Aleksej Naval’nyj è morto nella colonia carceraria IK-3 di Harp, circondario autonomo di Jamalo Nenets, nell’Estremo Nord russo dove era stato trasferito lo scorso dicembre. Ci sarà una versione ufficiale sul decesso e le prime ricostruzioni parlano di un malore durante l’ora d’aria. Ci saranno mille ipotesi su cosa sia davvero accaduto, chiedendosi come sia possibile che ieri l’oppositore russo comparisse in un video sorridente e pronto allo scherzo anche dalla prigione, e oggi sia improvvisamente deceduto. Sui canali Telegram, spazio residuo di libertà mediatica in Russia, è stata subito notata l’inusuale tempestività del comunicato con cui il servizio penitenziario ha dato la notizia della morte e anche la celerità dell’arrivo delle ambulanze presso il carcere di massima sicurezza, malgrado la trentina di chilometri di distanza dal centro di pronto soccorso.
La sostanza non cambia. A 47 anni, l’oppositore più scomodo per il regime russo è scomparso nel modo più scomodo, dietro le sbarre. Nel momento più scomodo ipotizzabile: a meno di un mese dalle elezioni presidenziali che vedranno Vladimir Putin confermato per un quinto mandato non consecutivo, con un prevedibile plebiscito, ma ora con qualche ombra in più. Naval’nyj aveva di recente proposto di presentarsi ai seggi a votare il 17 marzo alle ore 12, in segno di protesta. Il ‘sistema Putin’ non è d’altronde nuovo a morti eccellenti in giorni particolari, basti pensare alla giornalista Anna Politkovskaja trucidata nell’androne della sua abitazione moscovita il 7 ottobre del 2006, nel giorno del compleanno del leader russo.
Le complicazioni non riguardano però solo il fronte interno russo. A quasi due anni dall’invasione dell’Ucraina, il Cremlino ostenta aperture per un negoziato davvero difficile da immaginare e la morte di Naval’nyj non può che complicare qualsiasi interlocuzione. Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha commentato la scomparsa dell’oppositore dicendo che “la Russia è responsabile di questa situazione” e il messaggio è chiaro: indipendentemente da cosa abbia causato il decesso, Naval’nyj in quel carcere non doveva esserci, quindi la colpa è di chi ce l’ha mandato. “La sua morte in una prigione russa (..) evidenzia la debolezza e la corruzione nel cuore del sistema costruito da Putin”, ha aggiunto Blinken.
Corruzione è la parola chiave, dato che il politico scomparso oggi esponeva da 20 anni l’atavico problema della Russia, il diffuso malaffare nei gangli dello Stato. La sfida aperta a Putin è arrivata in un secondo momento, maturata con le proteste che hanno accompagnato il ritorno al Cremlino dell’attuale presidente nel 2012, dopo quattro anni di pausa per rispettare formalmente la Costituzione.
Il destino dell’avvocato-blogger è apparso segnato dal 2021, quando era tornato in Russia dalla Germania dopo mesi in cura in una clinica berlinese per un avvelenamento da agente chimico subito durante una trasferta in Siberia nell’estate del 2020. Fermato all’aeroporto di Sheremetevo, Naval’nyj è entrato in una spirale di fermi amministrativi, denunce, processi e indagini di progressiva gravità, fino alla condanna a 19 anni per “estremismo”, che stava scontando nella colonia ‘Lupo Polare’ in cui ha incontrato la morte.