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September 6, 2013
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Gli USA silurano il Consiglio di Sicurezza ONU: “Quello di cui il mondo ha bisogno non è quello che abbiamo ora”

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
L'ambasciatrice USA Samantha Power durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU

L'ambasciatrice USA Samantha Power durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU

Time: 7 mins read

Questa è la trascrizione della corrispondenza dal Palazzo di Vetro dell'ONU per Radio Radicale

Ieri c’è stato il vero e proprio debutto pubblico della nuova ambasciatrice di Barack Obama alle Nazioni Unite. Samantha Power si è presentata allo stake out dei giornalisti davanti al Consiglio di Sicurezza, e in poco più di dieci minuti ha sicuramente lasciato la sua impronta sugli sviluppi della crisi siriana.

L’ambasciatrice ha letto un comunicato sugli incontri avuti ieri nella sede della Missione degli USA, che si trova proprio di fronte al Palazzo di Vetro, con i rappresentanti dei paesi del Consiglio di Sicurezza e anche di altri paesi sulla situazione in Siria. Nella loro missione diplomatica, gli americani hanno mostrato ai diplomatici di Russia e Cina e di altri paesi che  mostrano finora scetticismo sulle conclusioni della Casa Bianca,   un rapporto dell’intelligence americana sull’attacco chimico in Siria del 21 agosto e sulle responsabilità del regime di Assad. Secondo questo rapporto, oltre 1400 persone sarebbero morte a causa dell’attacco con le armi proibite e tra queste 400 sarebbero bambini.

Intanto si aspetta ancora il rapporto degli ispettori delle Nazioni Unite che dovrebbero dare il risultato definitivo su cosa sia veramente successo alla periferia di Damasco il 21 agosto. Dato che sia il regime di Assad che il governo russo, hanno finora stigmatizzato le conclusioni degli americani sui loro rapporti di intelligence, anche al Palazzo di Vetro la maggior parte dei diplomatici e giornalisti che abbiamo interpellato, ritiene che si dovrebbe ancora attendere il rapporto Onu prima di poter trarre qualsiasi conclusione su cosa sia veramente accaduto in Siria il 21 agosto.

Ma quando la Power si è presentata davanti ai giornalisti, il suo tono non è sembrato quello della rappresentante di un governo che avesse ancora intenzione di aspettare un altro rapporto prima di prendere la decisione sull’eventulità di rispondere militarmente e infliggere una punzione al regime siriano. Da come ha parlato Power, gli USA ormai ritengono sicura la violazione del trattato sull’uso delle armi chimiche e da parte di chi. E il  discorso dell’ambasciatrice americana davanti ai giornalisti è stato un vero e proprio j’accuse alla Russia, considerata la maggiore responsabile per aver finora “tenuto in ostaggio” il Consiglio di Sicurezza e aver bloccato anche i più timidi tentativi di dichiarazione di condanna sull’uso di armi chimiche in Siria.

Secondo Power, infatti, è l’atteggiamento di Mosca che avrebbe fatto comprendere agli Stati Uniti che non esiste più “un sentiero percorribile per andare ancora avanti attraverso il Consiglio di Sicurezza”.

Mentre Power parlava, il presidente Obama cenava con altri leader del G20 al vertice che si stava tenendo proprio in Russia.  Power quindi ieri al Palazzo di Vetro ha ripetuto concetti simili a quelli che il Presidente Obama ha ribadito agli altri leader del G20, quando ha detto che le indagini dell’intelligence americana “puntano in maniera schiacciante ad una desolante conclusione: il regime di Assad ha condotto quell’attacco”.

Power ha proseguito dicendo che “Le azioni del regime di Assad sono moralmente riprorevoli e violano chiaramente le stabilite norme internazionali” . Ed è a questo punto che l’ambasciatrice americana ha picconato il ruolo che le Nazioni Unite potrebbero forse ancora avere su questa crisi, indicando invece il fallimento della struttura ONU di poter  sventare o anche indagare le atrocità che si sono commesse in Siria, dichiarando: “Il sistema che fu concepito nel 1945 precisamente per confrontarsi con minacce di questa natura, non ha funzionato come avrebbe dovuto”. 

