Giovedì, durante una decisiva seduta del Consiglio di Sicurezza (CdS) dell’ONU, la Russia e la Cina con il loro veto (in teoria ne bastava anche uno solo) hanno allontanata la speranza di ottenere giustizia al popolo siriano, bloccando così l’adozione di una risoluzione che avrebbe sottomesso l’intera vicenda siriana alla Corte Penale Internazionale. Neanche la storica e notevole decisione dell’amministrazione Obama – data la tumultuosa storia tra gli Stati Uniti e la CPI soprattutto per via dei repubblicani – di appoggiare l’adozione di tale risoluzione alla Corte (ricordiamo che Stati Uniti, Russia e Cina non sono membri della CPI), i continui appelli dei giorni scorsi dell’ONU, della Comunità Internazionale e della società civile sono riusciti ad assicurare che i perpetratori dei crimini commessi dall’inizio del conflitto siriano, vengano assicurati alla giustizia, come sarebbe da prassi. E dire che poco prima del voto del CdS, il vice segretario generale dell'Onu, Jan Eliasson nelle osservazioni consegnate a nome del segretario generale Ban Ki –moon aveva evidenziato che “il popolo siriano ha diritto alla giustizia e le Nazioni Unite assieme agli Stati membri hanno il dovere fondamentale di difendere questo diritto”.
Tra l’altro è necessario ricordare che Eliasson – primo fra tutti a richiedere subito dopo lo scoppio del conflitto siriano che tutti coloro che avevano commesso tali crimini di guerra, contro l’umanità e violato diversi diritti umani fossero consegnati alle autorità giudiziarie competenti – aveva dichiarato: “Il Consiglio di Sicurezza ha una responsabilità ineluttabile in questo senso. Gli Stati membri che sono membri sia del Consiglio di Sicurezza che del Consiglio per i diritti umani hanno un particolare dovere di porre fine allo spargimento di sangue, garantendo così che sia fatta giustizia per tutte le vittime di questi crimini indicibili”.
Questi due veti hanno lasciato perplessi molti diplomatici del Palazzo di Vetro, soprattutto perché già nel febbraio 2013, la Commissione d'inchiesta nominata dall’ONU, aveva concluso che la CPI era la sede più appropriata per perseguire la lotta contro l'impunità in Siria e da allora ad oggi, la risoluzione, che è stata sostenuta dagli altri 13 membri del Consiglio di Sicurezza, avrebbe dato alla Corte Penale Internazionale il mandato di indagare sugli orribili crimini commessi nel corso del conflitto in Siria, che da marzo 2011 ha visto la morte di oltre 100.000 civili, lo spostamento di milioni di persone e diffuse violazioni dei diritti umani.
Altro punto dolente di tutta questa vicenda, sono state le dimissioni avvenute 10 giorni fa – dopo quasi due anni di sforzi diplomatici per giungere a una soluzione politica alla crisi siriana – dell’ottantenne diplomatico algerino e rappresentante speciale congiunto per l’ONU e la Lega Araba sulla crisi in Siria, Lakhdar Brahimi.
Il numero uno dell’ONU, Ban Ki-moon accettando le sue dimissioni, aveva dichiarato che Brahimi purtroppo aveva davanti una missione quasi impossibile per via dei continui dissensi delle parti coinvolte e della comunità internazionale, “tutti irrimediabilmente divisi nei loro approcci per porre fine a tale conflitto”.
Durante la deludente seduta per l’adozione della risoluzione, la rappresentante permanente USA all’ONU, Samantha Power, non ha esitato nell’attaccare la Russia e la Cina per l’imposizione del veto. “Purtroppo, a causa della decisione da parte della Federazione russa per sostenere il regime siriano, non importa quello che faccia, il popolo siriano non vedrà alcuna giustizia oggi. Vedrà invece il crimine, ma non la punizione”, ha dichiarato in seduta l’Ambasciatrice Power, ricordando che il 15 aprile, i membri del CdS sono stati informati su una relazione che includeva 55.000 foto raccapriccianti dei corpi scheletrici e torturati di siriani morti, che come hanno concluso degli avvocati internazionali di fama mondiale erano state metodicamente eliminati da una macchina governativa messa a punto per uccidere. Le foto sarebbero state fornite da un individuo – alias “Ceasar” – che ha lavorato per 13 anni come parte della polizia militare siriana. Quando all'inizio dei combattimenti, dice costui di essere stato incaricato di registrare le immagini di persone affamate, picchiate, torturate e giustiziate dalle forze di sicurezza siriane.
“I veti di oggi hanno impedito alle vittime delle atrocità di testimoniare all'Aja per ora. Ma comunque è importante per noi qui oggi, ascoltare il tipo di testimonianza che avremmo sentito se la Russia e la Cina non avessero alzato la mano per opporsi alle responsabilità per i crimini di guerra e per i crimini contro l'umanità”, ha poi ribadito l’Ambasciatirce americana Power introducendo un testimone e sopravvissuto ai crimini compiuti in Siria – poiché presente personalmente al CdS – e raccontando la sua storia e ciò che aveva visto e subito.
La numero uno della Missione USA all’ONU, ha infine puntato sul rimarcare che in passato la CPI ha potuto intervenire e perseguire i colpevoli di crimini verso l’umanità e di guerra nel continente africano, citando Uganda, Darfur, Libia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Costa d'Avorio, Mali e Kenya e chiedendo al CdS come mai al popolo siriano questo diritto non viene riconosciuto e salvaguardato.

L’Amb. russo all’ONU, Vitaly Churkin durante la seduta del Consiglio di Sicurezza di giovedì 22 maggio 2014. Lucas Jackson/Courtesy Reuters
Dal canto suo il rappresentante permanente russo all’ONU, l'ambasciatore Vitaly Churkin, ha ribadito che la Russia comprende gli orrori e le sofferenze ed invoca la pace al più presto ma non attraverso la CPI ma bensì continuando gli sforzi volti ad una soluzione politica siriana e quindi evitando di tradire il popolo siriano come vorrebbe affermare la Francia quando ha dichiarato che il processo politico nel paese non esiste più.
Churkin ha poi evidenziato che i primi fra tutti a invocare la CPI in questo caso, sono proprio quelli come gli USA e il Regno Unito che al contempo non vogliono che si indaghi su ciò che i loro militari hanno commesso in Iraq e altri scenari di guerra. Infine affermando che il cosiddetto “Report Ceasar” del quale parlava l’Ambasciatrice Power, è basato su “informazioni non confermate ottenute da fonti non verificabili e pertanto non può servire come piattaforma per prendere una decisione così grave”, ha esortato a prendere in considerazione la proposta russa delle “tregue locali”, ricordando un proverbio russo: “una cattiva pace è meglio di un buon litigio”.