In una Kyiv percossa, lunedì 8 luglio, dal feroce attacco missilistico russo contro strutture sanitarie, in particolare l’ospedale pediatrico Okhmatdyt, costato sinora 43 morti (che si aggiungono agli oltre 10.000 civili uccisi dalle truppe d’invasione, certificati dall’Onu) e quasi 400 feriti, arriva, a soli due giorni di distanza, la delegazione di più di cento attivisti non violenti italiani. Non si sono fatti intimorire neppure dai missili di Putin: va a loro onore personale, e sottolinea il varco apertosi fra la coerenza di ideali e comportamenti praticata da movimenti come Azione Nonviolenta e la tolleranza se non la complicità che troppi esponenti di partiti e organizzazioni continuano a manifestare nei confronti del criminale espansionismo russo.
Come ben spiegò l’uomo che nel novecento meglio di ogni altro simboleggiò la resistenza pacifica allo straniero invasore, la Grande Anima Gandhi, “per praticare la nonviolenza, bisogna essere intrepidi e avere un coraggio a tutta prova.” E ancora, tanto per evitare ogni confusione tra non violenza pacifica e violenza pacifista, così estrema da proporsi come oggettivo alleato e propagandista di chi fa la guerra di invasione contro popolazioni inermi: “Nessun uomo può essere attivamente non-violento e non ribellarsi contro l’ingiustizia dovunque essa si verifichi.” Ribellarsi contro l’ingiustizia è quanto stanno facendo da anni i combattenti ucraini e, schierati con quella giusta causa, nel loro piccolo, gli attivisti di Mean.
La presenza nella capitale ucraina della pattuglia di italiani di buona volontà, è occasione per un’ulteriore riflessione sulla non violenza gandhiana applicata al caso russo. Hannah Arendt, nel lavoro del 1970 Sulla violenza, lasciò in proposito una riflessione davvero appropriata: «Se il dramma potente e ben riuscito della resistenza non violenta di Gandhi si fosse scontrato con un nemico diverso – la Russia di Stalin, la Germania di Hitler, o magari il Giappone anteguerra, invece che con l’Inghilterra – il risultato non sarebbe stato la decolonizzazione, ma un massacro e la sottomissione». Basta sostituire al nome di Stalin quello dell’attuale leader del Cremlino, e si dispone di uno scenario che, nell’analisi di Arendt, non può essere risolto con la non violenza a mani nude di Gandhi; tanto più che l’attuale padrone del Cremlino ha riabilitato in più occasioni la memoria del dittatore georgiano i cui esiziali crimini furono denunciati da Nikita Chruščëv nel 1956, additandolo ai russi come capo guerriero vincente.
Chiosa d’obbligo alla citazione da Arendt: risulta a verbale di un gabinetto britannico di guerra a 1942 inoltrato, la disposizione assunta da Churchill nei confronti di Gandhi, in sciopero della fame contro il colonialista, dopo le sanguinose repressioni, e gli arresti a Mumbai dell’intera dirigenza del Congresso il 9 agosto. Il Mahatma in aprile aveva chiamato alla ribellione nonviolenta totale e a grandi manifestazioni di piazza, con la parola d’ordine di andarsene rivolta ai britannici: “Quit India“. Churchill dice: «Va trattato come gli altri, lasciamo che faccia quello che vuole». Il che, tradotto in soldoni, istruiva a lasciarlo crepare di fame se intendeva portare il digiuno alle estreme conseguenze. La nonviolenza premierà Gandhi, ma quando il vento politico a Londra girerà dai conservatori ai laburisti. Alla fine, nell’atteggiamento pacifico e nonviolento vale quanto affermato da un altro esponente del partito del Congresso, il primo ministro Indira Gandhi: “Non si può stringere la mano con il pugno chiuso”.
Infatti, gli attivisti di Mean per l’undicesima volta dall’invasione russa sono in Ucraina, dove stringono la mano a sindaci, sacerdoti, gente comune, che la aprono in segno di riconoscente amicizia, non certo ai russi che usano la loro mano come un maglio per colpire gli ospedali della capitale ripetendo una strategia che da nove anni praticano sistematicamente in Siria. E la prima visita della delegazione italiana sarà proprio a quanto resta di Okhmatdyt, un ospedale al quale Mean aveva donato l’anno scorso un pulmino, per far uscire all’aria aperta i bambini di oncologia, curati nei sotterranei per salvarli dall’eventuale bombardamento russo.
L’11 (giorno dedicato, per volontà di Paolo VI, a san Benedetto da Norcia patrono d’Europa). e 12 luglio gli italiani del Movimento europeo di Azione Nonviolenta parteciperanno alla preghiera universale interreligiosa in piazza santa Sofia, collegati con diverse città e piazze italiane, e alle sessioni di discussione e dibattito. Sarà presente il nunzio della Santa Sede in Ucraina, mons. Visvaldas Kulbokas. La società civile ucraina sarà rappresentata da movimenti come Rete dell’autogoverno, Act for Ukraine Charity Foundation, Spirit of Ukraine Charity Foundation, il movimento dei Focolari ucraini, diverse sigle di Scout.
Di particolare rilevanza il confronto su come edificare una strategia comune che consenta di attivare i Corpi Civili di Pace Europei, Ccpe. La resistenza armata all’aggressore si fa in vista di una pacificazione rispettosa della giustizia e dell’accertamento delle responsabilità per i crimini commessi. I corpi di pace servono a stabilizzare la pace, mantenerla e farla crescere nella cultura collettiva e nei comportamenti dei governanti. Il fallimento degli stati nel garantire la pace universale, lo spettacolo indecoroso dei Consigli di Sicurezza Onu dove il potere di veto di questo o quel dittatore di turno blocca ogni intervento risolutivo ragionevole dei conflitti in corso, stimola la società civile ad organizzare un suo protagonismo, che contesti ai governi le loro responsabilità e affidi all’iniziativa delle persone, delle famiglie, delle imprese, delle chiese, votate ai processi di pacificazione, la rifondazione di una cultura capace di interlocuzione con la politica. Questa almeno è la volontà dei movimenti che hanno aderito a Mean, come Azione Cattolica, Movimento Adulti Scout, Vita, organizzazioni regionali dell’Associazione Nazionale dei Comuni. Movimento Focolari di Bruxelles. Si punta a far praticare il dialogo tra ceppi culturali diversi, a superare i traumi della guerra, ad accantonare l’odio anche quello motivato, a istituire e gestire in modo appropriato le indispensabili commissioni Verità e Riconciliazione.
Da notare, nell’iniziativa di base per la pacificazione che si tiene a Kyiv, che le religioni non si pongono, come in altre parti, quali elementi del clash of civilizations di huntingtoniana memoria, ma come fattore di confronto pacifico e di preghiera al Padre unico e indivisibile, benché differentemente interpretabile.
Domanda spontanea: a quando un appuntamento del genere su piazza Rossa? Con una preghiera interreligiosa per la pacificazione e la cessazione dell’aggresione russa contro il popolo ucraino? Certo, c’è un piccolo problema: Kyrill, capo della chiesa Ortodossa russa, dovrebbe smetterla di chiamare l’aggressione russa “guerra santa”. Ma c’è anche la divina provvidenza, almeno per i cristiani credenti.