“L’Iran non si piegherà mai“. Parola dell’ayatollah Ali Khamenei, che in un videomessaggio trasmesso martedì sera dalla tv di Stato iraniana ha smentito le voci di una capitolazione imminente di Teheran nonostante i gravissimi danni causati da sei giorni di bombardamenti israeliani.
La Guida Suprema di Teheran ha rispedito al mittente l’ultimatum lanciato qualche ora prima dal presidente statunitense Donald Trump. “Chi conosce davvero l’Iran e la sua storia sa che non si parla a questa nazione con il linguaggio delle minacce, l’Iran non si piegherà mai“, ha tuonato l’86enne leader sciita, aggiungendo che “un intervento militare americano provocherebbe danni irreparabili”.
Il riferimento è alla minaccia di un intervento diretto da parte di Washington a sostegno dell’alleato israeliano. Su Truth Social, martedì, era stato lo stesso Trump a ventilare l’ipotesi, arrivando a contemplare l’assassinio di Khamenei – “sappiamo dove si nasconde, è un bersaglio facile, ma per ora non lo colpiremo” – e invocando la “resa incondizionata” dei pasdaran.
Interpellato espressamente sull’eventualità di entrare in guerra contro Teheran, mercoledì Trump si è limitato ad augurare ironicamente “buona fortuna” a Khamenei – e lasciato intendere che lo spazio per la diplomazia potrebbe essersi chiuso. “Gli iraniani hanno cercato un contatto ma è molto tardi per parlare (…) Nessuno sa cosa ho intenzione di fare”.
Una fonte vicina alla Casa Bianca ha intanto confermato che l’amministrazione repubblicana starebbe valutando una campagna di raid congiunti con Israele contro i siti nucleari iraniani, specialmente quelli situati in un bunker a quasi un chilometro di profondità, là dove possono arrivare praticamente solo i maxi-ordigni Gbu-57 Mop (Massive Ordnance Penetrator) in dotazione all’esercito USA.
Nella notte tra martedì e mercoledì, l’aviazione israeliana ha colpito una ventina di obiettivi nella zona Teheran. Secondo lo Stato maggiore di Tsahal, i bersagli includevano impianti per la produzione di missili e componenti aerospaziali. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno colpito ripetutamente anche il centro di ricerca nucleare di Teheran e due impianti per la produzione di centrifughe a Karaj, oltre a un’università legata ai Guardiani della Rivoluzione nell’est del Paese e nuovamente il sito missilistico di Khojir.
Nel corso dell’ultima settimana l’Iran ha risposto con oltre 400 missili. Solo una quarantina – in gran parte missili ipersonici Fattah-1, capaci di superare Mach 5 – sono riusciti a aggirare il sistema di difesa anti-missilistico “Iron Dome”, e in alcuni casi a colpire zone abitate.
Secondo un’organizzazione per i diritti umani con sede a Washington, il bilancio complessivo sarebbe già salito a 585 morti in Iran, inclusi 239 civili, e 1.300 feriti. In Israele, il numero delle vittime causate dai missili iraniani sarebbe invece fermo a 24.
E come in tutte le guerre, i morti vanno anche pesati. Finora infatti le operazioni israeliane, agevolate dall’intervento di agenti del Mossad (servizio segreto estero di Tel Aviv) in territorio iraniano, hanno neutralizzato decine di nomi grossi dell’apparato militare e nucleare iraniano. Tra i decessi confermati ci sono quelli del Capo di Stato Maggiore Mohammad Hossein Bagheri e del comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami, considerato uno degli uomini più vicini a Khamenei. A perdere la vita è stato anche il generale Ali Shadmani, che solo venerdì aveva sostituito l’ex capo di Stato Maggiore dell’esercito iraniano Gholam Ali Rashid (anch’egli ucciso dagli israeliani). Un vuoto di comando che, secondo cinque fonti interne al regime, potrebbe condurre a scelte strategiche affrettate.
Neutralizzati anche Gholamali Rashid, responsabile del quartier generale interforze, Ali Hajizadeh, capo della forza aerospaziale del Corpo, e Mohammad Kazemi, numero uno dell’intelligence dei pasdaran. Secondo fonti interne israeliane, sarebbero quindi stati uccisi anche almeno 14 scienziati nucleari di primo piano, tra cui Fereydoun Abbasi, ex direttore dell’Agenzia Atomica iraniana, già sopravvissuto a un attentato nel 2010.
E mentre i raid proseguono, si moltiplicano proporzionalmente anche le colonne d’auto in uscita da Teheran. L’autostrada per Lavasan, località di villeggiatura alle porte della capitale, è intasata da ore. “Resteremo qui finché dura la guerra”, racconta Arezou, 31 anni, raggiunta al telefono da Reuters. “Un missile ha colpito la casa della mia amica, suo fratello è ferito. Sono civili, non capisco perché dobbiamo pagare per le scelte del regime”.
Dopo una prima fase in cui i media di Stato mostravano le immagini dei palazzi colpiti, il Governo iraniano ha imposto il divieto di filmare le devastazioni e imposto limitazioni sempre più diffuse a Internet, temendo che la popolazione sprofondi nel panico. Anche l’accesso al carburante è stato razionato, come confermato dal ministro del Petrolio Mohsen Paknejad, che ha parlato di “misura precauzionale“.
Sul piano diplomatico, si moltiplicano gli appelli a una cessazione delle ostilità. La Russia, che si è proposta come mediatrice, parla di mondo “a pochi millimetri dalla catastrofe” attraverso la portavoce del Ministero degli Affari Esteri Maria Zakharova, secondo cui i bombardamenti israeliani ai siti nucleari iraniani potrebbero portare a una “nuova Fukushima“.
“Preoccupazione” è stata espressa anche dal leader cinese Xi Jinping, che martedì ha accusato Trump di “gettare benzina sul fuoco” in un intervento all’agenzia di stampa Xinhua. Nelle stesse ore l’Alta rappresentante per la politica estera dell’UE Kaja Kallas ha messo in guardia dall’escalation “estremamente pericolosa” e ribadito che la posizione dei Ventisette è che l’Iran “non deve mai entrare in possesso di armi nucleari”.
Il re Abdullah II di Giordania ha avvertito martedì in un discorso al Parlamento europeo che gli attacchi israeliani minacciano di aggravare pericolosamente le tensioni nella regione “e oltre”. Dello stesso avviso il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Abdullah bin Zayed, che ha messo in guardia da “azioni sconsiderate e avventate” che rischiano di tracimare oltre i confini dei due Paesi in guerra.
Fermo sostegno all’Iran invece da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che in un discorso alla Grande Assemblea Nazionale di Ankara ha definito la risposta dell’Iran un “diritto naturale, legittimo e legale contro brutalità e il terrorismo di Stato di Israele“.