Dov’è eri tu, quel giorno?
Io in sala da pranzo, annoiata dopo un pasto tardivo coi parenti che ciacolavano di là; una calda domenica di luglio, accesi la televisione per cambiare pensieri. Il corrispondente della Rai era lì a via d’Amelio, la strada un inferno divelto, la macchina una carcassa bruciata, sirene e polizia. Trentuno anni fa.
Ogni italiano in grado di ricordare lo sa, dov’era quel pomeriggio del 19 luglio quando morì Paolo Borsellino, come quella sera di due mesi prima quando Giovanni Falcone, l’altro giudice ucciso da Cosa Nostra in quei mesi, saltò in aria con Francesca Morvillo e tre uomini della scorta sull’autostrada per Capaci. Oggi, trentuno anni dopo, le cerimonie a Palermo per piangere Paolo Borsellino hanno seguito il copione abituale, un brogliaccio cui solo l’impegno civico di chi partecipa evita di annegare nella retorica.
Alle stragi contro i due magistrati del pool antimafia è stato dedicato anche un dibattito parlamentare a Roma; è arrivato il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (che a Palermo ucciso da Cosa Nostra perse il fratello Piersanti, era il 1980).Nella città di prima mattina, riunione attorno all’ “albero della pace” con Rita Borsellino, sorella del magistrato, e tante testimonianze di familiari delle vittime di altre stragi, proprio nel punto in cui l’autobomba lo uccise sotto casa di sua madre, insieme agli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina ed Emanuela Loi; ha parlato anche l’unico sopravvissuto, l’agente Antonio Vullo.
E poi un minuto di silenzio nell’ora dell’attentato, le 16:58; dibattiti, rappresentazioni, un corteo pomeridiano, presente anche la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein.
A Palermo è arrivata anche la premier Giorgia Meloni che in mattinata ha deposto una corona d’alloro ma non si è trattenuta per la fiaccolata serale, tradizionalmente organizzata dalla destra. La cosa ha suscitato alcune polemiche, tanto più che si è detto fosse per problemi di sicurezza (cioè per evitare possibili contestazioni). Il 23 maggio, alle commemorazioni per la morte di Giovanni Falcone, a Palermo c’erano stati scontri fra gli agenti in tenuta antisommossa e alcuni manifestanti di un corteo alternativo. Alla fiaccolata anche oggi si contrappone un corteo promosso dai sindacati e dal movimento “Le agende rosse” con lo slogan “Basta Stato-Mafia” (in riferimento alle presunte collusioni dello Stato con la criminalità organizzata).

Meloni, che varie volte ha raccontato di aver iniziato a fare politica dopo la strage di via d’Amelio, ha parlato di una “polemica inventata; sono qui a testa alta”.
Il fatto è che ci sono tante domande che corrono sottotraccia a queste occasioni e a tante altre in cui si piangono le vittime di Cosa Nostra o anche della camorra napoletana. Per le stragi di Capaci e di via d’Amelio, dopo molti anni di processi, nel 2006 la Corte d’assise d’appello di Catania condannò dodici persone come mandanti, sentenza confermata dalla Cassazione nel 2008 (ma la vicenda giudiziaria è molto ramificata e complessa e coinvolge anche gli esecutori materiali). La mafia siciliana voleva vendicarsi del pool che aveva istruito il maxiprocesso di Palermo (dal 10 febbraio 1986 al gennaio 1992). Ma ancora: perché sono scomparse le famose agende rosse di Borsellino che dovevano essere nella sua auto? (Il movimento omonimo, “Le agende rosse”, è stato fondato da Salvatore Borsellino, fratello minore). Ci fu un coinvolgimento dei servizi segreti?
L’Italia è il paese dei misteri irrisolti, purtroppo per vittime e cittadini; quanta e quale parte della politica è stata collusa con la mafia e la sua capacità di spostare masse di voti, in passato? E oggi? E ancora:
ma la mafia è stata sconfitta? E se no, dov’è ora che non uccide più politici, magistrati e giornalisti? Le risposte sono tutte nebulose. Tranne la certezza che la mafia c’è, seppure oggi si occupi sempre più di faccende economiche a livello internazionale: traffico di stupefacenti e migranti, traffico di armi, cose molto lucrose e meno politiche. Allo stesso tempo chi vive nelle grandi città la vede, la mafia (come anche la ‘ndrangheta calabrese e la camorra napoletana); la vede, come a Roma, per esempio, nei tanti ristoranti del centro che cambiano gestione ogni due mesi, che espongono ricchi menù di pesce a caro prezzo, sempre gentilissimi, sempre vuoti; specchietti per le allodole per il riciclaggio, si dicono i cittadini, ma se è così, perché viene tollerato?
Il problema è appunto che le domande, in Italia, sono sempre molte più delle risposte (che magari sono coperte dal segreto di Stato, come la strage di Ustica, l’aereo caduto in mare nel 1980 in Sicilia con 81 vittime; inchiesta a cui ha dedicato la vita il giornalista Andrea Purgatori, deceduto proprio oggi. Quella storia con la mafia non c’entra, forse il DC9 fu vittima di una guerra nel cielo fra l’aviazione libica e quella francese; ma coi silenzi e i misteri c’entra eccome, sintomatica di un paese con più sudditi che cittadini). E le domande puoi continuare a farle ogni 23 maggio e ogni 19 luglio e ogni altro giorno dell’anno (una strage per ogni giorno), ma se le risposte non arrivano, anche lo spirito civico più roccioso si stanca.