Quindi ecco l’accusa degli Stati Uniti al governo russo di Putin  che avrebbe abusato del suo potere di veto per proteggere “le prerogative della Russia” nonostante l’orrore internazionale causato da un attacco chimico alla periferia di Damasco “proprio mentre c’erano in città gli ispettori Onu” che erano appena arrivati  per investigare altri presunti attacchi commessi in precedenza. E quindi Power ha lanciato il siluro che l’amministrazione Obama lancia all’istituzione del Consiglio di Sicurezza così com’è, dicendo che continuando ad essere “tenuto in ostaggio dalla Russia….  Quello che abbiamo imparato, e quello che i siriani hanno imparato, è che il Consiglio di Sicurezza di cui il mondo ha bisogno per confrontarsi con questa cirsi non è il Consiglio di Sicurezza che abbiamo ora”.

Quando è stata la volta delle domande dei giornalisti, la corripondente della CBS ha chiesto all’ambasciatrice Power cosa pensasse delle recenti dichiarazioni di Putin in cui, dopo aver mostrato scetticismo sulle prove presentate finora dagli americani, il presidente russo aveva detto che se alla Russia fossero mostrate prove certe su chi fosse responsabile dell’uso di armi chimiche in Siria, la Russia avrebbe permesso al Consiglio di Sicurezza di agire. La Power ha risposto facendo capire di non prendere seriamente le dichiarazione di Putin: “Non abbiamo visto nulla nei commenti del Presidente Putin che ci suggeriscano che ancora esiste un sentiero percorribile per andare avanti col Consiglio di Sicurezza” su questa crisi.

Ma Putin, lo ricordiamo, ha ripetutamente messo in guardia, anche in questi giorni durante il G20 di San Pietroburgo, che la minaccia di Washington  di portare avanti un attacco militare contro l’esercito siriano sarebbe una lampante violazione della Carta delle Nazioni Unite, per la quale solo il Consiglio di Sicurezza può autorizzare un attacco militare contro un altro stato. E infatti dalla Russia, proprio mentre Power parlava all’Onu, i portavoce del Cremlino insistevano col dire che Mosca non vuole ostruire il Consiglio di Sicurezza ma che si deve prima aspettare il responso del lavoro degli ispettori Onu inviati ad indagare sui presunti attacchi chimici in Siria.

Ma da quello che si è sentito ieri al Palazzo di Vetro dall’ambasciatrice di Obama, il tempo sembra ormai scaduto per gli Stati Uniti. Ricordiamo a questo punto che Obama al posto di Susan Rice, diventata intanto sua consigliere per la Sicurezza Nazionale, all’ONU ha voluto inviare proprio quella Samantha Power che è stata, dalla cattedra di Harvard, una delle maggiori sostenitrici della dottrina della “responsability to protect”, la responsabilità di proteggere e quindi di intervenire in difesa dei diritti umani anche senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come per esempio avvenne nel caso del Kosovo. Ed è stata infatti la stessa Power, rispondendo ad una delle sole tre domande concesse ai di giornalisti,  a riportare il mondo alla situazione di quasi quindici anni fa, quando ha detto che “in certe occasioni, come abbiamo avuto in Kosovo, e come avrebbe potuto avere forse anche nel caso del Rwanda, se proposte diverse fossero state presentate, e come in questo caso, noi non possiamo permettere ad uno dei sostenitori di uno dei contendenti nel conflitto, il sostenitore di quell’attore che ha violato questa norma internazionale, di agire con impunità solo perché ha chi l’appoggia nel Consiglio di Sicurezza”. E poi Power ha continuato: “Questo in nessun modo riflette lo spirito della Carta delle Nazioni Unite o le intenzioni dei fondatori o le intenzioni di ognuno di noi  che viene a lavorare ogni giorno con la speranza di promuovere e far rispettare la pace internazionale e la sicurezza”.

Quindi dall’ambasciatrice di Obama all’ONU, maggiore teorica all’interno della amministrazione della responsabilità di proteggere anche senza l’ONU, è arrivato un pesante e diretto attacco non solo alla Russia ma alla vera essenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, almeno come è stato strutturato negli ultimi sessanta anni.

