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“Chiamate voi Hamas”: perché il racconto della guerra di Israele non funziona

Dov'è finita l'intelligenza cinica ma perfetta degli sceneggiatori di "Fauda"?

Angelo FigorillibyAngelo Figorilli

Israeli Foreign Minister Eliyahu Cohen, shows a picture during a press conference about the hostages held in Gaza since the Israel Hamas war, at the European headquarters of the United Nations in Geneva, Switzerland, 14 November 2023. ANSA/EPA/SALVATORE DI NOLFI

Time: 3 mins read

Scrivere di Onu e di Medio Oriente su un giornale che ha osservatori diretti sul Palazzo di vetro un po’ mi onora; ma  lo faccio da telespettatore del mondo che ha visto l’esibizione, a corredo di un intervento contro il cessate il fuoco dell’ambasciatore di Tel Aviv, di quel cartello con scritto il numero telefonico dell’ufficio di Hamas a Gaza. “Se volete che la guerra finisca chiamate loro, se si arrendono, se liberano gli ostaggi noi ci fermeremo” così ha chiuso il discorso Gilad Erlan davanti all’assemblea generale dell’ONU, prevedendo un eventuale zoom delle telecamere sul foglio che alzava con le mani.

Non è la prima volta che colpi di teatro più o meno efficaci vengono recitati in quel luogo e in mondovisione. Dalla scarpa sbattuta sui banchi di Kruscev fino alla fialetta di presunto antrace del povero Colin Powell, le Nazioni unite sono sempre state palcoscenico di discorsi memorabili e di maldestri effetti speciali che servivano non a convincere la sala ma a fare colpo sulle opinioni pubbliche globali. Lo stesso Netanyahu in un dibattito sul nucleare iraniano alzò un cartello con disegnata una bomba pronta nelle mani di Teheran perché tutti capissero.

Anche stavolta doveva essere così, ma qualcosa continua a non funzionare nel racconto della guerra che Israele cerca di proporre al mondo.  Non sembri irriverente se  provo a mettermi nei panni degli sceneggiatori di Fauda, una delle serie tv più famose che ci ha ipnotizzato nel racconto di cosa era la vita quotidiana di guerra al terrorismo nei territori palestinesi occupati da Israele.

Ci eravamo abituati a quella permanente sfida di intelligenza cinica della squadra speciale dei servizi israeliani, quelle rocambolesche azioni mirate e pericolose nei campi profughi, soprattutto quell’incredibile lavoro di intelligence che rendeva possibile colpire ogni obiettivo dovunque. Tutto per garantire il bene supremo della sicurezza, al prezzo certo di dolori disillusioni e tradimenti che ci tenevano comunque incollati al teleschermo.

Ora il sette ottobre è stato il più grande fallimento di Fauda e di tutto il racconto dell’invincibilità di Israele, questo gli sceneggiatori lo sanno. Il punto è che vorrei essere nella testa di chi scrive il seguito della serie. Perché dovrebbero raccontare che la rabbia ha preso il posto dell’intelligenza cinica, che le rocambolesche azioni di antiterrorismo mirate sono state sostituite dai più semplici bombardamenti programmati al computer dall’intelligenza artificiale, che il lavoro di intelligence si sfoga ora radendo al suolo la Striscia metro per metro da nord a sud. Per esempio che fine ha fatto il quartier generale di Hamas sotto l’ospedale di Al Shifa, che per settimane una video grafica mostrata al mondo descriveva come un reticolo di tunnel corredato da uffici, ascensori e bunker segreti? Lo abbiamo visto? No, perché intanto il quartier generale di Hamas si è spostato a sud e lì, dicono, che ora bisogna colpire.

È lì che si nasconde il capo militare Sinwar, sottoterra pensiamo noi telespettatori del mondo, invece poi ci annunciano che hanno circondato la casa. La casa? Ma come si può pensare che sia rimasto a casa? Immagino a questo punto gli sceneggiatori di Fauda con le mani nei capelli e intanto via bombe tutt’intorno perché non si sa mai. E lo stesso si può dire dei tunnel, snidare i terroristi con informazioni mirate non è più nel copione; meglio allagarli e affogare tutto ,e trema il cuore solo a pensare agli ostaggi. E si potrebbe continuare perché ogni remora è saltata, all’orrore indescrivibile del massacro di Hamas che, lo ripetiamo, è terrorismo allo stato puro, Israele di Netanyahu risponde con altrettanta ferocia cieca, senza distinguere nulla, senza quella intelligenza cinica che lo aveva reso famoso e temuto nel mondo.

Ecco perché quel cartello che voleva essere il colpo di scena nella versione israeliana dei fatti in realtà mostra invece la banalità di chi ha scelto la strada semplice della forza brutale per raggiungere l’obiettivo che ancora gli sfugge. Costi quel che costi come nelle peggiori serie tv. Quelli di Fauda invece quel numero non solo l’avrebbero tenuto segreto ma forse anche usato per scrivere il finale della serie.

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Angelo Figorilli

Angelo Figorilli

Ha lavorato per anni in Rai come inviato. Ha viaggiato un po’ in giro, in Afghanistan e Iraq per le guerre, in Francia per le rivolte nelle banlieues, in America per Obama e per Trump. È stato anche molto in redazione davanti al computer, fino a dirigere gli esteri del Tg2. Ha scritto i libri “il cane Patàn e altre storie” “Banlieues i giorni di Parigi” e “Lettere che non sapevano dove andare”. Nell’ultimo anno ha realizzato con Francesco Paolucci e Maurizio Maggiani il documentario “L’uomo più buono del mondo - la leggenda di Carlo Tresca”. Vive tra Roma quando deve, Sulmona, dove è nato, e Capalbio, perché lì trova finalmente il tempo di leggere e qualche volta di scrivere, con calma

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