Un’ora scarsa di colloqui e un accordo sullo scambio dei prigionieri di guerra. Si è concluso così, lunedì pomeriggio, il secondo round di incontri diretti tra le delegazioni di Russia e Ucraina nel palazzo di Çırağan di Istanbul, ex dimora ottomana riadattata ad hotel extra-lusso con vista sul Bosforo.
Come nel precedente incontro del 16 maggio, a guidare i rispettivi gruppi c’erano Vladimir Medinsky per Mosca e il ministro della Difesa Rustem Umerov per Kyiv. Sostanzialmente invariata la squadra russa – con qualche nuovo innesto invece tra gli ucraini. Tra questi il generale Yevhen Ostryansky, il rappresentante del difensore civico Yuriy Kovbas e il giurista militare Andriy Fomin. Assente invece Oleksiy Malovatsky, ex capo della sezione di diritto internazionale dello Stato Maggiore.
Ad aprire i lavori il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, che ha ricordato come “gli occhi di tutto il mondo sono puntati su questi contatti” ma anche sottolineato i “passi importanti” nella precedente tornata primaverile, auspicandosi un cessate il fuoco temporaneo, un nuovo scambio di prigionieri e un incontro diretto tra Putin e Zelensky. Ma i segnali restano tiepidi.
Il Cremlino sostiene da tempo che la fine dell’aggressione scattata il 24 febbraio 2022 non possa prescindere dalla considerazione delle proprie preoccupazioni di sicurezza. Nel pomeriggio, la TASS ha pubblicato il contenuto del memorandum russo che esplicita nero su bianco le condizioni russe, che comprendono il riconoscimento internazionale della sovranità russa sulla Crimea, sulle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk nel Donbass, e sulle regioni di Zaporozhzhia e Cherson, accompagnato dal ritiro totale delle forze armate ucraine da quei territori. Mosca pretende inoltre la neutralità permanente di Kyiv, che includerebbe il divieto di adesione ad alleanze militari come la NATO, l’assenza di basi straniere sul territorio, e la rinuncia a trattati internazionali in contrasto con tale status.
Il documento vieta la presenza di armi di distruzione di massa in Ucraina, impone tetti massimi al numero di militari e all’arsenale, e prevede lo scioglimento delle “formazioni nazionaliste”. Tra le clausole anche il riconoscimento ufficiale della lingua russa, l’abolizione di partiti “radicali”, la revoca di tutte le sanzioni bilaterali, il ricongiungimento delle famiglie separate dal conflitto e il graduale ripristino dei legami diplomatici e commerciali, compreso il transito del gas verso il mercato europeo.
Le richieste ucraine, ottenute informalmente da Reuters, sono invece contenute in una roadmap di cinque punti: in cima c’è il cessate il fuoco totale su terra, mare e cielo per almeno 30 giorni ma rinnovabile. A seguire la restituzione immediata e senza condizioni di tutti i bambini deportati in Russia, nonché lo scambio dei rispettivi prigionieri di guerra con la formula “tutti per tutti”. Capitolo politico: Kyiv pretende il riconoscimento della libertà ucraina di aderire alla NATO e all’UE senza limitazioni militari future, e la partecipazione di USA ed Europa al processo di pace.
Kyiv ha inoltre precisato che non ci sarà alcuna discussione sui territori occupati da Mosca dopo il 2014 (Crimea e Donbass) finché non sarà cessata ogni ostilità. Sulle sanzioni occidentali, infine, Kyiv propone agli alleati una revoca graduale ma reversibile (“snapback”), con riattivazione automatica in caso di violazioni degli impegni da parte dei russi.
In mancanza di maxi-accordi politici, uno dei dossier più caldi rimane proprio quello dei prigionieri di guerra. Umerov ha annunciato un nuovo scambio di prigionieri che stavolta si concentrerà sui feriti gravi e sui giovani.
Più difficile un’intesa sui minori rapiti. “Abbiamo consegnato una lista di centinaia di bambini ucraini da rimpatriare,” ha scritto su Telegram Andriy Yermak. “Sono stati deportati illegalmente o trattenuti nei territori occupati. Il loro ritorno è il primo banco di prova della sincerità russa.” Nessuna risposta formale da parte di Mosca, secondo cui i bambini sarebbero stati “trasferiti” per proteggerli dai combattimenti.
BREAKING: Over 40 ‼️‼️Russian warplanes reportedly hit in massive Ukrainian drone strike. Ukraine’s Security Service has launched a major drone operation, reportedly damaging more than 40 Russian aircraft — including A-50, Tu-95, and Tu-22M3 bombers. That’s over $2 billion in… pic.twitter.com/8iIdQq47yy
— Iuliia Mendel (@IuliiaMendel) June 1, 2025
A margine del negoziato, intanto, Kyiv ha messo a segno uno degli attacchi più spettacolari – e pericolosi – in oltre tre anni di guerra. L’hanno ribattezzata “Operazione Ragnatela”, che a dispetto del nome ricorda più le spy stories di John le Carré che i fumetti dell’Uomo Ragno. Ad idearla è stata l’intelligence militare ucraina (SBU), che ci ha messo più di un anno a realizzarla: una manciata di camion civili camuffati da trasporti prefabbricati hanno lanciato 117 droni-kamizake, nascosti in tetti meccanizzati, verso cinque basi militari russe in regioni distanti fino a 4.000 km dal fronte.
Tra le strutture colpite ci sarebbero Belaya (Irkutsk), Olenya (Murmansk), e basi secondarie nei pressi di Ryazan, Ivanovo e Amur, tutte lontanissime dal fronte e scelte con cura. Secondo Kyiv, sarebbero stati infatti colpiti 41 aerei russi, inclusi diversi caccia Tu-95 e Tu-22 – equivalenti a circa il 34% della flotta di bombardieri fondamentali per l’arsenale nucleare russo, rispettivamente per la dissuasione strategica e per impieghi tattici. E l’attacco rientrerebbe, almeno sulla carta, tra i casi che la nuova dottrina nucleare russa (approvata nel 2023) contempla come giustificativi per un impiego “non strategico” dell’arma atomica.
“L’operazione ha dimostrato che possiamo colpire ovunque,” ha esultato domenica Zelensky sui suoi profili social. “Mosca deve capire cosa significhi subire perdite. Questo la porterà, volente o nolente, alla diplomazia.”
La genesi dell’operazione, i cui danni stimati supererebbero i 7 miliardi di dollari, porterebbe a Čeljabinsk, nella regione degli Urali. Qui le autorità russe avrebbe individuato il magazzino da cui sarebbero partiti i camion con i droni. All’interno sono state infatti trovate tracce di ciclonite (RDX), un esplosivo militare più potente del 50% rispetto al classico tritolo.
Le indagini, avviate da Mosca e catalogate come “atto terroristico”, hanno condotto all’arresto dei locatari e a un mandato di cattura per Artem Timofeev, 37 anni, imprenditore ucraino naturalizzato russo, residente proprio nella zona. Secondo il canale russo Baza, Timofeev avrebbe acquistato i mezzi usati nell’operazione pochi mesi prima, registrandosi come trasportatore autonomo.