Sì a una tregua di 30 giorni – ma a condizione che gli Stati Uniti sospendano tutte le forniture di armi all’Ucraina. Vladimir Putin lo ha riferito martedì a Donald Trump in una lunga conversazione telefonica. Anzi lo ha ribadito, dato che il presidente russo aveva già anticipato la questione di persona la scorsa settimana all’inviato speciale del presidente USA Steve Witkoff, come riporta Bloomberg.
Una mossa, quella del Cremlino, che però non appare esattamente come una concessione. Piuttosto, con la pretesa di uno stop totale alle armi USA (che da sole coprono circa il 40% delle forniture belliche ucraine), i russi alzano di fatto la posta.
Da Mosca il mantra è che qualsiasi prospettiva di pace con gli ucraini non può prescindere dalla considerazione dei propri interessi strategici e “preoccupazioni di sicurezza”. Vale a dire il riconoscimento della sovranità russa sulle quattro regioni dell’Ucraina orientale e meridionale incorporate unilateralmente da Putin alla fine del 2022 (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Cherson) – e solo in parte occupate dalle truppe russe – oltre alla Crimea già annessa nel 2014, nonché la rinuncia formale alle ambizioni ucraine di adesione alla NATO e un sostanzioso ridimensionamento delle forze armate di Kyiv.
Il vice ministro degli Esteri russo, Aleksandr Grushko, ha specificato che Mosca pretende “garanzie di sicurezza in cemento armato”, e che non tollererà la presenza di forze di pace provenienti da paesi membri dell’Alleanza Atlantica – compresa una eventuale “coalizione dei volenterosi” tutta europea.
Il cuore del negoziato riguarda proprio quali territori e quali risorse rimarranno sotto il controllo russo in caso di cessate il fuoco. Da settimane, ambienti vicini all’amministrazione Trump parlano apertamente della necessità per l’Ucraina di rinunciare alla NATO e di cedere parte dei territori già occupati dalle forze russe per dare vita a una Yalta 2.0.
Secondo Semafor, Washington starebbe valutando la possibilità di riconoscere la sovranità russa sulla Crimea, sebbene non ci sia ancora una decisione definitiva. Il New York Times aggiunge che la Casa Bianca potrebbe accettare non solo la permanenza della penisola sul Mar Nero sotto il controllo di Mosca, ma anche “gran parte” delle altre aree attualmente occupate dalle truppe russe nel sud e nell’est dell’Ucraina. Il quotidiano newyorkese menziona persino l’ipotesi, circolata nei corridoi diplomatici, che Putin possa mettere le mani su Odessa, terza città più grande dell’Ucraina e principale snodo portuale del Paese.

Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha evitato di commentare ufficialmente gli ultimi dettagli, mentre dalla Casa Bianca non sono arrivate dichiarazioni. Chi invece è estremamente preoccupata è proprio l’Ucraina: funzionari vicini al presidente Volodymyr Zelensky temono anzitutto che una pausa senza armi significherebbe regalare a Mosca tempo prezioso per riorganizzarsi e rafforzare le proprie linee in vista di un possibile KO nel Donbass che per i più pessimisti potrebbe forse concretizzarsi già in estate (mentre la regione russa di Kursk è da molti data per persa).
D’altra parte, Zelensky ha già fissato le sue linee rosse. Kyiv non intende smobilitare le proprie forze armate né rinunciare all’ingresso nella NATO. Gli ucraini si oppongono fermamente a ulteriori cessioni territoriali, pur riconoscendo che la linea del fronte attuale potrebbe diventare, di fatto, una nuova realtà congelata alla stregua della DMZ coreana. Tra le condizioni imprescindibili poste da Kyiv figurano anche il ritorno dei bambini deportati in Russia, la liberazione dei civili detenuti illegalmente da Mosca e l’ottenimento di garanzie internazionali di sicurezza.
Resta però incerto quale ruolo abbia effettivamente l’Ucraina nei colloqui sul suo futuro. Alla vigilia della telefonata con Putin, Trump aveva dichiarato che “molti elementi” di un’intesa erano già stati concordati, accennando a discussioni su “territori e centrali elettriche” e sottolineando che sia Mosca che Kyiv avrebbero già affrontato la questione della “divisione di alcuni asset”. Bloomberg sottolinea però come le dichiarazioni del repubblicano lascino intendere che “molte decisioni sono già state prese – con o senza l’Ucraina”.
Più che una pace immediata, pare quindi che Putin voglia soprattutto essere sicuro che durante la tregua Kyiv non si rafforzi mentre le truppe russe continuano ad avanzare, soprattutto nel Donbass e nella regione di Kharkiv. Militarmente Mosca ha il vento in poppa e ha già riconquistato vaste porzioni di territorio nell’oblast di Kursk (in parte occupato dagli ucraini dallo scorso agosto). Il leader russo ha inoltre posto la questione su chi controllerà l’applicazione di un’eventuale tregua e chi verificherà eventuali violazioni lungo i 2.000 chilometri di fronte.
Chi resta fuori dai giochi è l’Europa, che dall’angolo guarda con sospetto alla strategia russa. Un alto funzionario di Bruxelles ha sottolineato come fermare le forniture di armi solo all’Ucraina, lasciando mano libera a Mosca, significherebbe creare uno “squilibrio pericoloso”. Il primo ministro britannico Keir Starmer, che ha dialogato con Trump prima della telefonata con Putin, ha ribadito che Kyiv deve trovarsi nella “posizione più forte possibile” per ottenere una pace “giusta e duratura”.