Cosa può spingere un padre ad ammazzare in modo così brutale i due figli Pietro e Francesca di 13 e 15 anni e poi togliersi la vita? Cosa può portare ad un simile gesto se non una mente malata che nessuno è riuscito a fermare in tempo? Un duplice delitto premeditato quello compiuto da Alessandro Pontin 49 anni ex parquettista di Trebaseleghe nel padovano. Una strage organizzata con una lucida follia che ha portato l’uomo a trascorrere una giornata con i figli e cenare insieme nella più completa normalità. Ma di normale non c’è niente in un padre che uccide a coltellate i due figli inseguendoli per casa mentre loro cercano di sfuggirgli e lascia un biglietto, prima di tagliarsi la giugulare, nel quale ha scritto di voler essere cremato.
Che cosa non ha funzionato nella catena di controllo sanitario sull’uomo e nelle forze dell’ordine? La ex moglie, dalla quale era separato da 5 anni e alla quale non voleva dare più di 100 euro per il mantenimento dei due figli adolescenti, aveva più volte avvisato i carabinieri. Lo ha raccontato il nonno materno, disperato al pensiero di non vedere più i due nipoti che accompagnava a scuola tutti i giorni. Perché i carabinieri non si sono allertati? Perché non hanno dato peso alle parole della donna che aveva parlato di stranezze dell’ex marito. Pontin da un po’ di tempo si era avvicinato alle teorie olistiche ed aveva aperto una pagina su Facebook dedicata al benessere e l’aveva chiamata Il mondo riflesso di Alessandro Pontin: «Le tue disarmonie si riflettono esternamente, in punti precisi, aveva scritto, La riflessologia facciale e plantare è il linguaggio energetico, per donarti benessere. Attraverso un tocco consapevole, rilascerai il disagio, comprenderai la causa e ritroverai l’armonia».
Pontin non sapeva che cosa fosse l’armonia e deve essere stato un campione di disarmonie, vista la violenza con la quale ha agito contro i suoi stessi figli. Perché non è stato curato, qualunque fosse la sua malattia mentale? Come riuscirà ora la mamma di Pietro e Francesca ad andare avanti è solo immaginabile, ma sarà lei a portare il fardello più doloroso. Lei che ha subito una doppia violenza. Quella di chi non le ha creduto e quella dell’ex marito che l’ha privata dei suoi affetti più cari.
“Accade spesso che si metta in discussione la parola della donna”, mi aveva detto Manuela Ulivi avvocata che difende le donne maltrattate, in un recente colloquio che avevamo avuto. Accade spesso che le istituzioni non riconoscano o neghino i presupposti della violenza, e giudichino nel modo sbagliato le scelte di vita di una donna che lascia il marito violento.
“Giudici, forze dell’ordine, avvocati, psicologi, medici, assistenti sociali non sempre sono preparati a riconoscere i segnali che portano all’evoluzione della violenza, si legge in un interessante opuscolo dedicato proprio al problema della doppia violenza pubblicato dalla Casa delle donne maltrattate .”Sono abituati a ragionare di relazione amorosa, di matrimonio e di convivenza in termini ordinari e in base a parametri oggettivi, mettendo in discussione la parola delle donne”.
E cosi sono in aumento i casi di padri che si vendicano delle compagne accanendosi contro i figli. Sono padri, malati che vanno fermati in tempo prima che il loro disagio si trasformi in una scia di sangue. Il 2020 è stato un anno terribile anche da questo punto di vista.

Lo scorso giugno Mario Bressi, 45 anni, un uomo dalla personalità mite e un padre premuroso, ha strangolato a Margno, in Valsassina, i gemelli dodicenni Elena e Diego, prima di gettarsi da un ponte. Dietro il delitto, la vendetta ai danni della moglie Daniela Fumagalli, dalla quale si stava separando. Poco più di un mese fa Alberto Accastello, 40 anni, ha ucciso a Carignano nel torinese la moglie Barbara, i gemellini di due anni e il cane prima di togliersi la vita. “Fra poco non ci sarò più”, aveva preannunciato al fratello prima di esplodere cinque colpi di pistola. Barbara voleva lasciarlo ed era andata da un avvocato per formalizzare la loro separazione. A settembre, a Rivara, sempre nel Torinese, Claudio Baima Poma, 47 anni, ha ucciso il figlio Andrea, di 11 anni e si è suicidato. Aveva scritto una lettera carica d’odio e di accuse all’ex compagna e madre del bambino. Dalle indagini sarebbe emerso che l’uomo stesse pianificando l’omicidio del piccolo Andrea da più di un anno. Forse proprio da febbraio 2019, quando si era separato dalla compagna.
Uomini sicuramente malati, ma soprattutto uomini che non accettano la libertà delle loro compagne. Uomini cresciuti in uno stato patriarcale di privilegi, che riconosce parità di diritti alle donne solo sulla carta ma non nella realtà e le giudica sempre mettendo in primo piano la loro moralità. La loro parola viene messa in discussione e il loro racconto di maltrattamenti deve essere ripeuto all’infinito prima che venga verificato e, quando sono fortunate, infine creduto. Non possiamo dirlo con certezza, ma forse Pietro e Francesca forse sarebbero ancora vivi se la denuncia della loro mamma fosse stata presa sul serio.