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August 30, 2013
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Obama, salvare la tua faccia non vale un finimondo

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Il Presidente Obama in una intervista alla Pbs, parla del probabile intervento militare in Siria per punire Assad

Il Presidente Obama in una intervista alla Pbs, parla del probabile intervento militare in Siria per punire Assad

Time: 5 mins read

 

Tutte le strade portano a Damasco, ma quando si incontra il bivio che indica la strada della guerra? Ecco che per dare ancora una chance alla diplomazia e alla ricerca della pace,  il Parlamento può diventare decisivo sulla decisione da prendere. Il Premier Britannico David Cameron fino a ieri era convinto della necessità di partecipare all’attacco militare insieme agli USA per punire il regime di Assad per l’uso di armi chimiche contro i civili, ma Westmister lo ha stoppato, e con un voto contrario, anche se risicato, lo ha convinto a fare marcia indietro. La Gran Bretagna non parteciperà a nessun intervento armato contro il regime di Assad in Siria, almeno senza una qualche autorizzazione dell’ONU.

Il Presidente Barack Obama, ora che gli Stati Uniti non possono più contare  sul loro più fidato alleato – e anche la Francia di Hollande comincia ad esitare sull’opportunità di scatenare il finimondo nel cuore del Medio Oriente –  ha detto che deciderà in base alla “sicurezza nazionale”. Quindi non è più per la “responsabilità di proteggere” che si bombarda Damasco? Bene, fine delle ipocrisie almeno, ma non si capisce perché, per questa “sicurezza nazionale” si dovrebbe andare avanti con  l’attacco “limitato”, come lo chiama Obama. Una specie di punizione ma “senza far troppo male”.  E allora a che serve invocare la sicurezza nazionale? Per far il solletico ad Assad?

Non c’è di più pericoloso di un presidente  che si fa scappare “la linea rossa”, poi quando la guerra si avvicina non può rischiare di far la figura del debole senza p, allora si inventa la strategia del “bisogna colpire ma non troppo”. Bad idea, Barack. Se decidi di sparare i missili contro Assad, preparati anche alla possibilità della guerra, perché in uno scenario così complesso come la Siria non è prevista la toccata e fuga.

Obama ha parlato giovedì sera con importanti esponenti del Congresso, per convincerli delle ragioni dell’intervento militare, anche se gli Stati Uniti dovranno agire da soli. Il Congressman di New York, Eliot Engel, ha detto che Obama ha mostrato le prove della responsabilità del regime siriano, che sarebbero delle registrazioni di comunicazioni militari in cui alti ufficiali di Assad parlano dell’uso delle armi proibite (queste intercettazioni, secondo alcune credibili notizie dei giorni scorsi, sarebbero state captate non dagli USA ma dai servizi israeliani che poi le avrebbero passate agli americani). Insomma Barack Obama sembra ormai deciso ad andare avanti e prima di dare l’ordine agli aerei e alle navi di sparare i missili, aspetterebbe soltanto che gli ispettori ONU di Ban Ki Moon escano dalla Siria, cosa che accadrà sabato. 

Giovedì pomeriggio al Palazzo di Vetro dell’ONU, i grandi cinque con potere di veto, si sono riuniti a porte chiuse per discutere di Siria. La riunione è stata voluta dalla Russia, pochissimo è trapelato, nessuno si è degnato poi di parlare ai giornalisti.  A quanto pare la Gran Bretagna avrebbe cercato di riproporre una risoluzione al Consiglio di Sicurezza, ma sarebbe stata ignorata dai russi che invece intendevano rilanciare la conferenza di Ginevra II. I russi avrebbero chiesto anche di allungare i tempi della missione degli ispettori dell’ONU, per guadagnare tempo ma anche per fargli compiere indagini su dei siti dove a lanciare attacchi chimici, secondo Mosca, questa volta sarebbero stati i ribelli… Abbiamo visto uscire, prima degli altri, l’ambasciatore britannico Mark Lyall Grant visibilmente adirato che ripeteva ai giornalisti “no comment”, e quel cattivo umore non si sa se fosse più per le notizie provenienti dal Parlamento inglese o per la “melina” diplomatica intentata dai russi all’ONU.

Questa volta è toccato all’Italia indicare, fin dall’inizio, l’unica strada percorribile verso Damasco, quella che ora anche il governo di Cameron ha dovuto suo malgrado intraprendere. Non ci può essere un intervento di una coalizione internazionale  contro il regime di Assad senza l’autorizzazione dell’ONU. Il nostro ministro degli Esteri, Emma Bonino, lo ha ribadito per l’ennesima volta anche ai microfoni della CNN rispondendo alle domande di Christiane Amanpour.

La ragione ci appare chiara e si riassume così: la Siria non è il Kosovo! Quando il serbo Milosevic si accingeva al genocidio dell’etnia albanese, la “responsabilità di proteggere” e quindi di agire con l’intervento NATO nonostante i veti russi all’ONU furono una necessità di cui l’Occidente doveva farsi carico. Ma lì appariva chiaro chi si andava ad aiutare e contro chi si doveva sparare. In Siria, nulla lo è. L’opposizione armata è composta da una miriade di fazioni incontrollabili.  L’intervento contro il regime di Assad dovrebbe essere in aiuto dei civili ma come prendersi la “responsabilità di proteggere” le vittime del regime senza allo stesso tempo aiutare  chi potrebbe essere altrettanto  pericoloso per altre minoranze?

Giusto allora lasciare che gli ispettori ONU finiscano con tempi record l’indagine su cosa sia successo il 21 agosto. Con i risultati dell’inchiesta sull’attacco chimico poi si può andare avanti con le regole dell’ONU per fare giustizia e punire i responsabili degli attacchi chimici. Cioè anche attraverso la Corte Penale internazionale che è adatta a portare a termine un certo tipo di indagini e a perseguire chi si è macchiato di un crimine contro l’umanità. E infine, portando delle prove certe, se esistono, al Consiglio di Sicurezza,  ai russi verrebbe molto più  problematico porre veti: di fronte alla “pistola fumante” di Assad sull’uso di armi chimiche, persino Mosca sarebbe in grave difficoltà nel Palazzo di Vetro nel far da scudo al regime siriano.

Certo, l’Italia è “spinta” nella sua posizione dalla preoccupazione di non scatenare l’inferno in una regione già bollente dove ha 1174 soldati italiani col casco blu in Libano nella missione ONU dell’UNIFIL, che diventerebbero di colpo un bersaglio degli Hezbollah alleati di Assad. Ma se queste preoccupazioni sono determinanti per la prudenza di Roma, in questo caso ci aiutano ad indicare l’unica strada percorribile per evitare quell’“intervento limitato” di Obama che si sa come inizia ma non si può prevedere cosa scatenerebbe. E poi per raggiungere che cosa? Già, quale sarebbe il vero obiettivo di Obama? Non perdere la faccia? La storia è piena di futili motivi presi a pretesto per scatenare il finimondo. Pensaci ancora Obama, prima di rischiare di far riapparire a Damasco gli spettri di Sarajevo, quelli del 1914!
 
 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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