Mosca voleva andare sul sicuro: per assassinare Volodymyr Zelensky c’era bisogno di gente esperta. Delatori che, oltre a sangue freddo e tanta esperienza militare, avessero pieno accesso alla vita privata e agli spostamenti del presidente ucraino.
Dopo mesi di sondaggi informali, alla corte dell’FSB si sono materializzati due profili ideali. Quelli di altrettanti colonnelli dell’Amministrazione della Guardia di Stato (UDO), l’agenzia ucraina che funge da scorta delle principali figure istituzionali di Kyiv – compreso ovviamente il capo di Stato.
Il piano era quello di farlo catturare e giustiziare dagli stessi connazionali che avrebbero dovuto proteggerlo, evitando che la responsabilità della congiura ricadesse, almeno immediatamente, su Mosca (che pure non ha mai fatto mistero di voler “denazificare” il Paese aggredito decapitandone la leadership). La tempistica non era ancora stata decisa, anche se da Mosca qualcuno aveva fatto notare come il “sacrificio” di qualche alto funzionario ucraino potesse servire da buon auspicio per l’insediamento di Putin, che martedì ha giurato da presidente per la quinta volta.
Ma proprio mentre a Mosca lo “zar” proclamava le formule di rito tenendo la mano destra sulla Costituzione – fatta modificare in modo da consentirgli di rimanere al potere fino al 2036 -, nella capitale ucraina la congiura russa è crollata inesorabilmente sotto il peso delle manette.
A finire sotto arresto sono stati proprio i due uomini dell’UDO, accusati di alto tradimento per aver condiviso informazioni classificate con l’intelligence russa. Nella lista degli obiettivi, oltre a Zelensky, c’erano anche funzionari di altissimo profilo come Kyrylo Budanov, capo dei servizi segreti militari ucraini (HUR), e Vasyl Malyuk, capo dell’intelligence interna di Kyiv (SBU).
Il piano prevedeva che il primo a morire fosse proprio Budanov, poco prima della Pasqua ortodossa (celebrata lo scorso 5 maggio). Un agente russo avrebbe dovuto seguire i movimenti del funzionario e riferirli ai colleghi moscoviti. Una volta accertato che Budanov avesse fatto ritorno a casa, gli uomini dell’FSB avrebbero colpito l’abitazione con una prima bordata di missili e quindi con dei droni che sarebbero serviti a neutralizzare gli inquilini eventualmente sopravvissuti. L’operazione si sarebbe poi conclusa con uno strike missilistico finale che eliminasse qualsiasi traccia dell’uso di droni.
L’equipaggiamento per l’operazione, secondo l’intelligence ucraina, sarebbe stato fornito direttamente dai colonnelli dell’UDO agli uomini della 9a Direzione del Dipartimento Informazioni Operative del 5° Servizio di Sicurezza Federale russo. Un vero e proprio arsenale bellico composto da droni FPV, cariche RPG-7, testate per lanciatori portatili e mine antiuomo MON-90.
Ai due è stato notificato negli scorsi giorni un avviso di garanzia per alto tradimento commesso sotto la legge marziale e preparazione di un atto terroristico, che prevedono come pena massima l’ergastolo.
Per ammissione dello stesso Zelensky, non è il primo – né probabilmente dell’ultimo – tentativo di farlo fuori. In un’intervista rilasciata al tabloid britannico Sun lo scorso novembre, il leader ucraino asseriva di essere sopravvissuto ad almeno cinque tentativi di assassinio dall’inizio della guerra. Spesso con il consueto modus operandi: sfruttare elementi vicini al presidente lasciando a loro almeno una parte del lavoro sporco.
Alcuni degli alti funzionari russi, che quelle presunte trame omicide le hanno verosimilmente ordite, potrebbero appreso dell’arresto dei loro complici ucraini direttamente dalle agghindate sale del Gran Palazzo del Cremlino, dove martedì si è riunito il gotha della politica, e della società civile-militare russa per rendere tributo al nuovo-vecchio presidente Vladimir Putin.
Mentre il presidente della Corte Costituzionale Valery Zorkin faceva da cerimoniere per il quinto giuramento presidenziale del leader pietroburghese (il terzo di fila), nelle prime file sedevano diversi volti noti: dal ministro della Difesa Sergej Shoigu al leader ceceno Ramzan Kadyrov, passando per il sindaco di Mosca Sergej Sobyanin e il presidente cubano Miguel Diaz-Canel. Comprensibilmente assenti invece le delegazioni di quasi tutti i Paesi UE, del Regno Unito, degli Stati Uniti e del Canada.
Poco dopo il suo discorso, incentrato come da programma sull’orgoglio nazionale (“Siamo una grande nazione unita e insieme supereremo tutti gli ostacoli”) nonché sul patriottismo bellico (“Voglio inchinarmi ai nostri eroi che stanno combattendo per la nostra Patria”), Putin ha ricevuto separatamente anche la benedizione del patriarca Kirill.
“È stato Dio stesso ad affidarti il compito di servire la Russia”, ha sentenziato il capo della Chiesa ortodossa russa e acceso sostenitore dell’invasione dell’Ucraina (“Deus vult“), anche lui nativo di Leningrado. Oltre al Padreterno, Kirill per l’occasione ha scomodato anche un santo, ossia Aleksandr Nevskij, principe della repubblica medievale di Novgorod assurto a eroe per aver difeso, “come sta facendo Putin”, la Russia dalle influenze esterne.
“Mi auguro che lei, presidente, rimanga al potere fino alla fine del secolo”. Per quello, però, servirà ben più di una riforma costituzionale.