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La guerra a Gaza: una questione di cultura (e religione)

Irrisolto il dilemma sul futuro della Striscia. Timori arabi per la 'cacciata' dei palestinesi

Eric SalernobyEric Salerno
Hamas, a Gaza nuovo bilancio di 17.487 morti

Palestinians attend the funeral of members of the Siam family killed following Israeli air strikes in Khan Younis town, southern Gaza Strip on, 22 November 2023 ANSA/EPA/MOHAMMED SABER

Time: 4 mins read

Cultura e religione, religione e cultura. Due degli ingredienti fondamentali dello scontro in atto in Medio Oriente. Un movimento fondamentalista islamico – Hamas – da una parte, uno stato formalmente laico dall’altra ma con una destra religiosa estremista da sempre e votata a realizzare uno stato sionista quanto meno su tutta la Palestina mandataria, ossia quel territorio che va dal Mediterraneo al fiume Giordano. Il presente, oggi, era scritto dall’inizio; il futuro probabilmente anche se i progetti degli attori di oggi, spesso gli stessi o gli eredi di quelli del passato, andranno avanti.

Il premier israeliano, che deve rispondere di fronte alla giustizia per una serie di reati di corruzione di cui è accusato, può essere considerato il più visibile, attivo e coerente legame con le teorie sioniste più radicali, di destra, del passato. Benjamin Netanyahu è figlio di Benzion Netanyahu, storico e assistente del leader dell’ala estremista del movimento sionista: Vladimir Jabotinsky. Come lui, Benzion credeva nel Grande Israele. E “Bibi”, come era noto il premier, non ha mai nascosto il suo desiderio di realizzare un’Israele più grande: come i politici prima di lui (di destra e di sinistra) ha sempre rifiutato di fissare sulla carta geografica del Vicino Oriente le frontiere dello stato nato 75 anni fa.

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu attends the weekly cabinet meeting at the prime minister’s office in Jerusalem, 10 December 2023. ANSA/EPA/RONEN ZVULUN / POOL

Quando fu pubblicato il Piano di spartizione della Palestina delle Nazioni Unite (29 novembre 1947), Netanyahu padre si unì a numerosi altri sionisti che firmarono una petizione contro il progetto. E contro il piano si mosse anche una parte molto attiva dell’ala militare delle forse armate ebraiche. Il Memorandum che l’Irgun Zwai Leumi inviò alla Commissione speciale dell’Onu per la Palestina è un documento che andrebbe letto per capire perché secondo molti osservatori – anche tra gli ebrei sionisti della diaspora e tra gli stessi israeliani –  i massicci bombardamenti di Gaza sono solo l’inizio di una operazione che potrebbe finire con una nuova, finale, cacciata dei palestinesi dalle loro terre.

Netanyahu padre, va detto, era fortemente favorevole all’idea del trasferimento degli arabi fuori dalla Palestina. Secondo lui “la stragrande maggioranza degli arabi israeliani sceglierebbe di sterminarci se avessero la possibilità di farlo”. Nel 2009, tre anni prima di morire, intervistato dal quotidiano Maariv, affermò caustico: “La tendenza al conflitto è l’essenza dell’arabo. È un nemico per essenza. La sua personalità non gli permetterà di scendere a compromessi. Non importa quale tipo di resistenza incontrerà, quale prezzo che pagherà. La sua esistenza è una guerra perpetua.”

La guerra, a Gaza, andrà avanti almeno fino gennaio, scrivono in molti, convinti che le pubbliche pressioni (molto lievi, quasi inesistenti) americane e europei riusciranno a convincere Israele ad accettare una nuova tregua. Per altri le parole di Netanyahu e del suo ministro della difesa vanno analizzate per capire che il progetto dei militari di Tel Aviv andrà avanti per molto tempo ancora. Almeno un anno, dicono gli uomini in divisa, forse di più. Con quale obiettivo finale? La Casa Bianca chiede moderazioni e ripete giorno dopo giorno la sua contrarietà all’eventuale “spostamento forzato” degli abitanti di Gaza oltre i confini della striscia. Ossia, niente “pulizia etnica”. Suona male. La parola chiave, sottolineano in molti, è “forzata”. Se fosse volontaria, la fuga-cacciata andrebbe bene a Biden. Anche alcuni paesi europei e forse arabi sarebbero disposti a finanziare grandi campi-città profughi nel Sinai egiziano. O in giro per il mondo. Tanto, assecondando Netanyahu e i suoi sostenitori, le guerre hanno sempre provocato ondate di popolazioni che la comunità internazionale, o una parte di essa, ha sempre accolto.

A member of the Red Cross looks on from inside a bus carrying released Palestinian prisoners from the Ofer Israeli military prison as it arrives in Ramallah, West Bank, 01 December 2023 ANSA/EPA/ALAA BADARNEH

Alle voci sempre più diffuse di una possibile cacciata dei palestinesi di Gaza, Diaa Rashwan, capo del Servizio di informazione di Stato del Cairo, ha detto che l’Egitto non permetterebbe mai lo svuotamento della Striscia di Gaza dei suoi residenti, Oggi la campagna militare di Israele li spinge sempre più a sud verso il confine con la penisola egiziana del Sinai. Secondo lei, l’Egitto crede che le operazioni di Israele nella Cisgiordania occupata da Israele mirano a costringere i palestinesi a fuggire verso la Giordania. Da Amman è stato chiarito che un’operazione del genere significherebbe l’immediata fine degli accordi di pace firmati tra i due stati. Il regno reagirebbe anche con le armi per difendere i propri confini.

Nelle ultime settimane sono aumentati gli attacchi dei coloni israeliani contro la popolazione civile palestinese della Cisgiordania. L’attività degli estremisti è stata stigmatizzata dagli Usa e da numerosi paesi europei che hanno imposto restrizioni di viaggio ai coloni più radicali. Identificarli, però, non sarà facile: continuano a godere della protezione degli esponenti del governo Netanyahu; raramente vengono trattenuti dalla polizia o denunciati. Le colonie si allargano; a Gerusalemme gli spazi controllati dalla destra ebraica aumentano. Il vice sindaco di Gerusalemme, Aryeh King, ha commentato la foto pubblicata in questi giorni sui siti israeliani dei prigionieri palestinesi nudi, tenuti in una zona desertica a Gaza sotto la sorveglianza di soldati armati: “Bisogna seppellirli vivi. Se fosse dipeso da me avrei inviato i bulldozer, li avrei messi dietro cumuli di terra e avrei dato l’ordine di coprire tutte queste centinaia di formiche ancora vive”. Per l’esponente dell’estrema destra israeliana, i palestinesi e gli arabi in generale, “non sono esseri umani e non sono neanche animali umani, sono dei subumani e vanno trattati di conseguenza”.

E a proposito di “obiettivi militari”, si sta riscaldando la linea della frontiera nord d’Israele e il ministro della difesa israeliano si sarebbe impegnato a spingere le milizie sciite di Hezbollah oltre il fiume Litani nel sud del Libano aggiungendo che fino a quando Hezbollah non sarà spinto oltre il Litani, i residenti evacuati dalla linea di conflitto non torneranno alle loro case.

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Eric Salerno

Eric Salerno

Giornalista ed esperto di questioni africane e mediorientali, è stato corrispondente de 'Il Messaggero' da Gerusalemme per quasi trent'anni.

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