Tenendo il suo primo open debate sul tema “Protezione dei Civili nei Conflitti Armati”, il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon, ha osservato con molta amarezza che “lo stato attuale della protezione dei civili lascia poco spazio all'ottimismo”, ed è per tale ragione che il Consiglio di Sicurezza ha voluto suonar mercoledì il campanello di allarme a nome dei civili disperati, ponendo l’accento su una maggiore protezione di quest’ultimi e per migliorare l’accesso umanitario nelle zone tagliate fuori.
Il dibattito è stato inoltre programmato proprio per ascoltare tutti i 15 membri del Consiglio, così come i vari diplomatici membri delle Nazioni Unite.
Una dichiarazione presidenziale adottata dalla riunione, ha ribadito l'impegno del Consiglio con la sua gamma di misure per la protezione civile, inizialmente approvata nel marzo del 2002. Questa è la quinta edizione dell’Aide Memoire ed è il risultato di una consultazione con l'Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), così come i dipartimenti e le agenzie delle Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie interessate.
Il Consiglio ha anche ripetuto che i governi hanno la responsabilità primaria di rispettare e garantire i diritti umani dei cittadini, e che le parti in conflitto armato hanno invece la responsabilità primaria di prendere tutte le misure possibili per garantire la protezione dei civili coinvolti.
Secondo quanto affermato da Raimonda Murmokaité, Rappresentante Permanente della Lituania, che detiene la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza per febbraio: “Il Consiglio di Sicurezza sottolinea la necessità di porre fine all'impunità per le violazioni del diritto internazionale umanitario e le violazioni e gli abusi dei diritti umani, e ribadisce che coloro che hanno commesso o sono comunque responsabili di tali violazioni e abusi devono essere portati dinanzi alla giustizia”.
Rivolgendosi al Consiglio, Hervé Ladsous, il Sottosegretario Generale per le Operazioni di Mantenimento della Pace delle Nazioni Unite, ha osservato che il dibattito di oggi, che arriva due mesi prima del 20° anniversario del genocidio ruandese, “è la prova di quanto è cambiato e di quanto sia invece rimasto uguale”.
Oltre il 95 per cento delle forze di pace ora lavorano nelle missioni appositamente incaricate dal Consiglio di Sicurezza per proteggere i civili, ha dichiarato Ladsous, durante la riunione che si è concentrata sulla effettiva applicazione dei mandati per la protezione dei civili nelle missioni di pace delle Nazioni Unite, una delle cinque sfide cruciali per la protezione, individuate dal Segretario Generale.
Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), le forze di pace hanno utilizzato un mandato chiaro e forte per rispondere a coloro che vorrebbero perpetrare attacchi contro i civili, e lo scorso novembre abbiamo assistito alla resa del movimento ribelle M23, ha poi aggiunto Ladsous. Mentre la Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (UNMISS) ha nelle ultime settimane fornito una protezione senza precedenti a circa 85.000 civili in fuga dalla violenza.
I soldati tuttavia non possono imporre la pace alle parti in guerra, e la risoluzione dei problemi legati alla protezione richiede soluzioni politiche, Ladsous ha notato.
“Il mantenimento della pace è un'espressione della volontà del Consiglio di Sicurezza, delle truppe e della polizia dei paesi contribuenti”, ha poi aggiunto. “Il suo successo dipende dalle direzioni chiare, decise e risolute da parte del Consiglio di Sicurezza, dall'impegno di tutti coloro che prendono parte al mantenimento della pace per dare piena attuazione al mandato, e dalla fornitura di capacità e risorse sufficienti per affrontare efficacemente le sfide sul campo”, ha voluto sottolineare in seguito.
Valerie Amos, Sottosegretaria Generale per gli Affari Umanitari, intervenendo nell’odierna riunione ha invece affermato che l'attuazione di mandati di protezione robusti può portare a tensioni tra la missione di peacekeeping e gli operatori umanitari. La Sottosegretaria ha poi evidenziato l'importanza del coordinamento tra le forze di pace e gli operatori umanitari, e la demarcazione tra obiettivi umanitari, militari o politici. Quando l'imparzialità di un peacekeeper è chiamata in causa e in particolare se la missione è percepita a diventare parte del conflitto: “la sua vicinanza ai civili, compresa nel perseguimento delle sue attività di protezione, potrebbe mettere i civili a rischio di attacco”, ha aggiunto.
