È bastato il clamoroso flop di ieri sera in Wisconsin per mandare in frantumi il loro rapporto. Da amico geniale di Trump, quale era Elon Musk, a pesante fardello, il passo per la trasformazione è stato veramente breve. Dopo il primo vero impatto con l’elettorato, che ha evidenziato come la generale antipatia che la gente nutre nei suoi confronti sia più forte dei milioni di dollari che regala, è arrivato il divorzio del presidente da Mr. Tesla.
La Casa Bianca smentisce, ma i consiglieri di Trump confermano. Almeno così sostiene Politico, che, raccogliendo le confidenze di alcuni non nominati assistenti del presidente, afferma che in brevissimo tempo il miliardario si è trasformato da consigliere incaricato della riforma del settore pubblico a un pesante e imbarazzante ingombro per il capo della Casa Bianca.
“Uno scoop spazzatura, fake news” afferma Karoline Leavitt, la portavoce del presidente. “Elon lascerà il servizio pubblico come dipendente governativo speciale quando il suo incredibile lavoro al Doge sarà completato”.
Secondo Politico, il presidente Donald Trump ha detto ai suoi collaboratori, compresi i membri del suo gabinetto, che Elon Musk si ritirerà nelle prossime settimane dal suo attuale ruolo di partner di governo e che tornerà alle sue attività, avendo in futuro solo un ruolo di supporto nell’amministrazione.
La transizione, secondo Politico, probabilmente corrisponderà alla fine del periodo di Musk come “dipendente governativo speciale”, uno status che lo esenta temporaneamente da alcune regole etiche e di conflitto di interessi. Si prevede che quel periodo di 130 giorni scada tra fine maggio e inizio giugno.
Da quello che trapela, a volerlo fuori dalla Casa Bianca sarebbe proprio il Chief of Staff di Trump, Susie Wiles. Motivo? Le sue sparate imprevedibili, l’arroganza nei confronti dei segretari di gabinetto, l’incapacità di rispettare la catena di comando e i commenti inaspettati su X, inclusa la condivisione di piani non verificati per sciogliere agenzie federali e tagliare fondi ai ministeri senza coordinarsi con i diretti interessati. Un’ingombrante longa manus del potere presidenziale che danneggia la Casa Bianca e mette in ombra Trump.
Come è successo ieri sera in Wisconsin. Uno stato che solo a novembre aveva votato per Trump, ma dove Musk, con due assegni da un milione di dollari dati ai sostenitori di Brad Schimel, non è riuscito a far vincere il candidato conservatore nelle elezioni per la Corte Suprema statale. Il patron della Tesla ha donato ben 20 milioni di dollari a chi firmava una petizione contro Susan Crawford, trasformando una modesta elezione locale nella gara giudiziaria più costosa della storia americana. E ha perso.
La vittoria della democratica è stata una scintilla nel buio profondo in cui si trova il partito, riaccendendo le speranze dopo che i sondaggi hanno evidenziato un gradimento sprofondato al 27%, il livello più basso dai tempi della crisi degli ostaggi in Iran sotto Carter.
Un successo che ha risvegliato anche l’ex presidente Biden dal suo lungo silenzio. “La volontà del popolo ha prevalso e il Wisconsin ha dimostrato alla nazione la forza della democrazia”, ha scritto su X. “Congratulazioni” a Crawford “per la sua vittoria e al popolo del Wisconsin per aver eletto un giudice che crede nello stato di diritto e nella tutela delle nostre libertà”, gli ha fatto eco Obama. Kamala Harris ha commentato: “Continueremo a spingere verso il progresso”. Più diretto l’ex candidato alla vicepresidenza, il governatore del Minnesota Tim Walz: “Il Wisconsin batte il miliardario”.
Più che la vittoria democratica, dunque, quello che ha sorpreso è stata la sconfitta del repubblicano sostenuto da Musk a suon di dollari. Il timore di molti parlamentari del GOP, di fronte al silenzio della leadership del partito, è che i democratici attendano pazientemente gli effetti delle mosse di Trump per capitalizzare il malcontento alle Midterms. Solo un mese fa, alla Casa Bianca e tra gli alleati, si pensava che Musk fosse “qui per restare” e che Trump avrebbe trovato il modo di aggirare il limite di 130 giorni l’anno per i “dipendenti governativi speciali”.