Insieme alle guerre sui confini orientale e meridionale, la questione centrale degli attuali affari europei riguarda l’assetto istituzionale che il voto nei 27 determinerà tra il 6 e il 9 giugno. Non solo si deciderà quale maggioranza si formerà al Parlamento Europeo, ma anche il colore politico del prossimo presidente della Commissione Europea e, a cascata, con un gioco ad incastro giuridico-politico, il presidente del Consiglio Europeo e la composizione della Commissione. Si dirà che così accade in ogni stato: il popolo sceglie col voto uomini e programmi.
Ma l’Unione Europea non è uno stato, e neppure una classica unione di stati come gli Usa: non ha una costituzione che salvaguardi il suo assetto da repentini cambi di umori politici nei 27. È un soggetto che evolve attraverso trattati intergovernativi. I trattati vigenti, pur comportando un obiettivo arretramento rispetto a stagioni politiche precedenti, non hanno intaccato la prospettiva sovranazionale solo perché il governo delle istituzioni unionali è stato garantito dalle forze – popolari, liberali, socialisti democratici – tradizionalmente ad essa favorevoli.
I 75 anni di pace e libertà assoluta, crescita economica, sviluppo sociale che la parte centro-occidentale del continente ha goduto dopo gli orrori delle due grandi guerre civili continentali generate dal nazionalismo e sovranismo esasperato delle forze politiche al potere sino al 1945, sono stati garantiti da quelle forze politiche. Ad esse si deve anche il fatto che l’Unione sia nata e si sia sviluppata, almeno nel secondo novecento, come soggetto sociale, sensibile ai problemi del mondo del lavoro e dei ceti sociali meno favoriti.
Il che spiega l’opposizione che al modello proposto da quei tre gruppi politici europei, si oppongano da sempre, sinora con scarso successo, i nazionalismi e sovranismi, collocati politicamente nella destra illiberale e nel populismo rossobruno. La novità è che questi due gruppi potenzialmente destinati a confluire in un futuro spettro politico alternativo alla tradizione dell’Unione, ritengono di riuscire a catturare il consenso che consentirà loro di ribaltare il banco politico dei 27. Particolarmente attiva nel costruire quest’alternativa, la presidente del Consiglio dei ministri italiana, convinta di dare ai 27, da qui a dieci giorni, un nuovo orizzonte politico. Servirebbe a cambiare, afferma, politiche sbagliate come quelle varate per contenere il contributo umano al cambiamento climatico, salvare i richiedenti asilo, dare diritti ai Lgbt+, attrezzare una difesa comune. Soprattutto servirebbe a bloccare ogni tentativo di ulteriore integrazione tra i 27, restituendo ai paesi membri poteri e funzioni, in nome di nazionalismo e sovranismo: «Dopo anni in cui si è andati avanti nella direzione di un superstato federalista che riduce le nazioni a mere entità territoriali, […] il nostro primo obiettivo sarà quello di difendere le nostre nazioni dai tentativi di privarle dei loro poteri».

Che Meloni raccolga il dividendo europeo che prospetta è improbabile, visto che la maggioranza anche nel dopo elezioni europee dovrebbe restare in mano a popolari e socialisti. È invece certo che possa già ora affermarsi che la presidente del Consiglio sia stata artefice di un piccolo capolavoro politico, gravido di effetti nel domestico e nell’Unione.
Si parta dalla constatazione che Fratelli d’Italia, FdI, nasce solo nel dicembre 2012 e che, senza disporre di un solo deputato al Parlamento Europeo, già nel novembre 2018 si colloca nel gruppo Conservatori e Riformisti Europei, Ecr. Quindi, benché nella legislatura appena conclusa del Parlamento Europeo schieri solo sei deputati, conquista la leadership del gruppo e porta Meloni alla guida del partito europeo dei Conservatori e Riformisti (rieletta all’unanimità il 30 giugno 2023). Gioca, nell’ascensione meloniana in Ecr, la conquista di palazzo Chigi intervenuta nell’ottobre 2022, che ha l’effetto collaterale di far salire le quotazioni Italia nel campo conservatore.
Giusto interrogarsi sulla deriva di un conservatorismo europeo che nelle isole britanniche ha annoverato sinceri democratici del calibro di Churchill, Eden, Macmillan, Heath e nel continente figure come De Gaulle, se mette al suo vertice la segretaria di un partito che conserva nel simbolo la fiamma che fu del Movimento Sociale Italiano. Opportuno chiedersi cosa ci facciano in prossimità di un partito Conservatore siffatto, pezzi di popolarismo europeo apparentemente pronti a confluire nell’Ecr o almeno a stipulare con esso alleanze di fatto (v. il corteggiamento di Ursula von der Leyen a Meloni). Non sono i popolari quelli che con i vari De Gasperi, Sturzo, Schuman, e su su fino a Kohl hanno immaginato e costruito mattone dopo mattone buona parte dell’attuale Ue?
È accaduto che sull’onda della grande crisi del biennio 2007-2008, alla vigilia delle elezioni europee del 2009 i conservatori britannici, sempre più sciovinisti, antimmigrazionisti ed euroscettici avviassero la deriva che li avrebbe portati, nel giro di un decennio a condividere alleanze con partiti della destra illiberale continentale e accettare come vice presidente un esponente dell’apparentato Likud di Netanyahu.
Nel frattempo l’accelerazione della spinta a destra dell’asse politico in occidente, seguito alla crisi finanziaria del biennio 2007-2008, ha toccato anche la parte conservatrice del mondo cattolico che si è riconosciuta sempre meno nel pensiero sociale della chiesa e dei papi, favorendo nel partito Popolare europeo, Ppe, le convenienze del realismo politico e dell’efficientismo, da realizzare con un gruppo politico (Ecr) dichiaratosi al tempo stesso conservatore e riformista (come se i due concetti potessero stare logicamente insieme!).
All’orizzonte può esserci anche di peggio per il progetto sovranazionale: si discute di un’alleanza di Ecr con Identità e Democrazia, Id, il gruppo nel quale milita il lepenismo francese di Rassemblement National, possibile vincitore in Francia delle elezioni europee. In quella prospettiva sì, il progetto Meloni di una grande destra continentale potrebbe iniziare a concretizzarsi. Difficile che i conservatori confluiscano in Id, ma il contrario potrebbe darsi, vista anche la recente espulsione da Id dell’estremista Alternativa per la Germania, Afd. In questo caso la grande destra meloniana-lepenista potrebbe diventare il secondo gruppo al Parlamento europeo, superando S&D, socialisti e democratici.
Uno scenario possibile fa intravedere, nella X legislatura che inizia con la plenaria del 16 luglio, il tentativo continuo di erosione da destra della squadra Ppe. Di fronte a una prospettiva del genere, persino la mina vagante di Fidesz, attualmente fuori da ogni schieramento, potrebbe trovare nelle capaci braccia di Meloni il porto dove disinnescarsi.
Si realizzerebbe a questo punto il paradosso di una Unione Europea nata per unire i popoli del continente in un progetto sovranazionale, che prepara la strada a un governo unionale che ha l’obiettivo opposto: smantellare per tornare agli egoismi nazionali.