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in Cronaca italiana
June 22, 2022
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C’era una volta il sindacato italiano

Il punto sulla profonda crisi di Cgil, Cisl e Uil e sulle sue cause

Mira CarpinetabyMira Carpineta

(S) Il segretario della Cgil Maurizio Landini, il segretario della Cisl Luigi Sbarra ed il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri durante la manifestazione dei sindacati Cgil, Cisl e Uil contro tutti i fascismi a piazza San Giovanni, Roma, 16 ottobre 2021. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Time: 7 mins read

La crisi dei sindacati è manifesta. Il declino delle organizzazioni nate per tutelare i diritti dei lavoratori, dall’inizio degli anni 2000 è drammaticamente evidente. Le due principali organizzazioni sindacali hanno fatto registrare, solo dal 2000 al 2017, una perdita che supera i 300.000 iscritti.

Negli ultimi anni Cgil e Cisl hanno perso complessivamente circa un milione di iscritti, mentre per la Uil non lo si può sapere in quanto i dati sono disponibili solo dal 2016. 

Nel 2020 gli iscritti ai tre principali sindacati, Cgil, Cisl e Uil, erano all’incirca 11 milioni di persone, anche se il numero non è certo, perché la Cgil non ha rilasciato il dato esatto (così come nel 2018 e nel 2019). Dei tre la Cgil conta circa 5 milioni di iscritti, la Cisl  4 milioni e la Uil 2,3 milioni.

Nel 2021 i tesserati CISL (dati dichiarati dall’organizzazione) sono 4.076.033, in leggero aumento (0,17%) rispetto all’anno precedente.  I lavoratori attivi iscritti alla CISL rappresentano oggi il 58,89% complessivo di tutti i tesserati e passano dai 2.378.479 del 2020 ai 2.400.355 del 2021, con un incremento di 21.876 associati (più 0,92%) di cui 1.675.678 rappresentato dai pensionati. il 48,82% sono donne ed il 51,18% sono uomini. Nei pensionati il 54,00% degli iscritti è di sesso femminile, mentre il 46,00% sono uomini. Dal punto di vista  anagrafico, tra i lavoratori attivi il 26,38% ha meno di 40 anni, il 28,55% ha tra 41 e 50 anni ed il 45,06% ha più di 50 anni. I nati all’estero sono 368.950 e rappresentano il 16,22% dei lavoratori attivi, i paesi più rappresentativi dei nati all’estero sono la Romania con il 17,35%, l’Albania con il 10,89% e il Marocco con il 8,13%.

Secondo uno studio della Confsal la cifra ufficiale degli iscritti, dichiarata dalle principali sigle è di 14,8 milioni ma ci sarebbero almeno 3 milioni di iscritti non dichiarati.

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, durante la manifestazione dei sindacati in occasione del Primo maggio, Assisi, 1 maggio 2022.
ANSA/ GIANLUIGI BASILIETTI

l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) misura il “trade union density”, cioè il rapporto tra gli iscritti ai sindacati (escludendo i pensionati) e la popolazione occupata in un paese. Tra i paesi considerati dall’OECD per cui ci sono i dati, l’Italia è uno di quelli con la maggiore penetrazione sindacale tra i lavoratori. Per fare un confronto europeo, in Germania è pari a solo il 16,3%, in Spagna al 12,5% e nel Regno Unito al 23,5.

Vale la pena interrogarsi sulle cause di tanta disaffezione. Certo la crisi ha radici profonde, arriva dagli anni 80 e da una concertazione politica basata soprattutto sulla contrattazione reddituale e relazioni industriali volte a disarmare il dissenso, lo scontro, la critica, la “lotta”. La concertazione sembrava la soluzione ideale per evitare il rapporto conflittuale tra sindacati e governo, attraverso consultazioni preventive con le parti sociali, prima di operare scelte economiche in periodo storico drammaticamente segnato da conflitti sociali, i cosiddetti “anni di piombo” . Lavoro, salari, previdenza sociale, politiche fiscali, finanza pubblica e politiche economiche, tutto avveniva attraverso la pratica della concertazione.

Il concetto di concertazione nasce sulla scia del “compromesso storico” teorizzato da due grandi e carismatiche figure politiche: lo statista Aldo Moro, assassinato dal gruppo terroristico Brigate Rosse, ed Enrico Berlinguer, il sindacalista per antonomasia, anch’egli scomparso troppo prematuramente.

Per i sindacati inizia così un periodo di corresponsabilità in tutte queste scelte, dove il ruolo della critica o dell’opposizione deve per forza essere calmierato per poter partecipare ai tavoli di concertazione. Diminuiscono gli ambiti e le modalità di intervento. Si ritrovano così a presidiare un territorio sempre più limitato, grazie anche a scelte opinabili come le limitazioni agli scioperi, e confinato alla “fabbrica”, alla conservazione dei posti già tutelati e dei diritti già acquisiti, come le pensioni.

Nel frattempo però, è esplosa la globalizzazione, la rete, il mondo si è ritrovato tutto insieme e contemporaneamente nello stesso luogo, anche se virtuale. E in questo nuovo luogo sono nati, grazie alla tecnologia, nuovi modelli di lavoro, di impresa, di attività, di necessità, di opportunità.

I sindacati invece sono rimasti fermi, a guardare un mondo cambiare vorticosamente, a presidiare i cancelli delle ultime fabbriche sopravvissute alla crisi economica del 2009.

