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September 22, 2014
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Diario triste da Baghdad. La testimonianza in esclusiva di una suora irachena sulle violenze verso i cristiani

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Time: 5 mins read

Baghdad – Il 6 agosto, a mezzanotte, noi cristiani siamo stati fatti uscire di casa, tra lo spavento e l’orrore, per portarci fuori pericolo rapimento da parte del gruppo terroristico Daaish. Sono partita da Baghdad per Erbil il giorno dopo, con l'aereo delle 13.00 arrivando alle ore 13.45.

La polizia dell’aeroporto mi ha timbrato il passaporto e, mentre aspettavo la valigia, sono arrivati i miei due fratelli. Non ho fatto a tempo a vederli, che mi hanno abbracciato e baciato. Avevano una faccia triste e sofferente… mi hanno fatto soffrire tanto ma ho fatto la brava suora: forte, coraggiosa e sempre sorridente nonostante il dolore che portavo nel cuore. Siamo subito partiti per una zona che si chiama Shaqlawa, verso le montagne, nel Nord. Non si può immaginare in quale spavento vivessero la mia famiglia e le altre migliaia di famiglie scappate da Qaraqosh. Non si può comprendere la miseria e la disumanità di scappare senza nulla, dovendo lasciare tutto in un istante. Ho pensato agli ebrei e a Hitler! Scrivo tra l’angoscia e le lacrime. Mi chiedo, vi chiedo: perché? Chi ha la risposta? Perché succede tutto questo in Iraq e proprio ai Cristiani e alle altre etnie minoritarie? Abbiamo lacrime e conserviamo tanta forza per andare avanti. Abbiamo bisogno che torni l’umanità scomparsa da quella terra che si chiama Mesopotamia, l’Iraq di oggi. Ora molti di noi sono tornati a Baghdad. Non deve abbandonarci la speranza.

Quando muoiono le sensazioni è una cosa brutta. La vita diventa senza sapore, perché nulla più si sente ed è come se nulla più ci fosse. La nostra vita qui prosegue nonostante sentiamo bombardamenti e spari di continuo. Per noi è diventato pane quotidiano. Ci diciamo: le cose per ora stanno così, passerà. Abbiamo acqua e cibo, almeno questo ci tranquillizza. L’elettricità ce la danno ogni due ore, e comunque il convento ha il suo generatore.

Purtroppo non avvertiamo nessun cambiamento a livello politico. È un processo lunghissimo, ne siamo consapevoli, ma siamo stanchi. Troppa sofferenza, troppe promesse bugiarde sono venute agli iracheni dalla politica.

Il nostro pensiero torna sempre al 6 agosto, quando i cristiani sono stati fatti sfollare verso l'ignoto!

Dalla mia famiglia ho sentito il racconto di come sono stati fatti sfollare e di come quel giorno i cristiani sono fuggiti da Qaraqosh.

Verso mezzogiorno la gente ha cominciato a spaventarsi per degli strani movimenti. La forza militare che stazionava lì per mantenere l’ordine, i nostri preti, il vescovo hanno iniziato a dire che era nell’aria qualche brutto avvenimento e che era meglio preparasi al peggio. La gente allora ha cominciato ad uscire poco alla volta dalle abitazioni. La maggioranza si è predisposta per l’ordine di evacuazione, pronta ad uscire e lasciare la casa e il paese. Si attendeva solo il segnale del vescovo, Mar Yuhanna Putrus Moshe. La sera tardi, verso le 23, c’è stata certezza che l'ISIS (Daash) era pronto a penetrare le zone periferiche di Qaraqosh. Il corpo dei Bashmarga, che appartiene al Kurdistan e aveva la città sotto protezione, ha organizzato l’immediata uscita dalla città. Il vescovo, con i sacerdoti e le suore, seguiti dalla comunità cristiana, sono sfollati tutti insieme verso Erbil e i villaggi attorno a Erbil, sotto protezione militare e civile della regione del Kurdistan.

La mia famiglia insieme ad altre centinaia di famiglie é scappata senza poter portar via niente. Quello che è venuto loro in mente è stato di prendere i soldi, l’oro e i documenti. La mia famiglia disponeva fortunatamente di un’automobile con benzina e ha potuto caricare anche qualche vestito. Dopo mezzanotte, all’inizio della marcia, c’è stato un momento di panico. Mio fratello e gli altri hanno capito di aver sbagliato strada, rendendosi conto di essere nella scia dei corpi armati. Il meno che potessero pensare è che fosse stata preparata un'imboscata per ucciderli tutti: uomini, donne, bambini, anziani. Sono stati momenti terribili, e non si poteva distinguere niente a causa della gran polvere che c'era nell'aria. Mio fratello guidava e andava avanti senza smettere, ma senza sapere dove andasse. Guidava verso l’ignoto. E aveva accanto mia cognata incinta, a pochi giorni dal parto. Povera ragazza, è svenuta due volte.

Non c’era solo lei in quelle condizioni. Tante altre donne erano anch’esse incinte e alcune vicine al parto, e purtroppo erano in condizioni anche peggiori, non avendo un’automobile a disposizione. Anche peggiore la situazione delle donne costrette al parto in quella terribile situazione, prive di ogni minima condizione igienica e medica per sé e i loro neonati. Mi hanno raccontato, i miei parenti, le grida delle partorienti, il loro dolore, la loro sofferenza, le lacrime che versavano alla nascita di vite nuove in un momento in cui c'era tutt’intorno la morte.

Il Signore nostro Dio ha dato loro la forza di continuare. La stessa forza che ha dato a mio fratello perché continuasse a guidare la macchina senza paura e con coraggio indescrivibile. Nel caos generale c’erano armati regolari che fuggivano insieme alla gente; militari che volevano passare prima della gente che bloccavano ritardandone l’esodo; gente che si affrettava a superare gli stessi Bashmarga o a infilarsi subito al loro seguito. In quelle ore oscure e lunghe della notte, civili hanno iniziato a sparare d’improvviso per garantirsi il controllo del territorio e ci sono scappati dei morti: tra di loro anche il figlio di un mio zio. Ha sparato anche il contingente militare di protezione per tener ferma la gente e avere la situazione sotto controllo.

Non riesco ad immaginare tutta la sofferenza della gente, il loro terrore, il loro chiedersi di continuo il perché di quanto stava accadendo. Dopo un’intera notte di paura e sparatorie, 10 ore di orrore, la mia famiglia è riuscita a trovare la strada verso Erbil. Le macchine camminavano piano piano, incolonnate, ma finalmente i miei sono arrivati al punto di controllo ed ispezione che consentiva l’ingresso ad Erbil. Erano le 8.00 di mattina del 7 agosto.

Da quello che mi hanno raccontato, lo spettacolo era di una tristezza impensabile. Centinaia di migliaia di persone aspettavano il loro turno: il controllo faceva passare subito i cristiani, e parcheggiava i musulmani in un luogo a parte per verificare con esattezza la loro identità. Come Dio ha voluto, la mia famiglia è entrata in Erbil, ma questo purtroppo significava che i cristiani stavano abbandonando la loro casa e la loro terra.

Non so chi abbia voluto questo. Immagino che dietro ci sia la cosiddetta politica, ma di più non so. So di certo che per noi ha significato ingiustizia, dolore, sofferenza. E credo sia giusto chiedersi chi sia il colpevole e se si stia tentando la pulizia etnica dei cristiani dall’Iraq.

 

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