Valerie Amos ha colto l'occasione di comparire davanti al Consiglio per ribadire gli obblighi degli Stati di proteggere i cittadini, come ben specificato nei diritti umani e nel diritto umanitario. Esempi recenti quali Siria, Repubblica Centrafricana e il Sud Sudan lo confermano, dove le parti in conflitto, a volte volutamente, non rispettano e proteggono i civili, nonostante i loro obblighi in base al diritto internazionale umanitario e ai diritti umani.
La Sottosegretaria ha poi annunciato: “Fino al momento in cui le parti agiscono di conseguenza … la protezione dei civili continuerà a dare poco spazio all'ottimismo, ma sarà invece motivo di disperazione, indignazione e vergogna”.
Per quanto riguarda la situazione in Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia, Valerie Amos ha denunciato l'uso di armi esplosive in zone popolate, facendo eco alla dichiarazione di Yves Daccord, Direttore Generale del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR).
“Il CICR si unisce al Segretario Generale Ban Ki-moon nell'incoraggiare i membri a condividere le informazioni sulle rispettive politiche, prassi operative e le lezioni apprese sull'uso delle armi esplosive in zone popolate”, ha riferito Daccord. Durante il suo briefing, infatti ha anche colto l’opportunità per evidenziare l'importanza di avere a disposizione degli accessi umanitari, esortando i partiti statali e non statali a rispettare le disposizioni del diritto umanitario internazionale, comprese quelle relative all’accesso per gli aiuti umanitari.
Navi Pillay, Alto Commissario per i Diritti Umani, intervenendo in videoconferenza da Ginevra, ha dichiarato: “L'impunità permette a gravi violazioni dei diritti umani di prosperare”. “Gli Stati devono fare di più per garantire che le violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario vengano indagate ed i loro autori siano ritenuti responsabili”, ha poi detto, aggiungendo che il Consiglio deve fare di più per condannare sistematicamente le varie violazioni.
Per quanto riguarda l’Italia, il Vice Rappresentante Permanente, l’Amb. Lambertini ha esordito dicendo che l'Italia si allineava con le dichiarazioni fatte dall'Unione europea, e la Svizzera a nome del gruppo degli amici della protezione dei civili nei conflitti armati. Lambertini ha poi ribadito come il coinvolgimento di civili inermi nei conflitti armati sembra essere diventata la regola piuttosto che l'eccezione. “I civili sono vittime di una violenza insensata. Né bambini né altri gruppi vulnerabili vengono risparmiati in Siria, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana. Tutti massacri che hanno soltanto una motivazione etnica, religiosa o politica[…] La condanna della comunità internazionale e delle Nazioni Unite deve essere unanime e inequivocabile”, ha dichiarato il diplomatico italiano.
L’Ambasciatore ha poi osservato molto diplomaticamente che benché la protezione dei civili dipenda dagli stati in questione, questi molto spesso sono deboli e incapaci di agire correttamente, ed è proprio in queste situazioni che le Nazioni Unite dovrebbero prendere le redini “ma ciò si può attuare solo se i suoi membri lo permettono”. Lambertini ha subito elogiato l’operato della Missione UNMISS a Juba, in Sud Sudan per aver protetto e offerto riparo a circa 75.000 persone, soprattutto donne e bambini, ospitandoli nel complesso ONU. Prima di concludere, l’Ambasciatore ha lodato i recenti sviluppi nelle operazioni di peacekeeping ed in particolare l’introduzione della moderna tecnologia denominata Unmanned Aerial Systems (droni o sistemi aerei senza equipaggio) che hanno significatamene migliorato la situazione sul campo inerente la protezione dei civili. Infine, Lambertini ha voluto spezzare una lancia a favore di tutti i giornalisti convolti negli scontri tra le parti, soffermandosi sull’importanza della libertà di stampa e dichiarando: “Proteggere la libertà di stampa significa proteggere la libertà di parola e la libertà di stampa è ciò che più minaccia gli autori di crimini contro civili inermi”.
Come parte di uno sforzo per rafforzare la risposta delle Nazioni Unite alle potenziali ed emergenti crisi, Ban Ki-moon ha lanciato proprio l’anno scorso l'iniziativa denominata “Rights Up Front”. Una delle sue disposizioni principali comprende per l’appunto la formazione del personale delle Nazioni Unite sulla promozione del rispetto dei diritti umani. L'iniziativa “sta rafforzando gli sforzi dell’ONU sia per quanto riguarda il Sud Sudan che la Repubblica Centrafricana, compresi quelli del mio ufficio”, ha infine confermato Navy Pillay.