C’è un gesto che vale più di mille parole. Ed è quello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha scelto Genova per celebrare l’80° anniversario della Liberazione. Una scelta non casuale, ma carica di significato.
Genova, Medaglia d’Oro al Valor Militare, ha scritto una delle pagine più alte della lotta al nazifascismo.
Fu teatro di un evento unico in Europa: la resa di una divisione tedesca non agli eserciti alleati, ma alle formazioni partigiane.
Il generale tedesco Gunther Meinhold abbassò le armi davanti a Remo Scappini, operaio e dirigente del Comitato di Liberazione Nazionale.
La liberazione di Genova non fu un gesto improvvisato, ma il frutto di una strategia precisa, maturata nella Resistenza italiana, che mostrò una visione autonoma rispetto agli alleati.
Mentre le forze anglo-americane tendevano a circoscrivere l’azione partigiana a obiettivi limitati, la Resistenza coltivava un progetto politico e militare ambizioso: un’insurrezione nazionale capace di restituire a un popolo dignità e voce nella propria liberazione.
Il divario strategico con gli alleati si accentuò nell’inverno del 1944. Questi ultimi, concentrati sul fronte francese dopo lo sbarco in Normandia e sulla costa della Provenza, decisero di rallentare l’avanzata lungo la penisola.
Il Comitato di Liberazione Nazionale, temendo che un immobilismo prolungato rischiasse di allentare il legame con la società civile, rilanciò la prospettiva di un’insurrezione generale.
Altre città, come Napoli, Roma e Firenze, avevano vissuto rivolte popolari, ma la liberazione definitiva era stata possibile grazie all’arrivo delle truppe alleate.
Genova, al contrario, rappresentò una storia diversa, una vicenda tutta italiana: liberata da una rivolta di popolo diventato liberatore.
La città divenne un simbolo autentico della Resistenza, non solo per l’esito militare, ma anche per il suo carattere identitario e nazionale.

La geografia partigiana di Genova costituiva un mosaico articolato di idealità e percorsi differenti, ma capace di riconoscersi in un obiettivo condiviso: liberare la città con le proprie forze.
Tra il 23 e il 26 aprile, la città insorse. Fu un moto popolare e militare, alimentato dalla consapevolezza che il momento era arrivato.
Le autorità fasciste, sorprese dalla rapidità dell’offensiva partigiana, abbandonarono Genova in fretta. L’aria era cambiata, e la paura era passata di campo.
Il generale Meinhold comunicò al cardinale Pietro Boetto l’intenzione di ritirarsi entro pochi giorni, promettendo di evitare devastazioni su larga scala, purché le sue truppe non venissero ostacolate.
Questo annuncio generò un clima d’attesa, poiché il destino della città sembrava appeso a un delicato equilibrio tra diplomazia e determinazione.
Le formazioni partigiane erano già pronte ad agire. L’obiettivo era: liberare Genova prima dell’arrivo degli alleati.
Tuttavia, all’interno del CLN non mancavano esitazioni. Il timore era che un’azione affrettata potesse scatenare una reazione tedesca con conseguenze per la popolazione civile. Le truppe del Reich, ben armate e dotate di artiglieria pesante, rappresentavano una minaccia concreta.
All’alba del 24 aprile, il CLN, con un manifesto che oggi è un documento di storia, proclamò l’insurrezione generale.
In poche ore, circa 20.000 genovesi affiancarono le formazioni partigiane. Non fu un’azione caotica; gli insorti si mossero con precisione e determinazione, grazie anche alla complicità delle strutture civili: ferrovieri, operai, cittadini comuni, che bloccarono l’apparato di occupazione.
I comandi nazisti furono isolati, le comunicazioni interrotte, le vie d’accesso presidiate. Le truppe tedesche si ritrovarono intrappolate in una città che non accettava più minacce. E proprio la minaccia arrivò: se non fosse stato garantito un corridoio sicuro verso la pianura Padana, Genova sarebbe stata bombardata.
Un ricatto a cui il CLN rispose con fermezza: in caso di attacco, i prigionieri tedeschi — ormai un migliaio — sarebbero stati giustiziati come criminali di guerra.
Il generale Meinhold, consapevole dell’impossibilità di resistere e dell’imminente arrivo degli alleati, chiese di incontrare i rappresentanti del CLN la sera del 24 aprile.
Il 25 aprile, a Villa Migone, venne firmato l’atto di resa. Un documento, oggi custodito al Museo del Risorgimento, sobrio ma inequivocabile: “Tutte le forze armate germaniche alle dipendenze del Generale Meinhold si arrendono alle Forze Armate del Corpo Volontari della Libertà alle dipendenze del Comando Militare per la Liguria”.

La liberazione di Genova sembrava ormai compiuta, ma l’ordine non regnava ovunque. Alcuni reparti della Kriegsmarine, fedeli alla disciplina della resa impossibile, rifiutarono l’ordine di Meinhold. Il capitano Max Berninghaus arrivò persino a emettere una sentenza di morte contro lo stesso generale, accusato di tradimento.
Seguì un’ultima coda di violenza: combattimenti che proseguirono fino alla sera del 26 aprile.
Solo il 27 aprile, le truppe alleate fecero il loro ingresso in città. Di fronte a una Genova già liberata e ordinata, gli ufficiali della Divisione Buffalo non poterono che esprimere ammirazione: “A wonderful job”.
L’insurrezione di Genova non fu solo un episodio eroico della Resistenza, ma ebbe un impatto sul corso della guerra. La sconfitta di due intere divisioni tedesche in ritirata impedì al nemico di attestarsi sul Po, a difesa di Milano e Torino.
Si innescò un effetto domino che accelerò la liberazione dell’Italia settentrionale e facilitò l’avanzata alleata.
Il prezzo pagato fu alto: 300 morti, 3.000 feriti. Un tributo di sangue che Paolo Emilio Taviani — partigiano, parlamentare, senatore a vita — non dimenticò mai.
“Fra tutte le morti di una guerra inutile e rovinosa”, scrisse, “queste sono state certo le più preziose, perché hanno riscattato l’onore d’un popolo, che sembrava smarrito nelle ore infauste dell’8 settembre”.
L’insurrezione di Genova resta una delle pagine più luminose della Resistenza. Una vittoria popolare che dimostra come l’unità possa sconfiggere l’oppressore.
Oggi, a ottant’anni di distanza, la memoria di quei giorni continua a parlarci. A tutte le generazioni.
Il Presidente Mattarella ricorderà che la Resistenza è l’atto fondativo della Repubblica, e che la memoria non è un esercizio retorico ma un dovere civile. Genova, città di dignità e libertà, che non aspettò la storia: la fece.