli sciiti, gli Hezbollah, appoggiati dall’Iran. L’UNIFIL quindi potrebbe fronteggiare anche questo scenario. Che Israele ed ISIS diventino alleati è davvero difficile pensarlo, però in un combattimento con certe triangolazioni, sembra che gli Hezbollah debbano affrontare due nemici che potrebbero "strategicamente" aiutarsi. Lei cosa ne pensa?
"No, io penso che il terrorismo sia il nemico di tutti oggi. Da tutti gli Stati è visto come qualcosa che distrugge. In questo caso le forze armate libanesi sono il margine che deve difendere il Libano dall’ingresso del Califfato. Nel periodo in cui esercitavo il comando in Libano, il Califfato aveva nominato un responsabile per il Libano che era più una figura di riferimento che non un personaggio operativo sul campo. Le forze armate libanesi hanno come primo target quello di mantenere il Libano isolato, anche dall'influsso che possa avere questo Califfato…"
Ma lei quindi esclude che le forze UNIFIL, nell’eventualità di uno scontro in Libano tra Hezbollah e ISIS, possano intervenire in supporto degli sciiti libanesi? Ricordiamo che ci sono 12 mila soldati ONU, e la seconda forza dell’UNIFIL sono le truppe italiane….
"Le forze italiane sono la prima forza terrestre, come numero, l’Indonesia offre un numero genericamente maggiore ma loro contano anche gli equipaggi di due navi. Direi, per rispondere alla sua domanda, che l’UNIFIL, con i suoi dodicimila uomini, espandibili a quindicimila, ha un grande potere di deterrenza. Ha a disposizione otto navi, dieci elicotteri, armi sofisticate, tecnologia avanzata…"
Abbiamo capito, generale. La ringraziamo molto per questa intervista.
"Grazie a voi".
Un anno fa, avevamo intervistato a New York il Generale Paolo Serra per Radio Radicale e La VOCE quando era ancora al comando dell'UNIFIL. Qui sotto il video
April 2013: a very interesting interview in English with General Paolo Serra during his work as commander of UNIFIL