Mercoledì l’Italia ha deciso di contribuire all’armamento dei curdi che, nel territorio dello stato irakeno, si oppongono all’espansionismo del sedicente stato islamico proclamato in giugno da Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo impostore che si fa chiamare col sacro nome di Abramo. Come l’Italia, altri europei stanno finalmente reagendo al fanatismo e alla crudeltà di un regime sanguinario che fonda il potere su intolleranza, stragismo, genocidio. Il gioco di squadra con gli americani, da tempo sulle basi jihadiste in appoggio all’azione di terra dei peshmerga, avrà certamente ragione delle poche decine di migliaia di combattenti per lo stato islamico di Iraq e grande Siria, Isis. Porre fine all’ultimo incubo proveniente dalla regione, non darà però soluzione ai tormenti che Medio Oriente e Golfo presentano a sé e alla comunità internazionale.
Nella regione perseverano dati strutturali di rischio. Sul piano socio-economico: le profonde ingiustizie sociali, la condizione femminile d’inferiorità, il diffuso oscurantismo misto a analfabetismo, l’esplosione demografica con un numero impressionante di giovani disoccupati o sottoccupati. Sul piano culturale e religioso: lo scontro tra le due anime maggiori dell’Islam shia e sunna, l’arretratezza del pensiero scientifico. Sul piano politico: l’assenza di democrazia mista al consolidamento di regimi polizieschi e autoritari, l’asfissia del pensiero laico e a-religioso. L’irrisolta questione israeliana percepita come provocazione occidentale in terra arabo-islamica, lo splendore che il libero e “irreligioso” Occidente continua a promanare, i casi di successo economico in area di paesi “aperti” (si pensi agli Emirati arabi uniti), irritano ed estremizzano punte rilevanti della società araba e islamica, riducendo gli spazi di moderazione per la pacificazione.
Il tutto in un’area strategica per le sorti del mondo, sia perché a mezzo delle rotte tra Asia ed Europa, sia perché forziere di gas e petrolio. Convinciamoci che senza la risoluzione di due fratture strutturali, da ricostruire con pazienza e perseveranza perché mai potranno risolversi autonomamente, Medio Oriente e Golfo continueranno a produrre minacce per la convivenza di tutti. Ci si riferisce alla composizione dello scontro israelo-palestinese e alla reciproca accettazione tra sciiti e sunniti. Più difficile la seconda della prima, nel ricordo di cosa sia stata in Europa la carneficina plurisecolare tra cattolici e protestanti con ripetute guerre e stragi a sfondo religioso. Si tratta poi di ricostruire il principio di statualità nazionale in paesi che, dal fallimento del socialismo arabo e della laicizzazione sotto l’egida di grandi monopoli economici e militari, complici gli errori della diplomazia statunitense, hanno derivato frammentazioni e lacerazioni, giacendo ora in situazioni di guerra civile permanente anche se intermittente.
Il puzzle irakeno sarà di difficile composizione, né è certo che venga completato prima che il rischio implosione ne abbia avuto ragione. Il Kurdistan vincitore su Isis, porrà problemi al resto degli irakeni e alla Turchia, impegnata a tenere la sua minoranza curda lontana dal sogno di riunificazione e indipendenza. La maggioranza sciita, superata la minaccia del califfato, ricomincerà a penalizzare i sunniti. Questi, foraggiati dall’Arabia Saudita risponderanno col tira e molla di propaganda e sostegno alle minoranze sunnite che non risparmierà l’Iran sciita e non arabo. In Siria, l’iniziale semplificazione dittatura/opposizione si è andata ingarbugliando con la partecipazione alla lotta anti Assad dell’estremismo religioso ed etnico. Terminato l’intervento straordinario contro Isis, Usa e Ue dovranno seriamente ragionare su cosa fare con Medio Oriente e Golfo.