È iniziato sotto il segno della discontinuità il quinto mandato presidenziale di Vladimir Putin.
A meno di una settimana dal suo terzo giuramento consecutivo, il nuovo/vecchio leader russo ha formalmente proposto la lista dei ministri-chiave (quelli del cosiddetto “blocco presidenziale”) al Consiglio della Federazione, camera alta del parlamento russo. Con una novità clamorosa: dopo 12 anni, infatti, il fedelissimo Sergej Shoigu non è più ministro della Difesa.
Fonti parlamentari confermano che il futuro del generale siberiano sarà piuttosto a capo del Consiglio di sicurezza, di fatto tramutandosi nel principale consulente di Putin in materia di sicurezza nazionale (un ruolo approssimativamente comparabile a quello del National Security Advisor della Casa Bianca, malgrado meno influente del corrispettivo USA).
Al dicastero della Difesa arriverà invece l’ex vicepremier Andrej Belousov. Il ribaltone ha spiazzato la gran parte dei cremlinologi, che nel loro toto-nomi non pronosticavano modifiche di rilievo alla piramide del potere. Dopotutto mai come ora il Cremlino sembra avere il vento in poppa: le truppe russe sono in netta avanzata, costringendo gli ucraini a indietreggiare chilometro dopo chilometro a Kharkiv e nel Donbass.
Internamente, le cose vanno persino meglio. Lo scorso mese Mosca ha salutato le previsioni favorevoli del Fondo Monetario Internazionale (FMI), che ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita economica nel 2024 al 3,2% – nettamente superiore a Stati Uniti (2,7%), Unione Europea (0,8%), e Regno Unito (0,5%). Non solo: l’indice PMI che misura la fiducia delle imprese ha raggiunto il livello più alto in quasi 18 anni, mentre i salari aumentano a un ritmo superiore a quello dell’inflazione (7,4%) anche per i lavoratori a basso e medio reddito.
Ma meno che mai gli esperti avrebbero potuto immaginare che, nel bel mezzo di un conflitto, il Cremlino potesse promuovere un economista a una carica tradizionalmente riservata ai militari. Il 65enne Belousov vanta peraltro un’esperienza poco più che decennale nei palazzi del potere moscoviti: dal 2012 al 2013 è stato ministro dello Sviluppo Economico, prima di diventare capo-consulente economico di Putin dal 2013 fino al 2020. Gli ultimi cinque anni hanno segnato l’ascesa del neo-ministro, non tanto nella breve parentesi di capo del Governo ad interim nella primavera del 2020 ma come primo vice del premier Mishustin dal gennaio 2020 fino alle ultime ore.

La scelta di promuovere un civile a una carica tipicamente militare, ha spiegato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, è dovuta alla volontà di “apportare innovazione e nuove idee all’avanguardia al ministero della Difesa”.
“Adesso è molto importante integrare l’economia bellica con quella del Paese, in modo che risponda alle esigenze attuali”, ha aggiunto Peskov. Putin chiede insomma a Belousov di completare la metamorfosi di Mosca in un’economia di guerra – nonostante la governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina, vera artefice del “miracolo economico russo”, non sia esattamente d’accordo per timore che si ripeta lo stesso errore commesso dall’Unione Sovietica.
Peskov ha comunque assicurato che il rimpasto non riguarderà “l’aspetto militare”, che “è sempre stato prerogativa del Capo di Stato Maggiore”, ossia del generale Valerij Gerasimov, che continuerà a fare il suo lavoro.
A prescindere da chi arriva, a far discutere è però soprattutto chi lascia. Il declassamento di una figura-chiave come Shoigu da policymaker a mero consulente arriva al termine di un anno piuttosto burrascoso per il generale di etnia mongolo-tuvana.
La scorsa estate era finito nel mirino dei golpisti Wagner capitanati da Evgenij Prigozhin, con questi a lamentare la fallimentare gestione bellica e chiedere la testa (metaforica) di Shoigu e di Gerasimov. Proprio in quella circostanza il ministro, ininterrottamente in carica dal 2012, ottenne un importante attestato di fiducia da parte dello “zar”, che si espose in prima persona contro l’ammutinamento (Prigozhin sarebbe poi morto qualche settimana dopo in circostanze misteriose).
Ora che le operazioni russe nel Donbass sembrano finalmente sortire gli effetti sperati, ad influire sulla cacciata di Shoigu potrebbero essere state internissime trame di palazzo. Lo scorso aprile uno dei fedelissimi di Shoigu, il viceministro Timur Ivanov, è stato arrestato per aver accettato una tangente di un milione di rubli (circa 10.800 dollari). Assieme a lui sono finiti in carcere anche il presunto corruttore Aleksandr Fomin, proprietario del colosso edile Olimpsitistroy, nonché l’imprenditore Sergej Borodin, sospettato di aver facilitato la procedura.
Che certe ricchezze accumulate da Ivanov fossero di provenienza sospetta era ormai il segreto di Pulcinella. A fare luce sullo stile di vita sospettosamente opulento del viceministro era stata anni fa la Fondazione anticorruzione del defunto attivista Aleksej Navalny, che aveva sottolineato come la sua carica fosse “uno dei lavori più redditizi che si possano avere”: dimore prestigiose, gioielli, vacanze di lusso a Parigi per la ex moglie. Un po’ troppo per un funzionario, quantunque di un livello alto come il suo.
La scure anti-corruttiva potrebbe quindi aver lambito anche Shoigu, secondo voci di corridoio sempre più insistenti. Come fa notare l’analista del Carnegie Russia Eurasia Center Tatiana Stanovaya, “il Servizio di sicurezza sta diventando sempre più un serbatoio per le ‘ex’ figure chiave di Putin – quelle che non possono essere lasciate andare, ma non hanno un altro posto dove andare“. Pur esautorandolo di gran parte del potere decisionale, la scelta di Putin farà comunque di Shoigu un influente burocrate.

Tra le numerose riconferme – Mishustin premier, Lavrov ministro degli Esteri, Bortnikov capo dell’FSB, e Narishkin capo del Servizio di Intelligence Estero – l’altro silurato di lusso è Nikolaj Patrushev, ex presidente del Consiglio di sicurezza rimpiazzato da Shoigu. Il 73enne Patrushev, che dal 1999 al 2008 ha raccolto il testimone di Putin come capo dell’intelligence interna (FSB), è stato degradato alla nuova mansione di assistente presidenziale nel settore delle costruzioni navali.
In questo caso, però, per un Patrushev che scende n’è un altro che sale. Nelle stesse ore veniva esautorato Patrushev senior, Putin formalizzava infatti la promozione del figlio Dimitrij alla carica di vicepremier russo – precedentemente ricoperta da Belousov.
Un valzer di nomine che sembra non risparmiare nessun tassello della piramide del potere putiniano. Ad eccezione, ça va sans dire, del suo vertice.