Le opinioni pubbliche e i ceti politici, che spesso ragionano in pubblico come se fossero incapaci di leggere e comprendere quanto gli esperti mettono a loro disposizione, stanno facendo circolare da qualche mese l’idea del fallimento dell’immaginata controffensiva ucraina che avrebbe dovuto far ripiegare gli invasori verso il confine. Sul terreno le cose erano e restano più complesse: come non corrispondeva al vero quanto i russi mettevano in giro tra febbraio e aprile 2022 rispetto all’avanzata travolgente in direzione Kyïv, così era impensabile che gli ucraini rimuovessero con un colpo di mano effettivi ben ancorati al terreno, che hanno avuto mesi per edificare trincee fortificate, minare un’estensione incredibile di territorio, assorbire decine di migliaia di combattenti e renderli un minimo adatti al confronto con l’eccellente armata ucraina. Inutile aggiungere che se gli stati che si sono dichiarati favorevoli alla resistenza ucraina le avessero consegnato in tempo armi e munizioni necessarie, il quadro sul terreno non sarebbe bloccato come in sostanza appare ora. Di seguito alcuni aspetti della situazione.
La guerra di movimento, prima russo poi ucraino, si è consolidata in guerra d’attrito. Al momento i russi hanno il vantaggio degli uomini e delle munizioni. Senza armi e munizioni che restituiscano agli ucraini le condizioni per la guerra di movimento, gli invasori non saranno respinti oltre il confine. Il calcolo di Putin è insieme semplice e brutale: il suo regime non prevede opposizione e può schierare un maggior numero di uomini e donne dei nemici. Di fronte al numero dei propri morti e invalidi, e all’assottigliamento delle riserve, gli ucraini si convinceranno che conviene tornare nelle braccia della grande madre Russia. In realtà è un azzardo, non un calcolo. Se anche Putin mantenesse il territorio sinora occupato, gli interessi russi soffrirebbero e lui si ritroverebbe come Pirro, visto che a bilancio avrebbe: Nato più vasta e più forte (Trump permettendo!); perdita di milioni di giovani tra morti, invalidi, renitenti fuggiti, emigrati; guadagni inferiori dalle materie prime, ora vendute a paesi che pagano meno degli europei; isolamento da Stati Uniti e UE con asfissia strategica nel cerchio Iran Bielorussia e nord Corea; perdita delle centinaia di milioni di dollari congelati all’estero. Mettiamoci pure che Putin ha un mandato di cattura internazionale che lo insegue e il fatto che i territori occupati sono distrutti e la loro assimilazione richiederebbe enormi costi politici e finanziari.

Il fronte interno del consenso alla guerra nei due contendenti mostra crepe. In ogni guerra che si prolunghi oltre le aspettative, e nelle quali distruzioni e vittime assumano insopportabilità, le proteste di frange di popolazione sono ovvie. Ma in Russia, mentre Putin assegna circa il 30% del bilancio alle forze armate, accade di più e Chonicles l’attribuisce alle sofferenze causate alla gente dalle pesanti sanzioni economiche. Per la continuazione dell’invasione fino all’obiettivo finale è (ottobre 2023) solo il 12% degli intervistati; per il ritiro delle truppe il 40%, per il loro mantenimento sul terreno il 33%. Intanto il 44% denuncia la caduta del reddito, e il 52% ansia e depressione. Le manifestazioni delle spose e figlie di militari al fronte al memorial moscovita del Milite ignoto, non hanno la stessa radice, ma pesano probabilmente di più. La Russia non è l’Iran e l’allargarsi del dissenso può avere conseguenze politiche soprattutto se – come mostra il recente scandalo dell’Almost naked party di dicembre finito sulla graticola mediatica mondiale – ad esserne protagonisti sono clienti del Cremlino.
L’occupante controlla al momento tra il 18 e il 20% del territorio nazionale ucraino: la volontà di Zelens’kyj è di ricostituire l’unità della patria, cacciando l’invasore. Ma i 27 potranno eventualmente assegnare più armi e munizioni in autunno, dopo le elezioni del Parlamento europeo e la formazione della nuova Commissione. Per gli Stati Uniti, che hanno già declassato l’Ucraina a terza priorità dopo campagna presidenziale e questione israeliana, se ne riparlerà seriamente solo dopo novembre. Può avvicinarsi la necessità che a Kyïv si valuti un doloroso ma possibile scenario B: la partizione della patria. Basterebbe per l’appetito del grande orso russo? Ad ascoltare il numero due del Cremlino, Dmitry Medvedev, assolutamente no, visto che nelle parole postate su Instagram qualche giorno fa ha scritto che l’intera Ucraina presto o tardi tornerà in possesso di Mosca, se necessario con un’altra guerra, perché “la presenza di uno stato indipendente sui territori storici russi sarà una ragione costante per la ripresa delle ostilità”. Un detto antico russo, che spiega molto, afferma: “La Russia da sola è un regno, con l’Ucraina diventa un impero”. Il progetto Novorossiya, in pieno tentativo di attuazione, non prevede la ricostituzione del regno russo, ma dell’impero granderusso.

Dal che la constatazione che occorra prendere sul serio le analisi dei servizi di vari paesi, ad esempio della sempre cauta Germania, che prevede già in primavera azioni di aggressione o disturbo verso paesi dell’Unione Europea (in primis i Baltici, in particolare la Lettonia dove sono schierati anche bersaglieri della brigata Garibaldi) e la Georgia. In questa cornice va inserita l’esercitazione Steadfast Defender 2024, che la Nato condurrà da qui a maggio in Europa centro-orientale, addestrando 90.000 effettivi per la risposta all’eventuale attacco russo.
La propaganda moscovita si infilerà nelle campagne elettorali europea e statunitense (e della Georgia, in giugno!) come il topo nel formaggio. Non le difettano strumentazione tecnologica e software, in particolare quello collegato al miglior uso dell’IA. Putin giocherà nuovamente la carta Trump, ma si aspetti colpi bassi che faranno anch’essi opinione elettorale. Si guardi all’invito di Zelensky a Trump perché visiti Kyïv. Con un sillogismo provocatorio, ha trasformato in boomerang un feticcio propagandistico, dicendo al caro Donald che racconta di saper mettere fine alla guerra in 24 ore, di andarglielo a spiegare. Puntando sull’effetto Trump e sul pacifismo dei 27 europei, Putin sta facendo come Hitler, che citando Federico il grande spronava a combattere sino alla fine, in attesa che uno dei nemici fosse così stanco da rinunciare a lottare ancora. Può essere utile ricordare che Hitler si sbagliò: nessuno degli alleati mollò la presa.
Osservazioni conclusive. Le due maggiori crisi in corso vengono da errori clamorosi commessi in occidente. Da Israele lasciando sguarnita la frontiera con Gaza, da Usa e Nato consegnando gli arsenali atomici ucraini alla Russia post sovietica e soprattutto non stabilendo una difesa credibile alla frontiera ucraina tra il 2014 e il 2022. Sarà pure il caso di trarne le opportune conclusioni, in termini di sicurezza e protezione della democrazia nei paesi Nato.