L’État, c’est moi. O meglio: Gosudarstvo – eto ja.
Se c’erano ancora dubbi sul fatto che la Russia odierna coincidesse con la persona di Vladimir Putin, le presidenziali appena conclusesi hanno sgombrato il campo da qualsiasi equivoco. L’88,48% ottenuto dal 71enne pietroburghese, al suo quinto mandato complessivo (il terzo di fila) al Cremlino, non ha precedenti nella pur breve storia pluripartitica del Paese e pare piuttosto richiamare l’epoca delle pseudo-elezioni sovietiche.
Oltre al consenso stellare, che ricalca quasi perfettamente il dato (in continua crescita) sull’indice di gradimento interno per Putin, inedito è anche il dato sull’affluenza: 77,44%. Alle ultime elezioni, quelle del 2018, l’uomo forte del Cremlino si era fermato a percentuali ben più basse – un ‘misero’ 77% di preferenze suffragato dal 67,5% di affluenza.
Ma allora scatenare guerre ripaga? La questione è un po’ più complicata. A partire dal secondo dato, quello sull’affluenza. Ad influire sul basso astensionismo sono stati infatti l’introduzione del voto elettronico e la singolare forma di protesta scelta dall’opposizione “reale”, diversa dall’equivalente parlamentare spesso solo nominalmente speculare al potere.
Quest’anno circa un terzo dei 114 milioni di elettori russi ha potuto votare anche da casa attraverso il cosiddetto “voto elettronico a distanza” (DEG, secondo l’acronimo russo), sperimentato con non pochi inconvenienti tecnici a Mosca nel 2019 ma fortemente voluto dal Cremlino per questa tornata elettorale. Alcuni esperti hanno fatto tuttavia notare come il sistema non sia proprio limpidissimo, dal momento che il software non consente agli osservatori di decifrare e verificare i voti al termine degli scrutini.
Che il voto elettronico possa essere servito a far votare – per Putin – più gente di quanta se ne potesse portare ai seggi è la tesi rivelata da un ex stratega politico del Cremlino al quotidiano indipendente Novaya Gazeta. Le autorità, a suo dire, si sarebbero preposte l’obiettivo di un plebiscito superiore al 80% grazie all’introduzione del voto online per i lavoratori del settore pubblico e per i dipendenti delle grandi aziende partecipate dallo Stato, oltreché per gli elettori delle regioni storicamente “dissidenti” (come quella dell’Altai).
La procedura è stata illustrata allo stesso giornale da un dipendente anonimo di una partecipata del comune di Mosca. La fonte sarebbe stata costretta, insieme a molti colleghi, a registrarsi per il voto online onde evitare minacciosi “colloqui con la direzione” in caso di rifiuto. Una maniera di mobilitare 13 milioni di dipendenti pubblici a votare per il presidentissimo, che si aggiunge a un altro consistente pacchetto di 20-25 milioni di voti provenienti da “sultanati elettorali” come la Cecenia di Kadyrov e il Daghestan.
Il basso astensionismo è stato poi favorito dalla strategia dell’opposizione, che ha invitato a boicottare Putin ma non le urne. Anzi, è forse proprio grazie ai sodali di Navalny che domenica si sono registrate lunghe file in Russia e nel resto del mondo in occasione del “mezzogiorno contro Putin” – un’occasione per recarsi al proprio seggio elettorale, mettersi in fila, e scrivere sulla propria scheda un proprio slogan anti-Putin.
Curiosamente, gli exit poll coordinati da attivisti russi in esilio mostrerebbero una schiacciante vittoria del candidato del “Nuovo Popolo” Vladislav Davankov rispetto a Putin in quasi tutti i Paesi esteri analizzati.

C’è poi la questione del consenso. Il dato elettorale conferma come l’ex capo del KGB goda ancora di livelli di consenso interno stratosferici. Frutto certo dell’assenza di rivali credibili (chi avrebbe potuto esserlo è stato escluso, come il pacifista Boris Nadezhdin, o addirittura ci ha rimesso la pelle, come Navalny e Prigozhin). Ma anche del buon stato di salute dell’economia russa nonostante la paventata implosione economica causata dalla guerra in Ucraina.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, quest’anno l’economia di Mosca dovrebbe crescere del 2,6% – più del doppio dello 0,9% previsto per i Paesi europei, nonostante l’inflazione al 7,4% sia nettamente più alta dell’eurozona (2,8%).
Nella sua campagna elettorale, Putin è stato particolarmente munifico e ha promesso elargizioni per tutte le fasce sociali: dall’estensione dei mutui garantiti dallo Stato per le giovani famiglie, agli investimenti in edilizia, sanità, istruzione, scienza, cultura e sport. Oltre, chiaramente, a spese militari che nel 2024 supereranno per la prima volta quelle sociali – portando il debito pubblico alla cifra-record di 400 miliardi di dollari.
“Non cambiare cavallo mentre attraversi il fiume“, recita un vecchio adagio russo. L’uomo forte del Cremlino ne è consapevole. Ed è forse proprio per questo che, nelle prime elezioni presidenziali successive all’invasione, il Cremlino ha voluto strafare, facendo in modo che Putin ottenesse non una semplice maggioranza bensì un plebiscito che gli conferisse carta bianca – come compete a un generale in guerra. Una maniera di legare le sorti dell’uomo con quelle dell’istituzione. Metamorfosi da leader a Leviatano.