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April 24, 2014
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Sud Sudan: ora si attaccano persino i convogli umanitari dell’ONU

Stefano De CupisbyStefano De Cupis
Sfollati in attesa di cure presso la clinica della Missione ONU per il Sud Sudan (UNMISS) a Malakal. UN Photo/Isaac Billy

Sfollati in attesa di cure presso la clinica della Missione ONU per il Sud Sudan (UNMISS) a Malakal. UN Photo/Isaac Billy

Time: 3 mins read

 

Secondo un comunicato stampa rilasciato dalla missione UNMISS il 24 aprile, quattro barche del convoglio umanitario che viaggiavano sul fiume Nilo, precisamente nei pressi della città di Tonga, sono state attaccate prima da una raffica di colpi di arma da fuoco e successivamente persino con granate.

Quattro membri dell'equipaggio assieme ad alcuni peacekeepers della missione ONU sono stati feriti durante l'attentato sebbene rimanga ancora un punto interrogativo l'identità degli assalitori.

Il punto che lascia tutti perplessi e sconvolti è il fatto che il convoglio trasportasse soltanto carburante e razioni alimentari per il personale delle Nazioni Unite e tutti i cosiddetti sfollati interni (IDP) che attualmente vivono nel complesso dell’UNMISS a nord di Malakal. La Missione ha poi voluto sottolineare che tutte le autorizzazioni erano state ottenute dalle autorità competenti prima della partenza del convoglio, avvenuta sei giorni prima.

Joseph Contreras, portavoce di UN Radio, ha dichiarato: “La Missione è convinta di aver fatto tutto il possibile per salvaguardare sia il carico di queste quattro imbarcazioni del convoglio e di aver informato anche tutte le autorità competenti”. Inoltre Contreras ha poi aggiunto che sia le forze governative – ovvero l’esercito di liberazione del popolo sudanese (SPLA) –  che le forze d’opposizione hanno negato ogni responsabilità su questo attentato, ed entrambe hanno evidenziato che nessuno dei loro uomini si trovasse nelle vicinanze di Tonga, il luogo dove si è verificato l’attacco.

L’UNMISS in merito all’accaduto ha voluto nuovamente invitare le parti principali del conflitto in Sud Sudan a rispettare l’accordo sulla cessazione delle ostilità, firmato nella capitale etiope di Addis Abeba, lo scorso gennaio e di rispettare l'inviolabilità dei beni, servizi e complessi delle Nazioni Unite.

Negli ultimi giorni c’è stata una forte escalation negli attacchi, centinaia di sud sudanesi e civili stranieri – previa determinazione del loro etnia o nazionalità – sono stati uccisi barbaramente dalle forze anti-governative non appena quest’ultime sono riuscite ad impossessarsi la scorsa settimana della capitale dello stato di Unity, Bentiu. Ma la violenza è scoppiata anche a Bor – città ormai dilaniata dalla guerra – quando una folla di civili armati, ha fatto irruzione in una struttura della missione UNMISS e ha aperto il fuoco contro gli sfollati che vi avevano trovato riparo all'interno, un riparo che purtroppo alla fin fine non si rivelato così “sicuro”.

Le cifre del conflitto sono drammatiche:  870.000 civili costretti ad abbandonare le proprie abitazioni durante i quattro mesi del conflitto, 78.000 dei quali sono in cerca di protezione negli 8 complessi UNMISS sparsi in tutto il paese. Ciò include 32.000 persone a Juba, più di 18.000 a Malakal, più di 22.000 a Bentiu, oltre le 4.800 persone nella città di Bor.

Con i colloqui di pace di Addis Abeba che riprenderanno a fine mese, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon  ha voluto esprimere telefonicamente il suo sostegno ai capi di Stato o di governo dell'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) per il loro impegno nel portare al tavolo dei negoziati il presidente Salva Kiir del Sud Sudan e il leader dell'opposizione Riek Machar. Il portavoce di Ban ha dichiarato per l’appunto che per il Capo dell’ONU “è di vitale importanza informare le due parti sulle conseguenze delle loro azioni prima che il paese si ritrovi a dover affrontare ulteriori e ancora più terribili violenze”.  

Sempre il 24 aprile, il presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, U. Joy Ogwu (Nigeria), ha affermato che tutti i membri del Consiglio di Sicurezza hanno espresso orrore e rabbia per gli atti violenti verificatisi a Bentiu il 14-16 aprile, i quali hanno provocato la morte di oltre 200 persone tra uomini, donne e bambini.

È doveroso ricordare che in quei giorni di sangue, i civili presi di mira in base alla loro etnia, sono stati prima di tutto oggetto di meticolose ricerche e una volta trovati, sono stati uccisi senza alcuna esitazione anche all'interno di luoghi sicuri quali una moschea, una chiesa e un ospedale. Infine, come se non bastasse, alcune trasmissioni radio sono state utilizzate esclusivamente per fomentare l'odio e la violenza sessuale, una pratica che ci riporta con la mente ai terribili fatti accaduti in Ruanda nel 1992.

I membri del Consiglio di sicurezza hanno inoltre sottolineato la loro profonda preoccupazione per il crescente numero di sfollati che cerca riparo nei complessi ONU e per le minacce fatte ad impianti petroliferi, compagnie petrolifere e i loro dipendenti sia locali che stranieri.

Infine Ogwu ha posto l’accento sulla cessazione immediata di tutte le ostilità, le violazioni e gli abusi dei diritti umani, esprimendo la volontà del Consiglio di prendere misure adeguate verso i responsabili attraverso le indagini e i dati raccolti tramite la preziosa collaborazione dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani e della Commissione dell’Unione Africana.

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Stefano De Cupis

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