Vladimir Putin non è tipo da interviste. Ne concede poche – in media una all’anno – e tipicamente accertandosi che l’interlocutore gli consenta di dilungarsi in lunghi monologhi che non badino troppo a contraddittorio e fact-checking.
Sembra distante anni luce il primo decennio di presidenza, quando lo “zar” si concedeva volentieri persino a CNN, BBC, Le Figaro, Der Spiegel, Time, e altri grandi media esteri per legittimarsi agli occhi dei partner occidentali. Da oltre un decennio, però, il mondo è radicalmente cambiato – e così la propensione di Putin ai tête-à-tête giornalistici.
Qualche settimana fa il presidente russo ha fatto un piccolo strappo alla regola accettando di conversare a lungo con Pavel Zarubin, corrispondente del Cremlino per l’emittente statale Rossija-1. Il risultato è un documentario quasi-agiografico intitolato Russia. Cremlino. Putin. 25 anni, della durata di 90 minuti, che affianca spezzoni di intervista a clip su come un quarto di secolo di putinismo abbiano nettamente migliorato la quantità, la qualità, e la dignità della vita dei russi.
Con Zarubin, Putin affronta una serie di temi critici. A partire dall’Annozero dello scontro con l’Occidente: il 2014, quando l’annessione della Crimea, definita nell’intervista come “inevitabile per evitare il massacro degli abitanti russofoni“, costò alla Russia le prime sanzioni internazionali. Un atto che, ribadisce Putin, “fu necessario” seppur “doloroso per le conseguenze economiche“.
Perché allora non rompere gli indugi e invadere anche il Donbass già nel 2014? “Non eravamo pronti. Dovevamo rafforzare l’economia, le finanze, e soprattutto l’apparato militare“, ha spiegato Putin. “Una guerra frontale contro tutto l’Occidente non sarebbe stata sostenibile“. Oggi, invece, “la Russia sta tenendo testa da sola all’intero blocco occidentale“, aggiunge.
È stato proprio il coinvolgimento dei Paesi occidentali e della NATO ad aver spinto Putin a lanciare svariati moniti sui rischi di una guerra nucleare da tre anni a questa parte, poi tradotti in una modifica formale alla dottrina nucleare russa: dallo scorso anno, un attacco da parte di uno Stato non nucleare (come l’Ucraina) sostenuto da una potenza nucleare (come la NATO) è considerato un attacco congiunto contro cui Mosca è legittimata a rispondere con l’atomica.
Stavolta invece lo “zar” è parso molto più cauto. “L’Occidente ha cercato più volte di provocarci, ma non abbiamo mai ritenuto necessario ricorrere alle armi nucleari, né lo ritengo necessario per il futuro“.
Un Occidente con il quale Putin ha sottolineato una contrapposizione che non si limita al piano geopolitico ma a un più ontologico retaggio etico-morale. “Alla base della cultura occidentale, cattolica e protestante, il benessere materiale è sempre al primo posto. (…) In Russia, invece, si parla sempre di principio morale, di un’idea globale, morale ed etica“, ha spiegato.
E ancora: “Ogni russo oggi incarna lo Stato, ciascuno è responsabile del destino della patria. È come nella Grande Guerra Patriottica (come in Russia è noto il fronte orientale della seconda guerra mondiale, nda), quando Mosca era l’ultima linea di difesa“. Concetto che sembra riprendere il solito doppio motivo politico-morale, con la Russia nel ruolo di ultimo baluardo delle radici cristiane-conservatrici d’Europa.
Sul sostegno interno al conflitto, Putin ha ammesso i rischi presi decidendo l’intervento militare all’alba del 24 febbraio 2022: “Confidavo nella solidarietà del popolo russo, ma il rischio di una reazione diversa esisteva“. La prospettiva di una riconciliazione futura con gli ucraini, secondo Putin, è però “inevitabile” e “solo una questione di tempo” malgrado la “tragedia che stiamo vivendo“.
Per il momento, però, nessun passo indietro. Pur avendo proclamato un cessate il fuoco in Ucraina dall’8 all’11 maggio (respinto da Kyiv) per il Giorno della Vittoria, il Cremlino ripete ormai da tempo che qualsiasi soluzione al conflitto non possa prescindere dalla considerazione delle proprie preoccupazioni di sicurezza. Vale a dire il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea e sulle quattro regioni dell’Ucraina orientale e meridionale annesse unilateralmente alla fine del 2022 (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Cherson) – solo in parte occupate dalle truppe russe – ma anche la rinuncia formale alle ambizioni ucraine di adesione alla NATO e un sostanzioso ridimensionamento delle forze armate di Kyiv.
Secondo la Bild, molti funzionari occidentali sono convinti che l’intransigenza negoziale di Putin dipenda proprio da fattori interni. “Molti russi traggono vantaggi economici dalla guerra, che maschera la recessione reale del Paese”, scrive il tabloid tedesco. Una fine prematura al conflitto, aggiunge l’esperta Margaret Klein dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali, rischia poi di innescare rischi interni legati al ritorno in patria dei veterani sotto forma di “un aumento della violenza, come già avvenne con i veterani dell’Afghanistan e della Cecenia”.
Se è vero che al momento i problemi sono altri, a 72 primavere Putin ha infine ammesso di “pensare costantemente al successore” e di aver valutato il potenziale di molti candidati: “Dovrà essere qualcuno in grado di conquistare la fiducia popolare. Meglio ancora se più di una persona“.
Nessuna allusione su possibili frontrunner, anche se i media russi scommettono da tempo su una cerchia ristretta di candidati che comprende l’attuale premier Mikhail Mishustin (il cui profilo tecnocratico e la scarsa passione per la retorica propagandistica lo rendono un ottimo interlocutore con l’Occidente) e un fedelissimo come il sindaco di Mosca Sergej Sobyanin.
Ma c’è pure l’ipotesi di un ritorno in grande stile di Dmitrij Medvedev, già presidente dal 2008 al 2012 e storico premier di Putin fino al 2020, quando un indice di popolarità in picchiata (complice la contestatissima riforma pensionistica del 2018) e lo scandalo corruzione fatto emergere dai collaboratori del defunto attivista Aleksej Navalny spinsero lo “zar” a declassarlo a un ruolo più tecnico – quello di vicepresidente del Consiglio di Sicurezza.
L’eterno numero due di Putin ha cercato di sfruttare la guerra per conquistare i cuori dell’elettorato più revanscista con crudissime (e numerosissime) filippiche anti-ucraine e anti-occidentali, tra una minaccia di “distruzione totale” dell’Ucraina e quella di un'”apocalisse nucleare” riferita alla NATO. Dichiarazioni informali che sono spesso servite a Putin per sondare fino a dove potersi spingere con le minacce ufficiali – ma che diventerebbero una gigantesca zavorra politica quando si tratterà di riannidare i fili con l’Occidente.