“E poi nemmeno l’ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi – non sparare sui tedeschi – non lasciarsi disarmare dai tedeschi – uccidere i tedeschi – autodisarmarsi – non cedere le armi”.
Beppe Fenoglio, Primavera di bellezza
Le righe di uno scrittore per raccontare l’8 settembre del ’43 visto dalla parte dei soldati. Giorni convulsi in cui il nostro Paese, già stremato dalla guerra e dai lutti, venne di fatto consegnato a mani straniere: gli americani al sud, i tedeschi al nord. In mezzo una classe politica e militare che aveva portato l’Italia nel baratro. Resta indelebile la scena di Alberto Sordi, il tenente Innocenzi del film Tutti a casa di Comencini, che telefona al suo superiore annunciando: <Signor colonnello, è accaduta una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani>. E poi, di fronte alla rivelazione che lo sgomenta, replica: <Ma non potreste avvertire i tedeschi? Ci stanno continuando a sparare. Mi scusi signor colonnello, ma cerchi di comprendere… io ero all’oscuro di tutto. Quali sono gli ordini?>
Per spiegare la storia nessuno è meglio di uno storico. Il professore Marco Patricelli ha studiato a fondo i fatti che hanno preceduto e seguito l’Armistizio. Ha analizzato le carte ufficiali, setacciato gli archivi stranieri, ricostruito le testimonianze di chi c’era. I suoi libri hanno titoli emblematici: prima I giorni della vergogna pubblicato da Laterza, adesso Tagliare la corda edito da Solferino.
Come andarono realmente le cose?
“Andarono proprio così: l’8 settembre di ottant’anni fa mancò l’ordine. E soprattutto mancarono gli ordini”.
Ci fu il proclama dai microfoni dell’Eiar di Badoglio, capo del governo.
“Un annuncio volutamente ambiguo, nello stile dell’uomo. Diceva che doveva cessare ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane. Ma aggiungeva: <Le forze italiane però reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza>. Che significa? Non bisognava più sparare agli americani per colpire i tedeschi? Chi erano i nemici? Dateci degli ordini, invocava sconsolato Alberto Sordi nel film”.
Fu un calcolo strategico?
“Fu incapacità. Fu viltà. Il re, il capo del governo e lo stato maggiore si resero responsabili di comportamenti omissivi gravissimi”.
Erano moralmente o politicamente colpevoli?
“I loro comportamenti mescolarono tragedia e farsa. Il maresciallo Badoglio, posto da Vittorio Emanuele III al comando dell’esecutivo dopo la deposizione di Mussolini, non era minimamente in grado di gestire la situazione. La notte tra il 7 e l’8 settembre stava dormendo quando i generali americani si presentarono nella sua villa: li ricevette in pigiama sbadigliando. Cascasse il mondo, lui subito dopo cena si metteva a letto. Gli chiesero di schierare l’esercito per facilitare l’arrivo degli Alleati e lui replicò prendendo tempo: voleva rinviare l’annuncio dell’armistizio. Sperava che fossero gli americani a togliergli dal fuoco le castagne tedesche e se ne tornò a dormire. Eisenhower invece rifiutò: la resa doveva diventare pubblica immediatamente. La storia non aspetta”.
Lei parla di resa, non di armistizio.
“Fu una resa senza condizioni. Una capitolazione. Questo ci ha portati ancora più deboli al tavolo del dopoguerra”.
Resa determinata dalla fuga notturna dei vertici istituzionali da Roma?
“Con un milione di soldati italiani a fronte di 400mila tedeschi, la capitale poteva e doveva essere difesa. Kesselring la prese perché era stata abbandonata. L’esercito si era dissolto”.
Il viaggio per mare dei Savoia ebbe aspetti grotteschi.
“La mattina del 9 settembre il re e la regina sul molo di Ortona cercavano Badoglio, che invece si trovava venti chilometri più a nord: era già salpato dal porto di Pescara sulla corvetta Baionetta. Sarebbero sbarcati tutti insieme mestamente a Brindisi. In salvo, però”.
Le cronache raccontano che il principe Umberto commentasse: Mio Dio, che figura.
“Si può perdere una guerra, ma non così. Quella fu un’umiliazione. L’Italia paga ancora oggi a caro prezzo il danno alla sua reputazione”.
Un popolo di santi, di navigatori, di eroi. E anche di cialtroni?
“I tedeschi sapevano che avremmo cambiato casacca. Il comando supremo del Reich diede il via immediato al Piano Achse: pronto già da maggio, prevedeva l’ultimatum ai nostri generali di disarmare l’esercito. Semplicemente anticipò i tempi. La notte stessa dell’8 settembre le forze tedesche presero possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie e caserme”.
Fu il presupposto alla mattanza?
“Le stragi naziste in Italia sono state una vendetta al tradimento. Una punizione terribile ai danni dei civili inermi e dei soldati italiani che non deposero le armi a Cefalonia, a Kos, a Lero, a Spalato”.
Senza la fuga sarebbe nata ugualmente la Repubblica di Salò?
“Assolutamente no. Lo dicono le carte, nero su bianco: l’Italia si era impegnata a consegnare il Duce e i gerarchi agli angloamericani. Non ci sarebbe stata una guerra civile. Invece il 12 settembre i parà di Hitler liberarono Mussolini detenuto a Campo Imperatore e le cose andarono come andarono”.
Se nell’esercito prevalsero confusione e stanchezza, la popolazione decise subito da che parte stare.
“Gli americani furono accolti come i liberatori. Molti di loro, prigionieri dei tedeschi, furono aiutati a scappare e nascosti in casa con rischi enormi. Solo una esigua minoranza non li vedeva di buon occhio, temendo una rappresaglia”.
E i partigiani?
“Il valore morale delle loro azioni non si tocca, la Brigata Majella resta un esempio in tal senso. Ma non sono stati i partigiani a liberare l’Italia”.
Perché in Italia resiste un antiamericanismo strisciante, almeno in certi ambienti?
“Tre nazioni hanno perso la guerra. Amburgo, Dresda e Berlino sono state rase al suolo. Il Giappone ha pagato con la bomba atomica. L’Italia ha dovuto accettare una sovranità limitata: per alcuni versi siamo ancora un Paese sotto tutela. Non la periferia dell’impero, ma l’anello debole sì”.
L’8 settembre è una data in chiaroscuro, il 25 aprile un muro contro muro. Riusciremo mai a rimarginare queste ferite?
“La Francia e gli Stati Uniti hanno una festa nazionale che nessuno discute. L’Italia sconta un peccato originale: non esiste una memoria condivisa. Dobbiamo ancora aspettare”.