All’alba del 24 febbraio 2022, mentre dava l’ordine di invadere l’Ucraina, probabilmente il presidente russo Vladimir Putin pensava a una blitzkrieg – a una guerra-lampo che in poco tempo avrebbe dovuto portare a tre obiettivi fondamentali: l’annessione del Donbass, la fine dell’isolamento logistico della Crimea annessa nel 2014, e, dulcis in fundo, all’instaurazione di un nuovo esecutivo fantoccio.
Oltre due anni dopo l’inizio della guerra, finora Mosca sembra essere riuscita a ottenere due obiettivi su tre. Dopo aver infatti rinnegato i mega-propositi di regime change, che il Cremlino definisce più prosasticamente “denazificazione”, le truppe russe sono riuscite quantomeno a presidiare stabilmente le province di Donetsk e Lugansk con il sud del Paese vicino, ricostituendo parte della regione storica della Novorossiya.
Tutto ciò pagando peraltro un prezzo, umano ed economico, impressionante. Il numero di caduti russi è tutt’ora incerto: oltre 15.000 soldati è la stima che si ottiene combinando dati ucraine, indiscrezioni russe, intelligence occidentali e informazioni open-source. Più del doppio – 31.000 – i morti ucraini, almeno secondo quanto affermato recentemente dal leader Volodymyr Zelensky (ma secondo le stime USA il dato reale potrebbe aggirarsi intorno ai 70.000).

A differenza dell’altra grande crisi internazionale del momento, quella mediorientale tra Israele e Hamas, in Ucraina non è mai veramente entrata in vigore una tregua. Fatta eccezione per una cessazione incompleta delle ostilità durante il Natale ortodosso dello scorso anno, i due belligeranti hanno continuato a sparare giorno e notte senza soluzione di continuità. La Russia per mantenere le sue posizioni e guadagnare qualche altro fazzoletto di territorio che stabilizzi le sue acquisizioni, l’Ucraina per cercare di smantellare pezzo dopo pezzo il castello-fortezza russo.
Il tempo, però, sembra essere dalla parte dell’invasore. Le munizioni per le truppe ucraine di prima linea si stanno infatti esaurendo, vittime dei ricatti politici dei repubblicani USA che, per dare il via libera ad altri aiuti militari, chiedono che la Casa Bianca indurisca la politica migratoria al confine con il Messico. Il razionamento dei proiettili d’artiglieria rende difficile per gli ucraini mantenere le posizioni difensive contro gli attacchi russi e li costringe insomma a riprogrammare gli assalti.
Anche se nessuno osa dirlo apertamente, il boicottaggio repubblicano e le difficoltà ucraine al fronte hanno spinto Europa e Stati Uniti a fare i conti con l’assai probabile scenario di un insuccesso ucraino. Tant’è che persino i media ritenuti più vicini all’amministrazione di Joe Biden, come la CNBC, chiedono sempre più insistentemente un cessate il fuoco.
Ci sono però delle difficoltà tecniche e politiche. In primis, il parlamento ucraino – la Verkhovna Rada – ha approvato un decreto presidenziale che vieta di negoziare con la Russia finché i soldati russi non abbiano evacuato tutta l’Ucraina, compresa la Crimea. Politicamente, inoltre, Zelensky continua a chiedere il “ripristino dell’integrità territoriale ucraina” – ossia la restituzione di Crimea e Donbass – come condizione precipua affinché ci si sieda al tavolo negoziale.
Mosca potrebbe invece ‘accontentarsi’ di sancire nero su bianco le conquiste territoriali ottenute finora, dando loro una parvenza di legittimità internazionale. Probabile poi che venga chiesta (metaforicamente) la testa di Zelensky.

Ammesso quindi che si arrivi a un accordo, quali sono gli scenari possibili? Il primo potrebbe prevedere che la Russia mantenga le sue conquiste territoriali e imponga un cambio di leadership a Kyiv con un esecutivo al tempo stesso filo-russo e non apertamente anti-occidentale. Un’altra ipotesi è che l’Ucraina venga di fatto ‘germanizzata’: a est le regioni annesse da Mosca, a ovest uno Stato ucraino legato all’UE, e Kyiv a fare da ponte.
Mosca insiste sull’obiettivo imprescindibile della “de-nazificazione”, il che significa che le ostilità difficilmente si fermeranno fino a quando Zelensky e sodali non abdichino a favore di personaggi meno ostili a Mosca. Inoltre, nei negoziati privati a livello di intelligence, i russi spingono per istituire una zona cuscinetto a ovest del fiume Dnieper per la presenza di missili a lungo raggio come gli ATACMS.
Improbabile, infine, che la NATO possa fare molto di più di quanto già stia facendo. Malgrado le dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron – che lunedì non ha escluso un possibile invio di truppe dell’Alleanza nell’Ucraina occidentale – a correggere speditamente il tiro è stato lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg, che ha definito la prospettiva inverosimile. Il funzionario atlantico ha comunque ribadito che l’alleanza continuerà a sostenere Kyiv sia collettivamente sia a livello di singoli Stati. Almeno fino a quando l’Occidente non riterrà che la guerra sia invincibile.