Dall’ex sindaco di New York Rudy Giuliani al wrestler Hulk Hogan, passando per Elon Musk e Tucker Carlson. È uno spaccato icastico della nuova destra USA quella che domenica sera è salita sul palco del Madison Square Garden di New York per il mega-comizio di Donald Trump a una settimana dal voto che deciderà il prossimo inquilino della Casa Bianca.
Sugli spalti e in platea quasi 20.000 berretti rossi accorsi nel cuore di Manhattan per ascoltare discorsi di rivalsa contro l’élite liberale “corrotta”. Strali che piuttosto di voler allargare il consenso, sembrano avere lo scopo preciso di rimarcare i confini ideologici sempre più netti tra le due Americhe.
Alcuni oratori, come il comico Tony Hinchcliffe, sono andati un po’ oltre. Sostenendo ad esempio che gli ispanoamericani “amano fare bambini” e che Porto Rico è una “isola galleggiante di spazzatura”. Immediata e comprensibile l’indignazione tra gli esponenti della comunità (storicamente filo-democratica) portoricana. “Questo è quello che pensano di noi”, ha commentato a stretto giro su Instagram la popstar Ricky Martin, nato nella capitale portoricana San Juan 52 anni fa.
Trump ha preso la parola solo dopo una lunga serie di interventi e, come previsto, si è concentrato su quello che è ormai diventato il suo cavallo di battaglia: l’immigrazione. Toni durissimi i suoi, simili a quelli impiegati nella campagna 2016 con la promessa di “costruire il Muro” al confine con il Messico.
Stavolta l’ex presidente ha promesso di dare il via alla “più grande deportazione della storia americana” sin dal primo giorno di mandato, descrivendo i migranti come “criminali assetati di sangue” che minacciano la sicurezza delle comunità locali. Introdotto dalla moglie Melania tra gli applausi scroscianti del pubblico MAGA, il candidato GOP ha inoltre promesso di debellare le città santuario (ossia gli enti locali che tutelano i migranti clandestini dall’espulsione o dalla persecuzione) e di ricorrere a un’antica legge del 1798 sugli “stranieri nemici” per facilitare le deportazioni di immigrati con precedenti penali.
Ironia della sorte, qualche ora prima del suo discorso il Washington Post ha scoperto che il principale finanziatore della sua campagna elettorale, il miliardario Elon Musk, avrebbe iniziato a lavorare in America proprio da clandestino.
Inevitabile quindi l’attacco frontale alla rivale democratica, la vicepresidente Kamala Harris: Trump l’ha definita una persona di “basso quoziente intellettivo” e accusata di aver distrutto tutto ciò che l’amministrazione Biden avrebbe dovuto proteggere. L’ex presentatore di Fox News Tucker Carlson gli ha fatto eco, accusando Harris di essere “la prima ex procuratrice della California di origini samoane-malesi con QI basso”.
Ad Elon Musk è stato invece affidato il compito di illustrare il perno della teoria economica MAGA: ridurre il bilancio federale di almeno 2.000 miliardi di dollari. Una cifra ambiziosa, che peraltro è meno di un terzo del debito pubblico creato dall’amministrazione Trump nel quadriennio 2016-2020 (circa 23,500 per ogni cittadino americano, secondo le stime di ProPublica). E che molti analisti giudicano poco realistica alla luce della complessa macchina burocratica federale e delle spese già programmate per la difesa.

Ma lo spaccato di un’America sempre più inquieta è anche quello fuori dall’arena. Alcuni gruppi si sono radunati per protestare contro la presunta deriva autoritaria del leader repubblicano, ricordando come lo stesso Madison Square Garden sia stato teatro, decenni fa, di un raduno filo-nazista alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Paragoni storici che alcuni critici utilizzano per dipingere Trump come una sorta di Hitler in erba. Trump – che pure a porte chiuse avrebbe ammesso in passato di aver bisogno “del tipo di generali che aveva” il Führer – liquida i paragoni come “sciocchezze liberal”.
Mentre Trump e i suoi sodali bersagliavano immigrati clandestini e minoranze, Kamala Harris coglieva la palla al balzo per convincere l’elettorato della Pennsylvania, lo swing state che molto probabilmente deciderà il prossimo presidente. Lei stessa ne è consapevole. “La vittoria passa per Filadelfia e passa per la Pennsylvania”, ha affermato in una libreria afroamericana di Philly, aggiungendo con ottimismo: “Ce la faremo”. Nel corso della giornata, la vicepresidente ha partecipato a una funzione religiosa in una chiesa a maggioranza nera e visitato un un ristorante portoricano, promettendo investimenti per migliorare il futuro dell’isola caraibica e garantire una maggiore inclusione dei portoricani negli Stati Uniti.
L’ultima settimana di comizi prima di un’elezione che si preannuncia tiratissima vede entrambi i candidati scegliere un ritorno alle origini: per Trump, la città che gli ha dato i natali e dove ha mosso i primi passi imprenditoriali; per Harris, gli elettorati delle minoranze che hanno storicamente dato maggiori soddisfazioni ai progressisti. Anche se, secondo i sondaggi, queste non sembrano essere troppo convinte dal programma della 60enne dem – e molti avrebbero intenzione di votare per i repubblicani.
Un trend al quale lo stesso Trump ha fatto cenno verso la fine del suo discorso. “Il Partito Repubblicano è diventato davvero il partito dell’inclusione, e c’è qualcosa di grandioso in questo”.