Il titolo di testa, sul Sudan Tribune, non riguardava l’orrenda operazione militare di Hamas contro Israele il 7 ottobre. E nemmeno un accenno alla probabilità che i militari di Tel Aviv riprenderanno il massiccio bombardamento della striscia di Gaza che ha già causato migliaia di morti e feriti e centinaia di migliaia di senzatetto. Nemmeno una riga sugli ostaggi rilasciati o sui nuovi morti, o sulle devastazioni. Notizie, immagini che continuano a riempire i nostri giornali, radio, televisioni; gli intensi dibattiti o risse sul piccolo schermo.
Sul quotidiano di Khartoum, il 27 novembre 2023, due giorni fa, si leggeva: “Circa 7.600 bambini in Sudan fuggono ogni giorno dalle loro case, sette mesi dopo lo scoppio del conflitto nel Paese, secondo un’analisi di un’agenzia umanitaria. Il conflitto, ha affermato Save the Children, ha causato lo sfollamento di un ottavo dei bambini nel Sudan devastato dalla guerra. Secondo l’agenzia, dozzine di bambini sfollati hanno cercato cure urgenti a causa delle orribili violenze sessuali, delle ferite che hanno cambiato la loro vita e del grave disagio psicologico dovuto alla guerra”.
Nel 1971 andai per la prima volta in Sudan. Il Paese più grande dell’Africa, forse il più interessante del “continente nero”, era allora devastato da una guerra civile. Il Sud, animista-cristiano, si voleva staccare dal Nord, musulmano. Visitai i campi di battaglia intorno a Juba, parlai con i missionari comboniani che dai tempi coloniali erano ben radicati; ascoltai dalla voce del nunzio apostolico come la Caritas era molto presente su un territorio dove, scoprì, i francesi avevano appena scoperto un importante giacimento di petrolio, distante, purtroppo, dalle rive del mare; vidi gli istruttori militari del Mossad che spiegavano ai giovani neri del sud come dovevano essere usate le armi appena consegnate per colpire gli arabi del nord e indebolire il mondo musulmano all’epoca abbastanza coeso nella sua lotta contro Israele.

Oggi Israele è un alleato di Khartoum (Sudan). Il Paese, ufficialmente diviso dal Sud Sudan, è sconvolto da numerosi conflitti inter-etnici. Ma nessuno, in Italia sembra interessato alle parole dell’organizzazione internazionale Save the Children: “Il Sudan è attualmente in atto la più grande crisi di sfollamento infantile del mondo, con 3 milioni di bambini su una popolazione di circa 23 milioni di bambini, fuggiti dalla violenza da metà aprile 2023 per cercare rifugio in campi, scuole, centri per sfollati o in case affollate con parenti.
“Stiamo assistendo a livelli di violenza abominevoli. Le violazioni dei diritti umani sono gravi, diffuse e continue, eppure la crisi viene completamente ignorata. Prevale un clima di impunità. I bambini sono costretti a fuggire, a volte nel cuore della notte, per raggiungere luoghi di raccolta affollati, dove le malattie infettive possono diffondersi facilmente”, ha affermato Arif Noor, direttore di Save the Children in Sudan. Ha aggiunto: “Nonostante l’entità dei bisogni, non c’è la necessaria attenzione politica e finanziaria. Il Piano di Risposta Umanitaria (HRP) deve ancora essere finanziato per un terzo. Questo nonostante il Sudan abbia quasi 25 milioni di persone che hanno un disperato bisogno di beni di prima necessità: cibo, alloggio, protezione.”
Rainews raccontava ieri che Il cessate il fuoco nella minuscola striscia sulle rive del Mediterraneo ha consentito di aumentare la quantità di aiuti consegnati a Gaza da 160 a 200 camion al giorno, ma, faceva notare si tratta di meno della metà di ciò che veniva importato prima dei combattimenti, anche se i bisogni sono aumentati vertiginosamente. Il Papa ieri ha rinnovato il suo appello per il proseguimento della tregua in corso “affinché siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia ancora consentito l’accesso ai necessari aiuti umanitari”, aggiungendo: “…manca l’acqua, manca il pane, la gente soffre. È la gente semplice, la gente del popolo che soffre: non soffrono quelli che fanno la guerra. Chiediamo la pace”.
Basta sfiorare le pagine dei maggiori quotidiani americani e israeliani, arabi e cinesi, europei per capire che la “pace” nel mondo è ancora molto lontana. Del Sudan e delle sofferenze della sua popolazione nemmeno un accenno. In Medio Oriente la guerra contro Hamas potrebbe messa in pausa. Si parla, infatti di “cessate il fuoco permanente” con il rilascio a rilento di tutti gli ostaggi e di molti prigionieri palestinesi. Netanyahu nega ma la Casa Bianca ha bisogno di calma in questi mesi pre-elettorali e chiede a Tel Aviv di evitare nuovi massacri e devastazioni. Una pausa, però, significherebbe la sopravvivenza di Hamas e dei suoi fanatici e probabilmente anche la sopravvivenza del governo Netanyahu e dei suoi fanatici. Tutti In attesa di un’altra strage come quella di ottobre, la ripresa del conflitto armato e verosimilmente l’apertura di un nuovo fronte in Cisgiordania dove i coloni israeliani più fanatici già oggi minacciano di spingere la popolazione palestinese oltre il fiume Giordano.