Intanto al vertice del G20 di  San Pietroburgo, il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon si sforzava di dare ancora fiato alle speranze che la crisi siriana e le tensioni per l’uso di armi chimiche possano essere risolte ancora con gli strumenti della diplomazia e non delle armi.  Cosi è arrivato l’ennesimo monito del segretario generale dell’ONU, secondo il quale un’azione militare “avventata” in Siria potrebbe causare “serie e tragiche conseguenze” e portare a “a ulteriori violenze settarie”. Ban ha lanciato un appello alle grandi potenze affinché mettano da parte le divergenze sul conflitto e prendano decisioni concertate per aiuti umanitari alla popolazione. Negli incontri avuti con i vari leader durante il G20, il segretario generale Onu ha anche sottolineato l’urgenza di “evitare un’ulteriore militarizzazione del conflitto e di rinnovare, invece, la ricerca di una soluzione politica”.

Durante il vertice di San Pietroburgo, Ban Ki moon ha ricordato che i campioni raccolti dal team scientifico di ispettori guidati dallo scienziato svedese Ake Sellstrom nei luoghi dove si sopetta che il 21 agosto siano state usate armi chimiche, sono già arrivati in quattro laboratori differenti europei per le analisi.  Ban Ki moon ha detto che gli scienziati stanno lavorando “24 ore su 24” per cercare di giungere a risultati il più velocemente possibile ma allo stesso tempo senza voler compromettere l’integrità e l’accuratezza  del lavoro.  Quando i risultati saranno pronti, Ban Ki-moon ha detto che li consegnerà immediatamente al Consiglio di Sicurezza e a tutti gli altri 193 paesi membri delle Nazioni Unite.

Ma nessuno ormai al Palazzo di Vetro si aspetta che gli Stati Uniti aspetteranno i risultati delle indagini degli ispettori di Ban Ki-moon se l’autorizzazione del Congresso per l’intervento militare dovesse arrivare prima. E questo lo diciamo  soprattutto dopo aver ascoltato l’intervento di ieri dell’ambasciatrice Samantha Power, che vogliamo sottolinearlo, non ha permesso più di tre domande ai giornalisti (tra i tantissimi giornalisti presenti, erano molti coloro che hanno  criticato la nuova ambasciatrice USA per non aver concesso piu domande e inoltre nessuno dei giornalisti scelti direttamente dalla spokeperson della Power ha chiesto se gli USA  aspetteranno o meno i risultati degli ispettori dell’ONU prima di un eventuale attacco).

Inoltre, lo stesso segretario di Stato John Kerry aveva ricordato nei giorni scorsi che gli ispettori ONU non avevano il mandato di indagare su chi fosse il responsabile dell’attacco chimico ma solo se questo fosse avvenuto. Su questo punto essenziale una importante nota. Prima della partenza per il G20, Ban Ki Moon ha tenuto al Palazzo di Vetro una breve conferenza stampa, in cui gli è stato chiesto chi aveva dato agli ispettori solo il mandato di investigare se ci fosse stato un attacco chimico ma non su chi fosse il responsabile dell’attacco. A quel punto, Ban Ki Moon ha risposto che era stato lui a dare queste istruzione agli ispettori ONU. Cioè non era stato il Consiglio di Sicurezza o il governo siriano a definire gli scopi del mandato ma proprio lo stesso Segretario Generale e per sua stessa ammissione.

Al briefing del giorno dopo, Radio Radicale ha chiesto ad uno dei portavoce di Ban Ki Moon, se il Segretario Generale potesse a questo punto cambiare le sue istruzioni date agli ispettori, e insomma dargli anche le direttive per indagare  e svelare i colpevoli degli attacchi chimici. La risposta è stata che gli ispettori mandati finora sul campo non erano attrezzati per quel tipo di indagine, e che comunque anche il Consiglio di Sicurezza avrebbe potuto incaricare una nuova missione con quel tipo di istruzioni.

Bisognerebbe a questo punto capire perché Ban Ki Moon non abbia approntato fin dall’inizio, la missione degli ispettori ONU con le istruzioni e le capacità tecniche per poter condurre delle indagini che andassero ben oltre lo stabilire se un attacco chimico fosse avvenuto o meno.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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