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September 30, 2013
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Bonino: la nostra instabiità politica ci rende fragili nel mondo

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Emma Bonino attorniata dai giornalisti dopo il bilaterale con l'Iran fuori dal Palazzo di Vetro

Emma Bonino attorniata dai giornalisti dopo il bilaterale con l'Iran fuori dal Palazzo di Vetro

Time: 8 mins read

Questa è la trascrizione dell'intervista realizzata per Radio Radicale e andata in onda sabato 28 settembre

Emma Bonino l’abbiamo incontrata venerdì sera, quando esausta era arrivata al suo albergo sulla 50esima Strada e Lexington Avenue, dopo aver appena terminato la maratona diplomatica che per sei giorni, alle Nazioni Unite, aveva sballottato il ministro degli Esteri dell'Italia da una riunione all’altra, da un bilaterale ad una ministeriale, senza tregua. Anche il Premier Enrico Letta, accanto a lei, si era prodigato con la stessa tenacia per gli interessi dell’Italia. Ma giovedì, quando da Roma era arrivata la notizia che Silvio Berlusconi aveva ordinato a tutti i parlamentari del PDL di dimettersi mettendo in crisi di fatto la legislatura e il governo, l’atmosfera che fino a quel momento avremmo potuto definire euforica – l’Italia era stata la prima ad avere al Palazzo di Vetro  il bilaterale con l’Iran e poi, dopo altri paesi occidentali, anche la telefonata di Obama al nuovo Presidente iraniano Rouhani – di colpo si era trasformata in una missione cupa e tesa. Lo stesso Letta, durante la conferenza stampa dopo la sua lecture alla Columbia University sull’Europa, aveva dichiarato con un tono denso di rancore, che il partito di Berlusconi con quella mossa, aveva  “umiliato” l’Italia proprio mentre il capo del governo stava per tenere il discorso alla 68esima Assemblea Generale dell’ONU.

Bonino, nella conferenza stampa con tutti i giornalisti venerdì, come fa sempre quando è in missione all’estero, si era rifiutata di parlare di politica interna.  Ma in questa nostra intervista in cui riassume la settimana all’ONU, proprio alla fine dice la sua su come l’incertezza sulla tenuta di questo governo, come tanti altri in passato, compromette il raggiungimento di risultati che l’Italia, nonostante tutto, meriterebbe nel campo internazionale.

Ministro Bonino, tante soddisfazioni questa settimana all’ONU, ma quale è stata la più grande?

“Sicuramente il dossier Siria. Non perché sia chiuso ma perché inizia una nuova fase, un nuovo processo. Altrettanto difficile, piena di ostacoli e anche di gente che non avrà interesse che vada a buon fine, ma sicuramente a partire dal dossier armi chimiche, del negoziato politico e, spero io, anche ad un’apertura rapida sull’umanitario, certamente siamo entrati in una nuova fase. Questo è un dato importante che implica più lavoro e più attenzione e dedizione affinchè il processo non venga deragliato. Ma sicuramente abbiamo raggiunto quello che avevamo chiesto con grande forza, le tre tappe fondamentali: attesa per il rapporto degli ispettori, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza e l’avvio della conferenza Ginevra 2. Mi sembra che questo sia un pacchetto che si stia consolidando”.

La finestra dell’opportunità si è aperta, anzi si è spalancata…

“Certo, ma si può sempre chiudere e molto velocemente, basta  un colpo di vento! Quindi il lavoro e l’attenzione deve moltiplicarsi non certo diminuire”.

Questa sera (venerdì ndr) la risoluzione per disarmare il regime siriano delle armi chimiche sarà approvata dal Consiglio di Sicurezza. Chi ha vinto alla fine? Forse la Russia, che ha ottenuto che il Chapter Seven, che autorizza l’uso della forza, non sia incluso ma dovrebbe essere votato in una successiva risoluzione nel caso Assad non rispettasse la prima risoluzione?

