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June 24, 2014
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Egitto, dove informare è ancora un crimine

Stefano De CupisbyStefano De Cupis
I tre giornalisti di Al Jazeera - Foto: AFP

I tre giornalisti di Al Jazeera - Foto: AFP

Time: 4 mins read

 

Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon e l’alto commissario per i diritti umani, Navy Pillay hanno espresso una forte preoccupazione i per i recenti sviluppi giudiziari avvenuti in Egitto, in particolare la conferma delle condanne a morte per 183 persone e la condanna di lunedì riguardante tre giornalisti di Al Jazeera, a lunghe pene detentive.

La dichiarazione rilasciata dagli alti funzionari delle Nazioni Unite, ha inoltre messo in evidenza quanto queste decisioni giudiziarie vadano contro gli standard di equità processuale – in particolare quelli con la conseguente imposizione della pena di morte – e quanto quest'ultime siano suscettibili di compromettere le prospettive di stabilità a lungo termine.

La dichiarazione ha anche osservato che la costituzionalità della legge regolatrice per le proteste sarà riesaminata dalla Corte Suprema Costituzionale. 

“La partecipazione a proteste pacifiche o a critiche verso il governo non dovrebbe essere motivo di detenzione o di procedimenti giudiziari”, ha dichiarato Ban Ki-moon, aggiungendo che “l'Egitto verrà rafforzato solo responsabilizzando tutti i suoi cittadini ad esercitare pienamente i loro diritti”.

Nella dichiarazione, l’alto commissario per i diritti umani, Navy Pillay si dice "scioccata e allarmata” dalle sentenze e dalle pene detentive comprese tra 7 e 10 anni per i tre giornalisti e gli altri 11 imputati processati in contumacia.

Pur rilevando che sono oggetto di ricorso, la numero uno per i diritti umani ha affermato che i verdetti sui giornalisti di Al Jazeera, insieme  alla conferma del tribunale egiziano avvenuta sabato, sulla pena di morte per i 183 membri della Fratellanza Musulmana e sostenitori condannati in precedenza in un processo di massa, sono l'ultima di una lunga serie d’indagini e di procedimenti giudiziari cha hanno visto “il moltiplicarsi d’irregolarità procedurali e violazioni del diritto internazionale sui diritti umani”.

L'Alto Commissario ha inoltre espresso il suo allarme per gli attacchi e le repressioni anche fisiche, sia nei confronti dei media che degli attivisti della società civile in Egitto, ostacolando a tal fine la loro capacità di operare liberamente. “Molestie, detenzione e perseguimento di giornalisti nazionali e internazionali, inclusi i blogger, così come attacchi violenti da parte di assalitori non identificati, sono diventati comuni”, ha aggiunto, notando che almeno sei giornalisti sono stati uccisi in Egitto a partire dal mese di agosto 2013. "I media che cercano di svolgere il loro lavoro in Egitto sono ora costretti ad operare in un contesto estremamente difficile e pericoloso. Essi devono essere protetti, non perseguiti”, ha aggiunto Navy Pillay.

Secondo le Nazioni Unite, le accuse mosse contro i giornalisti, che comprendono il danneggiamento dell'unità nazionale e alla pace sociale, attraverso la diffusione di false notizie, e l'appartenenza ad una “organizzazione terroristica”, sono troppo ampie e vaghe, e pertanto rafforzano la convinzione che il vero obiettivo sia la libertà di espressione.

La legislazione anti-terrorismo in Egitto, tra l'altro, è stata utilizzata anche per condannare diverse persone, come avvenuto in due processi di massa che hanno coinvolto più di 1.100 persone a Minya all'inizio dell'anno e che hanno portato almeno 220 persone a essere condannate a morte, tra cui le 183 condanne confermate lo scorso Sabato.

“Credo che questi processi di massa e queste condanne a morte siano osceni e che sia tutta una farsa”, ​​ha ribadito l'Alto Commissario.

In aggiunta, da un punto di vista giuridico, l'articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, un trattato vincolante che l'Egitto ha ratificato nel 1982, stabilisce che ogni individuo ha il diritto di esprimere opinioni senza alcuna interferenza. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, sia oralmente che per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta.

“Portare una macchina fotografica, o cercare di riportare i vari punti di vista sugli eventi, non è un crimine”, ha detto Navy Pillay. “Non è un reato criticare le autorità, o intervistare persone che hanno visioni impopolari. I giornalisti e i membri della società civile non dovrebbero essere arrestati, perseguiti, picchiati o licenziati per aver segnalato questioni delicate. Non dovrebbero essere fucilati per aver tentato di segnalare o filmare per noi – il pubblico – che abbiamo il diritto di sapere cosa sta accadendo”.

Navy Pillay ha esortato infine le autorità egiziane a rilasciare immediatamente tutti i giornalisti e gli altri dipendenti dei media in carcere per lo svolgimento delle attività di reporting, tra cui Mohamed Fahmy (canadese / egiziano), Peter Greste (australiano) e Bahar Mohamed (egiziano), i tre giornalisti che sono stati reclusi e condannati lunedì, a sette anni di carcere i primi due e a dieci anni il terzo, con l’accusa di sostenere la Fratellanza Mussulmana (organizzazione dichiarata terrorista dalle autorità locali).

Anche, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha ripetutamente invitato il governo egiziano e il neo-eletto presidente Abdel-Fattah el-Sisi a fare tutto il possibile affinché tutti i giornalisti detenuti in Egitto, tra cui i tre membri dello staff di Al-Jazeera in carcere da dicembre, vengano liberati. Almeno 14 giornalisti sono dietro le sbarre in Egitto, secondo una ricerca del CPJ il quale ha dichiarato nella stessa che più di 65 giornalisti sono stati arrestati da quando l'ex presidente Mohamed Morsi è stato estromesso nel mese di luglio sebbene la maggior parte siano stati liberati.

Dagli USA invece, il segretario di stato, John Kerry ha sottolineato che i verdetti del tribunale egiziano di lunedì rappresentano la prova che nel paese manchino ancora molte norme fondamentali per garantire un giusto processo e che ciò costituisce davvero una battuta d’arresto per la transizione del paese. “Il successo a lungo termine dell'Egitto dipende dai diritti umani e dalla governance responsabile”, ha detto Kerry, aggiungendo che queste decisioni giudiziarie danneggiano il ruolo essenziale della società civile, della libertà di stampa e del vero stato di diritto.

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Stefano De Cupis

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