Due portaerei americane sono arrivate al largo delle coste libanesi. Washington si prepara a difendere Israele. È l’unica certezza dopo l’assassinio del leader di Hamas, Ismael Haniyeh, mentre dormiva nel suo letto nella villa che lo ospitava a Teheran, e l’uccisione, sempre da parte di Israele, del numero due di Hezbollah a Beirut.
C’è però un altro elemento fondamentale che fa parte dello scenario mediorientale in movimento e diventa sempre più una tragica minaccia per tutti i paesi della regione: l’allargamento dello scontro in atto, che porterebbe ovunque una pioggia di morte e feriti e soprattutto la devastazione della realtà del vicino Oriente. Il Libano rischia di scomparire. Israele, oggi l’entità più moderna e avanzata dei paesi della regione, potrebbe trovarsi in ginocchio. Lo stesso vale per l’Iran e, forse, anche per l’Egitto, già oggi sull’orlo di un baratro per motivi interni.
Fare previsioni è impossibile oggi. La parola vendetta è sulla bocca di tutti – arabi e iraniani – ma le dichiarazioni infuocate dei leader dei paesi colpiti da Israele nascondono una realtà che nemmeno il più fanatico dei leader vuole affrontare. Basta sfogliare la stampa o i siti dei media regionali per capire.
Mohammad Marandi, professore dell’Università di Teheran, afferma che la rappresaglia per l’attacco in Iran sarà estremamente dannosa per la leadership israeliana e il suo popolo. “Credo che la risposta sarà molto dura e penso che sarebbe una buona idea per gli israeliani lasciare qualsiasi area vicina a qualsiasi infrastruttura militare sensibile. Credo che sarà significativamente più doloroso dell’attacco effettuato dagli iraniani dopo che il regime israeliano ha bombardato il consolato iraniano in Siria”, ha detto Marandi ad Al Jazeera.
Secondo lui, “anche gli alleati della regione – in Iraq, in Yemen, in Libano – parteciperanno agli attacchi contro Israele. Forse è qualcosa che Netanyahu vuole. Ma senza dubbio, sarà il regime israeliano il più grande perdente”.
“Non c’è nessuno a Washington, o altrove, disposto a fare leva su Israele e costringerci a tornare al tavolo dei negoziati”, ha detto Eldar ad Al Jazeera, la rete televisiva che il governo Netanyahu ha cacciato da Israele. Per lui, “finché gli Stati Uniti saranno impegnati con le elezioni e le questioni interne e non saranno disposti a usare il loro potere per costringere Netanyahu ad accettare un cessate il fuoco a Gaza e un accordo che riporterà i prigionieri a casa, Israele, Libano e Iran dovranno continuare a seppellire i loro figli”.
Come per altri assassini mirati israeliani nei confronti di militari e scienziati iraniani, Tel Aviv non rivendica come suo il missile che ha ucciso il leader di Hamas – peraltro considerato uno dei leader più moderati dell’organizzazione islamista – e il ministro della difesa israeliano si è limitato a farsi fotografare in mezzo a un reparto di assalto o difesa missilistica per dire che i suoi uomini sono pronti a ogni evenienza.
Nel pomeriggio a Tel Aviv è prevista una riunione dei capi militari e politici, con Netanyahu in primo piano, per “analizzare la situazione”. Ossia per cercare di capire se, come e dove potrebbero rispondere quelli di Hezbollah dal Libano o le forze iraniane che hanno già indicato come possibili bersagli navi israeliane in giro per il golfo persico. Secondo alcuni osservatori, non ci sarà un’azione militare da parte di Teheran prima dei funerali, previsti per venerdì, del capo di Hamas ucciso nella capitale iraniana.