“Ognuno pretenderà di aver vinto, in politica è sempre così. Ma in realtà si tratta dello sforzo di una mediazione e quindi il risultato ottenuto è dovuto a vari fattori. Quello che  a me pare il dato più rilevante  è che l’uso di armi chimiche viene considerato una minaccia alla pace e alla sicurezza e non nel capitolo proliferazione, il che vuol dire che la non compliance da parte della Siria, se fosse provata automaticamente la convenzione contro le armi chimiche che deve verificare il tutto ogni 30 giorni, è anche titolato quindi a riportare la non obbedienza  ed essendo appunto una minaccia alla pace e alla sicurezza, è chiaro che vada sotto il capitolo settimo. Quindi lo si può dire come ci pare, certo servirà un'altra risoluzione, però credo che l’indignazione generale sulle armi chimiche faciliti poi una presa d’atto, se c’è qualcuno che non aderisce e non rispetta i vincoli. Su tutto questo c’è da lavorarci, lo ripeto per la 300esima volta, indipendentemente da chi abbia vinto, ha vinto in realtà un processo politico, forse fragile, ma ha vinto la politica”.

Un'altra finestra aperta, anzi spalancatissima: l’Iran. Notizia proprio di un’ora fa: Obama ha chiamato il presidente iranaiano Rouhani. Una grande soddisfazione per l’Italia, che col governo Letta aveva ripreso i contatti con il governo iraniano subito dopo le elezioni…

Zarif Bonino

Il ministro degli Esteri delll’Iran Javar Zarif con quello dell’Italia Emma Bonino

 “Ho ritenuto e ho detto in Parlamento molte volte che il nostro modo tradizionale di vedere, per cui nella grande famiglia musulmana i nostri amici sono i sunniti e i nemici sono gli sciiti, secondo me andava rivisto. E’ molto più complicato di così. In più si è aperto un grande scontro all’interno della famiglia sunnita, mentre dalla famiglia sciita, in particolare dalle elezioni iraniane, venivano fuori altri tipi di messaggi. Un post Ahmadinejad è un post Ahmadinejad. Detto questo sono prudentemente ottimista e penso che valga la pena di andare a vedere, non mi faccio chissà quali illusioni, però penso che sia utile, a partire dalla Siria e non solo, a metà ottobre riprende il negoziato sul nucleare. In più alcuni segnali sono incoraggianti, la liberazione di alcuni detenuti politici, come Nasrin Sotoudeh, la ripresa di un dialogo strutturato sui diritti umani con l’Unione Europea. In più nel bilaterale abbiamo interessi comuni, nel campo culturale, nel campo di recupero archeologico, e abbiamo gli interessi energetici. Loro hanno l’interesse a ritornare nella famiglia internazionale, a segnalare un post Ahmadinejad. Anche le espressioni che Rouhani ha usato sull’Olocausto sono certamente diverse dal negazionismo che conoscevamo. Ecco tutto questo apre lo spiraglio e mi fa piacere che noi  lo abbiamo visto venire un po’ prima e coltivato prima anche perché questa divisione manichea sunniti sciiiti mi sembrava un po’ superficiale e vedo che questa porta che abbiamo spalancato, nonostante le irritazioni varie etc, ora questa viene usata da molti e mi fa molto piacere”.

Lei è conosciuta nel mondo per essere la condottiera dei diritti umani. Ieri era nella stessa stanza con il Presidente dell’Iran Hassan Rouhani. Che emozioni ha provato? L’Iran dopotutto è stato per anni oggetto delle principali critiche per le sue battaglie: ma lei si fida di Rouhani?

“Io non credo che in politica sia mai una questione di fiducia. Bisogna capire se abbiamo obiettivi comuni, magari limitati ma comuni. Io credo che abbiamo in comune l’obiettivo di non destabilizzare ulteriormente la regione, e anche se l’Iran sostiene il regime di Assad, sempre sostenuto anche via Hezbollah, si rende conto che una ulteriore destabilizzazione sarebbe drammatica anche per gli interessi iraniani. Poi credo che abbiano un interesse anche economico di uscire dall’isolamento internazionale in cui si erano cacciati, che le sanzioni abbiano colpito duramente non solo le popolazioni ma anche il regime. Quindi per il momento mi pare di costatare una comunanza-concorrenza di interessi puntuali sui singoli dossier. E da radicale, quando si apre uno spiraglio, uno cerca di metterci tutte le cose a cui tiene di più, come i diritti umani. Ben sapendo che la lotta per i diritti umani è un processo. Quindi non solo in Iran ma in tutto il mondo si fa spesso un passo avanti e due indietro, però va colta l’opportunità e va colta come possibilità. Io non dico che si sono risolti tutti i problemi, dico che si sono aperte delle possibilità di collaborazione su alcuni dossier”.

