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L’altra guerra di Israele: cosa sta succedendo in Cisgiordania

Mentre gli occhi del mondo si concentrano su Gaza e Rafah, i coloni spadroneggiano

Eric SalernobyEric Salerno

The refugee camp in the West Bank city of Tulkarem during an Israeli raid, 18 February 2024 ANSA/EPA/ALAA BADARNEH

Time: 3 mins read

C’è da diventare strabici in questi giorni a forza di guardare prima a Tel Aviv e Washington, poi a Gaza e Doha saltellando tra Cairo e Gerusalemme con un rapido passaggio a Rafah, cittadina in riva al Mediterraneo il cui nome è stato sentito per la prima volta poche settimane fa dalla maggioranza delle persone.

Il mondo – quello occidentale e mediorientale – sembra concentrato sull’apparente sforzo di Israele e Hamas ad arrivare a un accordo per il rilascio degli ostaggi, poco più di cento, e salvare la vita ad altre migliaia di palestinesi – ne sono morti già oltre 30 mila – nella striscia di Gaza. Il bollettino delle autorità sanitarie di Gaza segna ogni giorno tra cinquanta e cento decessi, prova dell’attività militare instancabile delle forze armate israeliane.

E mentre il governo israeliano – guidato da Netanyahu – e quello americano – capeggiato da Biden- si mandano quotidiani segni di odio-amore e viene dato ormai per scontato che prima o poi – probabilmente appena terminata la festa musulmana del Ramadan, in aprile – ci sarà l’assalto a Rafah e al suo mondo sotterraneo di cunicoli fortificati – continuano le operazioni israeliane in Cisgiordania. Forze armate, polizie e milizie varie, un piccolo esercito di coloni stra-armati, rastrellano, demoliscono, uccidono, feriscono, arrestano “sospetti-terroristi” di ogni età.

Bet’selem, il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati, da anni segnala i soprusi delle forze armate e dei coloni. L’ultimo suo circostanziato rapporto risale ai primi del mese. Vale la pena sfogliarla. È opera di cittadini di Israele – 155mila iscritti –  in maggioranza israeliani ebrei che vogliono convivere in pace con gli arabi – musulmani e cristiani – sulla terra che va dal Mediterraneo al fiume Giordano.

“Limitare il movimento è uno strumento importante che Israele usa per far rispettare il suo regime di apartheid e controllare la popolazione palestinese nei territori occupati”, le prime parole della relazione di Bt’selem. “Le limitazioni sono imposte ai palestinesi che desiderano spostarsi all’interno della Cisgiordania, viaggiare tra la Cisgiordania e Gaza, entrare in Israele o viaggiare all’estero. Per decenni, Israele ha imposto queste restrizioni solo ai palestinesi, mentre gli israeliani – compresi i coloni – e altri cittadini si muovono liberamente.

Dal 7 ottobre 2023, Israele ha estremamente inasprito le restrizioni, usando la sua rete di posti di blocco per rafforzare la supervisione, istituendo dozzine di nuovi posti di blocco, bloccando l’accesso da dozzine di villaggi alle strade principali e revocando tutti i permessi per i palestinesi di entrare in Israele per lavoro o per altri motivi. Queste restrizioni …causano gravi perdite finanziarie, limitano l’accesso alle cure mediche e agli studi e danneggiano la vita familiare e le attività sociali. Creano anche uno stato di costante incertezza: i palestinesi che sono partiti da casa in Cisgiordania non possono sapere se ce la faranno ad arrivare al posto di lavoro o quando; se possono rispettare un appuntamento medico e se possono visitare la famiglia. Possono aspettare per ore a un checkpoint…umiliati dai soldati…arrestati”.

Gli Stati Uniti e un paio di stati europei hanno deciso sanzioni contro alcuni dei coloni estremisti più noti ma nulla di concreto nei confronti di una crescente numero di coloni di “estrema destra” messianici che godendo del sostegno di alcuni dei ministri che tengono in piedi il governo israeliano sono responsabili di azioni di violenza nei confronti dei pastori e dei contadini palestinesi. “Gli attacchi dei residenti delle fattorie di coloni – si legge in un altra rapporto di B’Tselem, sono diventati da tempo parte della vita quotidiana delle comunità palestinesi della zona…La polizia israeliana si astiene in gran parte dall’indagare su questi incidenti e quando i palestinesi o gli attivisti israeliani presentano denunce alla polizia, spesso si trovano interrogati come sospetti”.

Il più vecchio movimento per la pace israeliano è “Peace Now” che si è sempre opposto alla politica degli insediamenti e continua a monitorare l’attività dei vari governi – da quelli laburisti – fu il premier laburista Shimon Peres a volere il primo insediamento nei pressi di Hebron –  all’attuale coalizione di estrema destra – in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. L’altro giorno ha denunciato la costruzione di infrastrutture per un nuovo insediamento, a due chilometri a ovest della città – colonia Ariel.

“L’avvio della costruzione di Ariel West, un nuovo insediamento nel profondo della Cisgiordania, poco prima del Ramadan e nell’imminente pericolo di escalation in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, è un’ulteriore prova che il governo israeliano sta cercando un’escalation violenta e vuole aprire un terzo fronte di guerra. È anche un’ulteriore prova, per chiunque sia ancora in dubbio, che sta facendo di tutto per distruggere la possibilità della soluzione a due stati. I cittadini israeliani meritano un governo migliore e le sue azioni e decisioni stanno mettendo in pericolo la vita e il futuro sia dei palestinesi che degli israeliani, nonché di quello dell’intera regione”.

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Eric Salerno

Eric Salerno

Giornalista ed esperto di questioni africane e mediorientali, è stato corrispondente de 'Il Messaggero' da Gerusalemme per quasi trent'anni.

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