In Italia, la Camera dei Deputati ha approvato il progetto di legge del governo Meloni che vuole rendere “reato universale” la maternità surrogata. Il testo ora passa al Senato e non c’è motivo di dubitare che sarà approvato. Si intende con “maternità surrogata” il ricorso a una donna che presta il proprio corpo per la gestazione di un feto che sarà poi affidato ai committenti. Può sembrare strano dalla prospettiva statunitense ma in Italia la questione è da anni al centro di polemiche; c’è chi vorrebbe normare questa possibilità e preferisce parlare di “gestazione per altri”, c’è chi la ritiene una pratica sempre e comunque deleteria per la donna coinvolta e usa la frase “utero in affitto” (a sottolineare che si tratta di sfruttamento).
In Italia, come in gran parte dei paesi europei, è già vietato ricorrere alla maternità surrogata; a che pro, dunque una legge che lo rende “reato universale” cioè perseguibile ovunque sia stato commesso? È stata una delle promesse elettorali di Giorgia Meloni e della sua ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella.
La legge nella sua ultima versione consentirà di perseguire solo i cittadini italiani che abbiano ottenuto un figlio con una gestante. Si mira così a scoraggiare le coppie dal ricorrere a questa soluzione; ma lo scopo prioritario, in realtà nemmeno tanto nascosto, è impedire soprattutto alle coppie gay di ricorrere a una gravidanza surrogata all’estero. Per gli altri, il problema si può aggirare in tutto o in parte.

Si calcola che il 90% delle coppie che usano una madre surrogata siano eterosessuali, con problemi di fertilità, e che alla gestante sia impiantato per lo più materiale genetico della coppia. Se il bambino nasce all’estero ed è registrato come figlio della coppia, la legge italiana anche in futuro non avrà motivo di andare a scovare le sue origini.
Per una coppia di lesbiche, la soluzione è in genere – oggi – che una delle due si faccia fecondare artificialmente (all’estero: in Italia non è consentito); il figlio sarà legalmente suo, ma non della compagna. Diversi comuni da qualche anno avevano cominciato a trascrivere il nome dell’”altra” madre sui certificati anagrafici. Pratica che il governo Meloni ha bloccato; per la ministra Roccella “la legge è chiara”, sebbene il Parlamento europeo abbia condannato l’Italia per lo stop alle trascrizioni (che lascia i bambini in un limbo giuridico).
Il “reato universale” però punta dritto alle coppie formate da due omosessuali maschi: sono loro che non possono concepire in altro modo. “Adottino!” tuonano tanti benpensanti (rispetto a crescere in orfanatrofio anche stare con una coppia gay sembra accettabile a molti conservatori). Ma in Italia, le coppie di gay o di lesbiche – anche se legate da una sorta di matrimonio, l’”unione civile” – non possono adottare.
In concreto, due omosessuali maschi che tornino dall’estero con un bambino saranno sotto i riflettori, saranno considerati criminali, e il bambino non sarà legalmente loro. Sulla questione si discute, l’ho detto, da anni; vanno segnalate le barricate di gran parte dell’opposizione, ma anche la furia che anima una parte del mondo femminista. Sono le cosiddette ‘femministe della differenza’ che difendono a spada tratta l’unicità del corpo delle donne (per loro, la maternità surrogata è sempre e comunque sfruttamento, come la prostituzione; il concetto di autodeterminazione non si estende a questi usi del proprio corpo).Poi ci sono quelli che tentano (senza fortuna fin qui) una mediazione, come l’associazione Luca Coscioni, che si occupa di diritti civili (poco per volta è riuscita a ottenere un riconoscimento della giurisprudenza del suicidio assistito in certe circostanze), e ha pronta da anni una proposta di legge per regolamentare strettamente le maternità surrogate. Progetto che per ora resterà in un cassetto.

Di genitori gay grazie alla maternità surrogata in Italia ce ne sono parecchi, alcuni celebri; fra di loro, per esempio, l’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola. Altri si sono da tempo trasferiti all’estero – come il cantante Tiziano Ferro, sposato con lo statunitense Victor Allen. E in futuro?
Con il concetto di “reato universale” l’Italia diventerà un unicum in Europa.
Però i paesi del mondo che accettano la maternità surrogata sono relativamente pochi, e in genere proibiscono la cosiddetta GPA “commerciale”, cioè retribuita, consentendo solo un rimborso per le spese mediche sostenute. Alcuni usano paletti, per esempio che il materiale genetico usato non debba appartenere alla gestante, o che la gestante debba avere già dei figli propri. In Europa, la surrogata è regolata in Grecia, Belgio e Olanda, proibita nella maggioranza degli altri paesi UE, sostanzialmente non regolata in altri (come Polonia e Repubblica ceca). Nel Regno Unito, in gran parte del Canada (escluso il Quebec), in Australia e Nuova Zelanda, Sudafrica, Nigeria, Brasile è consentita la surrogata altruistica. Negli Stati Uniti la legge varia molto da Stato a Stato, diversi però consentono la pratica anche commerciale.
Il tema è scottante; investe il potenziale sfruttamento delle donne, il riconoscimento dei “migliori interessi del bambino”, che una volta nato deve essere tutelato, e infine il diritto delle coppie omosessuali a vivere come tutti gli altri cittadini. Leggi come queste non impattano solo su chi vorrebbe un figlio e non può averlo; investono la considerazione che la società ha di tutto il mondo LGBT+, lo rende un corpo estraneo alla vita dei “normali” con tutti i diritti. Si potrebbe obbiettare che, appunto, basterebbe rendere l’adozione più facile per tutti, e consentirla anche alle coppie gay (e già che ci siamo magari anche ai single). Ma questa è un’idea a cui la società italiana resta refrattaria: un bambino, si ripete, a dispetto di tutti gli studi psicologici, “deve avere una mamma e un papà”; pazienza per gli orfani, per chi cresce in famiglie monogenitoriali, o disfunzionali. Per fare un figlio non servono patenti: basta essere fertili, cosa succede dopo è questione di fortuna.