Ha avuto all’ONU diversi incontri e conferenze dedicate a temi a lei molto cari: pena di morte, matrimoni forzati, la Corte penale internazionale, le mutilazioni genitali femminili… E proprio sulla pena di morte ha anche portato avanti una nuova proposta italiana.

“Noi abbiamo lanciato all’ONU questa mattina, per suggerimento di Nessuno Tocchi Caino, l’idea che la prossima risoluzione sulla pena di morte contenga la proposta che il segretario Generale dell’ONU nomini un inviato speciale sulla pena di morte. Perché infatti ci sono tanti segnali positivi ma sono stati fatti anche passi indietro. Quindi forse c’è bisogno di una figura che sia direttamente impegnata su questo obiettivo, che serva da coordinamento di tutti coloro che nel mondo si muovono in questa direzione. Abbiamo avuto un evento sulla Corte penale internazionale e anche li è un momento difficile. Parte dei paesi africani sono molto critici sulla corte. Il Kenya sta minacciando addirittura di uscire dalla corte. Avranno un vertice in ottobre e questo dimostra che le cose non sono conquistate per sempre. Proprio perchè hanno un valore bisogna curarle. Questo è un momento da una parte positivo, proprio l’altro ieri c’è stata la condanna del dittatore Charles Taylor (Liberia, ndr), ma dall’altra parte ci sono critiche verso la Corte da parte di alcuni paesi africani. Quindi c’è la necessità di un rinnovato impegno. Sulle mutilazioni genitali femminili mi pare invece che il consenso si stia allargando a macchia d’olio, noi ospiteremo una conferenza a Roma ad ottobre che faccia il punto e lanciare le conferenze in loco, che sia Asia o Africa orientale, e Non C’è Pace Senza Giustizia sarà molto attiva su questo. E poi abbiamo avviato una presenza  importante su una nuova campagna contro i matrimoni forzati e i matrimoni giovanili. Era in attività da molto tempo con alcuni paesi capofila, che hanno accolto con grande piacere che l’Italia si aggregasse a questro piccolo gruppo proprio per l’ esperienza che abbiamo avuto in queste battaglie per i diritti civili che sono state positive. Poi abbiamo avuto incontri sulla Libia e Somalia. Un enorme pacchetto di impegni”.

Lei non vuol parlare mai di politica italiana quando si trova all’estero. Però qui a New York, il Premier Enrico Letta, durante la conferenza stampa ha detto che le notizie da Roma hanno umiliato l’Italia all’Onu. Lei in questi giorni, alle Nazioni Unite, ha forse sentito l’Italia in maniera diversa? Ha sentito questa Italia umiliata? Oppure L’Italia ha ancora un certo peso alle Nazioni Unite?

“L’Italia ha un peso ma indubbiamente tutti gli interlocutori sanno benissimo della fragilità della situazione politica in Italia. Quindi è evidente che alcune domande sono inevitabili.  Ed è anche evidente  che alcuni impegni che si potrebbero prendere, molto utili anche per il rilancio economico del paese,  ecco che l’interlocutore non sa bene se parlando con me, se ci sarò ancora e se il governo ci sarà ancora tra due mesi o piuttosto tra due giorni… Ma è questo che rende fragili anche i rapporti economici che si possono stabilire con altri paesi, con i fondi di vario tipo. Questa è una fragilità scoperchiata su tutti i giornali.  Ci sono le rassegne stampa nelle ambasciate, ecco come la portano a me la mattina la portano anche ai ministri degli altri governi la rassegna stampa. Questa fragilità italiana è nota a tutti e certamente non è un elemento che ci rafforza. Questo è il minimo, con buona educazione, che io possa dire”.

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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