Quasi nelle stesse ore in cui la House of Commons britannica approva una mozione non vincolante a favore del riconoscimento dello stato palestinese, Noam Chomsky, intellettuale e linguista impegnato da anni nella battaglia palestinese contro “l’occupazione israeliana”, interviene all’ONU sulla questione, puntando il dito contro gli Stati Uniti.
In occasione dell’anno internazionale della solidarietà con il popolo palestinese, il Professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology è intervenuto alla conferenza stampa e in un incontro presso le Nazioni Unite organizzati dal Comitato dell’ONU per i Diritti inalienabili dei palestinesi (the committee on the exercise of the inalienable rights of the palestinian people).
Secondo Chomsky da Londra arrivano notizie di speranza: “La decisione del Parlamento britannico è indicativa di come le cose possono cambiare se si usa la propria influenza politica per porre fine ai conflitti”.
La mozione del parlamento britannico segue la decisione presa il 3 ottobre dal primo ministro svedese Stefan Löfven di riconoscere lo stato palestinese. Attualmente 134 paesi nel mondo riconoscono la Palestina come stato, ma la Svezia è stato il primo grande paese dell’Unione europea a farlo, dopo Ungheria, Polonia e Slovacchia.
L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato un riconoscimento ufficiale dell’esistenza dello stato palestinese il 29 novembre 2012, qualificandolo come “stato osservatore non membro” dell’Onu. L’Unione europea e la maggior parte dei paesi membri, però, non hanno ancora dato il loro riconoscimento ufficiale.
Chomsky ritiene che la differenza tra la Gran Bretagna, la Svezia e altri paesi europei risiede nel fatto di essere “più democratici degli Stati Uniti. In questi casi la popolazione può realmente influenzare le scelte politiche”.
Anche la Russia ha recentemente dichiarato di essere d’accordo con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che propone la costituzione di due stati entro due anni e il ritiro di Israele dalla Cisgiordania e da Gerusalemme Est.
Chomsky ricorda come a differenza dell'America, l'Europa da anni porti avanti azioni tese a indebolire le politiche israeliane.
È il caso della Direttiva europea del 19 luglio del 2013, con cui Bruxelles impone ai 28 Stati membri di interrompere ogni tipo di cooperazione finanziaria, accademica e bancaria con le entità israeliane di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Alture del Golan, ovvero i territori occupati militarmente da Tel Aviv con la guerra dei Sei Giorni del 1967.
La direzione presa dall’Europa, verso il progressivo riconoscimento della Palestina, secondo Chomsky è indicativa della sua differenza con gli Stati Uniti, da lui ritenuti il nemico numero due, dopo Israele, del popolo palestinese.
Quali sono le colpe della nazione che ancora oggi resta la più influente del mondo, lo spiega il linguista statunitense. Prima di tutto di non prendere le distanze “in modo esplicito dalle azioni criminali portate avanti da Israele” nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania”.
Secondo Chomsky il punto di partenza è la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 1967, votata dopo la Guerra dei Sei Giorni. Proposta da Egitto, Siria e Giordania la risoluzione che sanciva la fine degli insediamenti e degli allargamenti delle colonie israeliane, venne respinta per il veto posto dagli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti sono “colpevoli” di essersi schierati dalla parte di Israele “dal punto di vista militare, economico, diplomatico, ideologico e mediatico”. Una alleanza di ferro che fa dire a Chomsky che “per vent'anni gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per separare Gaza dalla Cisgiordania. In questo modo quale autonomia possono mai avere queste territori?” – si chiede il professore.
Gli Stati Uniti per Chomsky sarebbero una forza parallela a quella israeliana. Infatti “nel novembre del 2005 l'accordo raggiunto è durato due settimane. Nonostante si parlasse di promozione della democrazia, i palestinesi sono stati puniti per il crimine di aver votato male. E così gli USA hanno deciso di organizzare operazioni militari, provocando un'immediata escalation di violenze”. Gli Stati uniti vengono accusati di essere “direttamente coinvolti nell'occupazione”.
Gli USA rappresentano un ostacolo alla pace in Medio Oriente. Lo dimostra “il veto posto dal Presidente Barack Obama tre anni fa alla risoluzione dell'ONU. Gli USA continuano a essere lontani dal voler risolvere il problema”.
La situazione potrebbe cambiare solo se l'opinione pubblica americana riuscisse a pesare maggiormente nelle decisioni prese dai suoi rappresentanti. “Non ci saranno progressi significativi in questo conflitto senza la pressione esercitata dalla popolazione americana sul governo, che lo spinga a prendere una posizione diversa”.
La politica statunitense rischia non solo di fermare il processo di pace in Palestina, ma anche di innescare altri conflitti in Medio Oriente. La nascita dell'ISIS (Stato Islamico di Iraq e Siria) e di altre organizzazioni terroristiche, secondo Chomsky è frutto di una politica estera “colonialista”. La guerra degli Stati Uniti in Iraq, secondo il linguista, ha peggiorato la situazione del paese, creando divisioni etniche e rendendolo fragile il paese. In questo modo gli USA hanno creato terreno fertile per far germogliare i gruppi estremisti dello Stato islamico.
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Di fronte a tutto questo, l'azione della comunità internazionale resta fondamentale, ma non completamente risolutiva. Gli sforzi fatti dalle Nazioni Unite, spesso criticate per la scarsa incisività nella risoluzione dei conflitti mondiali, in realtà vengono apprezzati da Chomsky che sottolinea come le Nazioni Unite “non possono intervenire oltre i limiti stabiliti e per questo che anche Ban ki-moon non poteva fare di più”. La differenza nella risoluzione del conflitto, la fa ancora un volta, la politica statunitense.
Le operazioni militari non sono le uniche armi in mano alla Casa Bianca. Nel libro di Chomsky “Peace in the Middle East. Reflections on justice and nationhood”, lo studioso decostruisce i fatti raccontati da tv e giornali, analizzando il processo che i media americani utilizzano per coprire la realtà e raccontare un' altra versione delle cose.
“L'indottrinamento dei media statunitensi è profondamente radicato nell'informazione. Il loro obiettivo è quello di convincere la popolazione che tutto ciò che è critica a Israele è antisemitismo”.
Uno spiraglio di speranza per lo studioso esiste. “Le cose stanno cambiando, soprattutto tra i giovani, ma il coraggio di pensare deve arrivare anche al resto della popolazione”.
Per Chomsky le prospettive che il conflitto israelo-palestinese si risolva non sono rosee. Secondo lui Israele continuerà a violare la risoluzione del '67 e gli Stati Uniti ad appoggiarlo. “Il futuro che ci aspetta sarà quello che conosciamo: Israele continuerà a fare quello che ha sempre fatto, quello che continuiamo a leggere sui giornali”, dice Chomsky. L'alternativa per il linguista è internazionale: il riconoscimento della soluzione dei due popoli due stati e dello stato d'illegalità degli insediamenti israeliani, come stabilisce la risoluzione del 1967.