Il 14 dicembre 1976 Adolfo Suárez, il presidente del governo che il giovane re Juan Carlos ha messo da qualche mese alla testa del processo di democratizzazione della Spagna, pronuncia il discorso del sì al cambiamento. Offre all’opinione pubblica la rottamazione dell’antico regime franchista, apre la società alle riforme e al processo costituzionale che dovrà includere i sindacati dei lavoratori, i partiti d’opposizione, le nazionalità represse nei decenni del clerico-fascismo. Nel messaggio sollecita la società alla concordia e alla pace civile, evocando a breve un governo eletto dalla maggioranza dei cittadini, capace di rispetto per la minoranza sconfitta. Termina, guardando le telecamere: “Adesso la parola è a voi”.
L’avvenimento è clamoroso. Suárez era stato il ministro del “Movimento” di regime. Il re sedeva sul trono come figlioccio del dittatore, non come erede del titolo di suo padre Juan di Borbone, verso il quale Franco aveva inimicizia. Solo in seguito si capirà che i due rappresentano la nuova generazione, e all’unisono “sentono” il vento nuovo da cui vuole essere portato il popolo spagnolo. Altro elemento da considerare per la valutazione in sede storica: il discorso è pronunciato nel pieno del sequestro, attribuito ai Grapo, gruppo paramilitare di estrema sinistra, del presidente del Consiglio di stato, José María de Oriol.
Suárez chiama al referendum sulla riforma politica e consegna al popolo l’occasione di libertà e democrazia, contro i poteri “di fatto” che non ne vogliono sentir parlare. Il giorno dopo, dice sì più del 94% dei votanti. A giugno, si terranno le prime elezioni e saranno vinte dal partito di centro nel frattempo creato da Suárez. Alla fine del 1978 la nuova costituzione. Arriverà anche in Spagna il tempo del “desencanto” per la politica corrotta, ma in quel momento la svolta è condivisa e unanime.
Del discorso di quel martedì di quasi quarant’anni fa, e degli avvenimenti di quell’anno fondamentale per la costruzione della democrazia in Spagna e nell’intero Sud Europa (Grecia e Portogallo attraversavano processi simili e l’Italia passava tra turbolenze che attentavano anche alla costituzione democratica), scrive ora Rafael Ansón, nel libro El año mágico de Adolfo Suárez, presentato sabato 6 dicembre a Madrid. L’autore, amico e confidente dell’allora presidente del governo, fu con lui Direttore generale della TV pubblica, RTVE. Ricorda con affetto il leader e giudica con generosità la sua azione, che sostenne dal pulpito della catena radiotelevisiva pubblica. Ansón scrive in modo complice, e restituisce al politico, scomparso qualche mese fa dopo una lunga malattia degenerativa, il posto che merita nella storia del paese e della democrazia europea. Due i meriti che vengono fuori dalla lettura: la disponibilità di quel gruppo dirigente alla perdita del potere per il bene del paese, la rapidità e l’efficacia dei processi di transizione.
L’autore, che è tuttora uomo di comunicazione e giornalismo, esalta il compito svolto dalla radiotelevisione pubblica, in quella fase storica, nella “rieducazione” del popolo spagnolo, per staccarlo dalle condizioni culturali nelle quali era stato allevato ed educato sotto il regime di Franco. Conosco personalmente Rafael, che mi riserva da sempre una signorile amicizia. Una volta gli rimproverai la sottovalutazione della rilevanza di riviste e quotidiani nella transizione spagnola alla democrazia. Mi rispose, con un sorriso sardonico: “I miei telegiornali venivano visti da 20 milioni di spagnoli. Trovami un quotidiano o un settimanale che avesse così tanti lettori”.