Nella guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina, potrebbe arrivare da Mosca un’inaspettata sponda per Washington.
Nelle stesse ore in cui Pechino ha ordinato alle compagnie aeree nazionali di interrompere le nuove consegne di velivoli civili made in USA, il Cremlino avrebbe infatti chiesto in via riservata alla Casa Bianca l’autorizzazione ad acquistare aerei della Boeing utilizzando una parte dei propri asset congelati in Occidente.
La proposta, rivelata da fonti informate a Bloomberg, non sembra direttamente vincolata a un cessate il fuoco ma si colloca piuttosto nel quadro più ampio di un possibile allentamento delle sanzioni in vista di una tregua in Ucraina.
Nelle stesse conversazioni con gli omologhi statunitensi, Mosca avrebbe inoltre sollecitato la revoca delle sanzioni nei confronti della compagnia di bandiera Aeroflot nonché il ripristino dei voli diretti con gli Stati Uniti – interrotti come conseguenza dell’aggressione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.
Si stima che gli istituti finanziari dei Paesi del G-7 abbiano attualmente in pancia circa 280 miliardi di dollari di asset finanziari e immobiliari russi, che sono stati sequestrati all’indomani dello scoppio della guerra. Circa due terzi sono trattenuti in Europa (specialmente in Belgio), mentre le banche statunitensi ne deterrebbero circa 5 miliardi di dollari.
A quanto si apprende, sia Mosca che Washington concorderebbero sulla necessità di stabilizzare la crisi ucraina prima di formalizzare qualsiasi accordo. E a ribadirlo a chiare lettere è stato mercoledì Brian Hughes, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale: “Gli Stati Uniti non prenderanno in considerazione alcun accordo economico fino a quando non sarà raggiunto un cessate il fuoco”. Nessuna dichiarazione, invece, dal Cremlino e da Boeing.
Ma è indubbio che un compromesso possa servire a entrambi: per Boeing, a limitare i danni del boicottaggio cinese; per il Cremlino, quello di dare ossigeno alle compagnie nazionali – che si affidano in gran parte a velivoli stranieri. Secondo RBC, all’inizio del 2024 queste ultime contavano almeno 165 aerei prodotti dalla statunitense Boeing o dalla competitor europea Airbus, pari a circa il 40% della flotta complessiva e più della metà dei vettori passeggeri attualmente in uso.
Boeing e Airbus hanno formalmente abbandonato il mercato russo nel febbraio 2022, costringendo le compagnie russe a restaurare modelli di epoca sovietica o a rivolgersi ad altri Paesi – come l’Iran – per la manutenzione. Mosca è inizialmente corsa ai ripari confiscando 400 aeromobili in leasing appartenenti a società straniere, per poi stanziare 300 miliardi di rubli — poco meno di 4 miliardi di dollari — per acquistarli formalmente e chiudere le vertenze legali.
Eppure, prima del conflitto, quello russo era un mercato fiorente per la Boeing, dove la compagnia con sede in Virginia non si limitava a vendere aerei, ma gestiva altresì un centro di progettazione all’avanguardia nella periferia sud di Mosca e comprava dalla Russia un terzo del suo fabbisogno di titanio.
A inizio aprile, il ministro russo del Commercio, Anton Alikhanov, aveva definito “importante” il possibile ok degli Stati Uniti allo sblocco di 500 milioni di dollari in pezzi di ricambio per aerei che, a suo dire, le compagnie russe avevano pagato prima che scattassero le sanzioni.
Tutto – o quasi tutto – però dipende dall’Ucraina. Lo scorso venerdì a San Pietroburgo, l’emissario di Putin e capo del fondo sovrano russo Kirill Dmitriev ha incontrato per quasi cinque ore l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff. Una maratona diplomatica che, secondo quanto dichiarato dallo stesso Witkoff a Fox News, avrebbe portato a “una comprensione su ciò che Putin considera essenziale per una pace permanente”.
Ma Mosca sembra meno ottimista. “È una questione così complessa che è difficile aspettarsi risultati immediati,” ha dichiarato lunedì il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha rincarato la dose: “Non c’è alcun accordo sui punti fondamentali. Le nostre richieste non sono posizioni negoziali: sono condizioni.”
Il direttore dell’intelligence estera russa, Sergei Naryshkin, ha ribadito martedì che gli obiettivi di Mosca “restano invariati: neutralità, status nucleare non armato e denazificazione dello Stato ucraino.”
La Russia ripete da tempo che qualsiasi soluzione non possa prescindere dalla considerazione dei propri interessi strategici e “preoccupazioni di sicurezza”. Vale a dire il riconoscimento della sovranità russa sulle quattro regioni dell’Ucraina orientale e meridionale incorporate unilateralmente alla fine del 2022 (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Cherson) – e solo in parte occupate dalle truppe russe – oltre alla Crimea già annessa nel 2014, nonché la rinuncia formale alle ambizioni ucraine di adesione alla NATO e un sostanzioso ridimensionamento delle forze armate di Kyiv.
Intanto, sul terreno, la tregua parziale sui bombardamenti contro le infrastrutture energetiche, annunciata un mese fa, sembra avere le ore contate. Mosca sostiene che la moratoria sia iniziata il 18 marzo e che perciò scada questo venerdì. Kyiv, invece, ne data l’inizio al 25 e accusa i russi di averla violata ripetutamente attaccando le reti elettriche a Poltava, Kharkiv, Kherson e Kryvyi Rih.
A non fermarsi è anche la strage di civili. Secondo le autorità ucraine, il bilancio delle vittime dell’attacco russo a Sumy, domenica scorsa, è salito a 35 morti e oltre un centinaio feriti. Lunedì, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva liquidato l'”orribile” attacco come un “errore” da parte di Putin, incolpando nuovamente l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky di aver iniziato la guerra.
Secondo le ultime statistiche delle Nazioni Unite, da quando la Russia ha lanciato la sua invasione su larga scala nel febbraio 2022, in Ucraina sono state registrate oltre 12.340 vittime civili.