Quando si entra al Florence American Cemetery and Memorial (Cimitero Americano di Firenze) si è assaliti da molte emozioni, commozione, sgomento, pace. Un’intera collina trafitta da 4402 croci bianche che oltre a dare un nome aiutano a ricordare il sacrificio che giovani uomini, in un tempo neppure troppo lontano, hanno fatto per conto e in ragione della libertà.
Il cimitero situato a Falciani, si estende su di un’area ceduta gratuitamente dal governo italiano agli Stati Uniti per la sepoltura dei soldati americani della 5^ Armata, caduti durante la campagna d’Italia tra il 1943 e il 1945. È in questo luogo che si intrecciano i destini di due uomini che non si sono mai incontrati, ma che forse avrebbero avuto molto da raccontarsi.
Marco Gabriele Tofani la prima volta che venne in visita al cimitero con la famiglia aveva appena 15 anni e correva l’anno 1962. Ha continuato a tornare negli anni, con regolarità spinto come da un’urgenza di conoscere le storie di questi ragazzi, di dargli un volto legittimandone la scomparsa prematura. Durante una delle sue visite il suo sguardo andò a posarsi casualmente su una fra le tante croci bianche.
A destare la sua curiosità fu forse quel cognome tedesco o chissà. Veniva riportato il nome di Charles J. Spiegel, caduto con il suo aereo il 29 dicembre 1944 a soli 22 anni. Nonostante i pochi elementi rinvenuti, si rese conto di aver iniziato a nutrire nei suoi confronti una sorta di fratellanza, sviluppando l’esigenza di andarlo a trovare spesso come fosse stato un familiare.
Nel 2012, ricorrendo i 60 anni dalla scomparsa di Charles, decise che avrebbe dovuto fare qualcosa di speciale, magari rintracciare le sue origini e conoscere quel poco che gli era stato permesso di vivere. Iniziò quindi una lenta e faticosa ricerca affidata soprattutto alla rete che prometteva di raggiungere chiunque ottenendo informazioni anche riservate senza necessariamente mettersi in viaggio.
“Il giorno della ricorrenza era ormai lontano, ero stato al cimitero facendo una solitaria quanto intima commemorazione. Le ricerche parevano arenate, avevo setacciato tutti i club, i gruppi dei veterani intercettando anche una lettera nella pagina appartenente al 724° squadrone, dove un certo Glenn Spiegel chiedeva informazioni dello zio morto in guerra in Italia. Gli scrissi prontamente vista l’affinità del cognome senza però ottenere risposta. Passò ancora un po’ di tempo e con mia grande sorpresa un giorno ebbi sue notizie, era riuscito a mettersi in contatto con me, ero incredulo. Incrociammo i dati di cui ero in possesso e ebbi le conferme che attendevo da molti anni, ero finalmente riuscito a risalire alla sua identità.
Ero curioso, emozionato, bramavo, volevo conoscere ogni dettaglio. Ma non erano molti, in quel frangente seppi soltanto che Charles era un copilota e all’interno del suo velivolo un B24-J Liberator vi erano altri 9 soldati. Soltanto in 2 riuscirono a sopravvivere essendosi lanciati con il paracadute, mentre per tutti gli altri non ci fu salvezza perirono in quell’abbattimento. Con ricerche piuttosto meticolose in seguito venni a sapere che il suo equipaggio era alla diciassettesima missione. Decollati dall’aeroporto pugliese di Castelluccio dei Sauri il loro obiettivo era un bombardamento in Austria. A causa delle avverse condizioni meteo furono costretti però a tornare indietro e mentre attraversavano i cieli del Friuli sopra Udine vennero abbattuti dalla contraerea tedesca.
Charles J. Era nato nel 1922 nel New Jersey, si era diplomato nel 1943 e prima di arruolarsi aveva aiutato il padre nell’officina di famiglia. Spinto da un grande amore per la patria e dall’interesse per il brevetto da aviatore aveva deciso di entrare nell’aeronautica ma una volta giunto in Italia non trascorsero che pochi mesi dalla sua morte.
Glenn era uno dei suoi tanti nipoti figlio di un fratello minore di nome Rymond. Durante il Memorial Day dell’anno in cui ci siamo conosciuti, venne in Italia con un cugino per presenziare alla cerimonia e ebbi quindi la possibilità di incontrarlo. In quell’occasione mi fu consegnata attraverso le sue mani la bandiera che avvolgeva la bara di Charles J. Ho vissuto quel gesto come un passaggio di testimone, mi sono sentito onorato nel riceverla, ma allo stesso tempo investito anche da una grande responsabilità nel dover custodire in maniera appropriata la sua memoria. Ormai sono parte della famiglia Spiegel con la quale ho un profondo e sincero rapporto d’affetto. Mi sono recato a Elisabeth nella Contea di Union per visitare i luoghi in cui questo giovane aveva vissuto. Tutto è rimasto immutato c’è ancora nel garage della sua casa il saccone su cui si divertiva a tirare pugni per allenarsi. Amava la boxe.
La mia ricerca con il trascorrere del tempo si è spinta oltre, andando a intercettare anche gli altri membri dell’equipaggio, parlando con i sopravvissuti ho potuto ricostruire gli ultimi momenti di vita di questo sfortunato ragazzo”.
A volte ci sono racconti come questo che sembrano usciti dai libri di Dickens ma questa non è una favola è una storia vera e ha avuto nonostante tutto il suo lieto fine.