Un sindacato che ad oggi fatica a riconoscere e capire le nuove competenze, le nuove esigenze, sia del mondo datoriale che di quello operativo.

Dopo due anni di pandemia e adesso una crisi bellica che minaccia l’Europa intera i sindacato hanno perso i loro riferimenti di sicurezza, il senso del loro ruolo.

Sono nate categorie di lavoratori e mestieri che non esistevano solo 3 anni fa, oppure non rappresentavano una platea così vasta. Il cosiddetto smartworking o lavoro agile, gli orari flessibili, la rete internet che prepotentemente prende in mano la gestione del mondo del lavoro e delle prestazioni fuori dagli schemi e dagli strumenti abituali.

Questo è un modo di lavorare difficilmente comprensibile per una generazione che ha impostato la vita sociale di intere nazioni sulla mobilità per raggiungere fabbriche o uffici. Talmente difficile da capire che non riesce a chiedere (ma neanche a riconoscere quali siano) nuovi diritti e nuove tutele per chi invece , obtorto collo, è stato costretto ad adeguarvisi. La scuola, la PA, i trasporti, le aziende, per non essere travolti dallo tsunami della pandemia hanno dovuto attingere a tutte le opportunità delle nuove tecnologie, ma il nuovo ambiente non ha regole ed è quindi impossibile (al momento) definirne limiti ad abusi o sfruttamenti.  Susanna Camusso (ex leader CGIL) lo ha definito “lavoro fordista dentro le mura di casa”.

Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso durante la conferenza stampa al termine dell’incontro tra il governo e sindacati sulle pensioni al Ministero del Lavoro a Roma, 28 settembre 2016. ANSA/ GIORGIO ONORATI

I sindacati, in cui la componente generazionale è determinante vista la scarsissima partecipazione dei giovani, si sono ritirati “sull’Aventino”, a presidiare gli ultimi territori: pensioni e fabbriche. Due luoghi destinati inevitabilmente a profonde trasformazioni e non troppo lontane. Non a caso il ministro per la Funzione Pubblica, Brunetta, avrebbe volentieri “archiviato” la parentesi smartworking nella Pubblica Amministrazione appena terminato lo stato di emergenza post pandemia. Ma tornare indietro  non è stato possibile, almeno non completamente.

Da misura emergenziale a strumento di modernizzazione, la scelta di proseguire con lo smart working è motivata dai benefici riscontrati da lavoratori e aziende. Secondo una  ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, l’equilibrio fra lavoro e vita privata è migliorato per la maggior parte di grandi imprese (89%), PMI (55%) e PA (82%). Ma la combinazione di lavoro forzato da remoto e pandemia ha avuto anche conseguenze negative sugli smart worker: è calata dal 12% al 7% la percentuale di quelli pienamente “ingaggiati”, il 28% ha sofferto di tecnostress, il 17% di overworking.

Su questi argomenti e sulla perdita di posti di lavoro causati dalla pandemia, soprattutto fra i giovani e le donne, può trovare spiegazione  la sfiducia nei sindacati che si traduce in calo di iscrizioni. Per fermarlo occorre quindi prendere atto di scenari sociali completamente nuovi e adeguarsi, adattare il sindacato ai nuovi lavori, alle nuove realtà, alle nuove necessità, prima fra tutte i criteri di valutazione dei quesiti e delle competenze.

Il leader della Cgil, Maurizio Landini, in un’intervista al quotidiano La Stampa  chiede che: “Il governo ci convochi e si apra un confronto a tutto campo. Si stanno sommando tre emergenze: il Covid, che non finisce, la crisi climatica e la guerra. La situazione è straordinaria, penso servano risposte politiche straordinarie, sia nel nostro Paese che in Europa. Servono provvedimenti – sottolinea- che siano in grado disostenere le imprese, il reddito delle famiglie, sia riducendo l’Iva sui beni di largo consumo sia intervenendo sul caro bollette, sia con cassa integrazione dove i costi di produzione non sono sostenibili. In Europa, invece – osserva – occorre superare definitivamente la logica dell’austerità. E per questo occorre cancellare il Fiscal Compact e rendere non transitorie ma strutturali scelte come il Next Generation Eu.”

Draghi aveva già annunciato il 31 marzo, in una conferenza stampa dopo l’approvazione del DEF , la necessità di un incontro con i sindacati per “riprendere un confronto interrotto e vedere se non si possa tutti insieme, sindacati, governo e associazioni datoriali , discutere un piano complessivo, un patto sociale riempito di contenuti e merito”.

Italian Prime Minister Mario Draghi – ANSA/EPA/ATEF SAFADI

Si torna alla concertazione, quindi, nella speranza di riannodare un filo interrotto, in un dialogo che Draghi si auspica permanente e abituale,  nella consapevolezza dei tempi complicati che stiamo vivendo. Il patto tuttavia non può prescindere dalla necessità di un cambiamento  in cui dovranno essere rivisti i ruoli di una istituzione che rappresenta il grado di civiltà di un Paese e il baluardo alle derive restauratrici o revisioniste della storia e del lavoro. La sfida deve perseguire obiettivi e risultati con nuovi addendi, paradigmi, modalità, principi, altrimenti, come diceva Einstein, il risultato sarà sempre lo stesso.

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Mira Carpineta

Mira Carpineta

58 anni, giornalista pubblicista freelance, iscritta all'ODG Abruzzo, ha diretto per alcuni anni un periodico cartaceo abruzzese, il mensile PrimaPagina, di cui oggi continua a curare i contenuti del sito web

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