“Ricordo che uno studente entrò e parlò con il mio insegnante di fisica – il signor Crean, ricordo ancora il suo nome. Si girò verso di noi e disse: ‘Ho una notizia terribile’, e ci svelò tutto. E poi ci mandarono tutti a casa”.
Rob Reiner – il regista newyorkese autore di film cult come Harry, ti presento Sally… e Misery non deve morire – se la ricorda bene quella mattina del 22 novembre 1963. E come lui milioni di americani ultrasessantenni. Perché quel giorno, a Dallas, si scriveva uno dei capitoli più tragici e misteriosi della storia americana: un ignoto appostato in un edificio vicino trafiggeva fatalmente il collo del presidente John Fitzgerald Kennedy, davanti agli occhi increduli della first lady Jacqueline.
Una tragedia sulla quale sin da allora si sono scritti fiumi d’inchiostro, più o meno improntati al complotto: da chi parla di un coinvolgimento delle Cinque Famiglie mafiose a quanti ipotizzano addirittura un inside job. Il destino stesso è stato piuttosto beffardo, dato che nelle prime ore del mattino era caduta un po’ di pioggia e l’idea originaria della scorta era quella di montare una protezione (anti-proiettile) di plexiglass che proteggesse la first couple. Poco prima dell’inizio del corteo, tuttavia, il tempo si era fatto improvvisamente soleggiato e persino caldo per l’autunno. E così, alle 12.30, tutto fu propizio affinché partisse il colpo (o i colpi) che uccisero il 35° presidente degli Stati Uniti e ferirono gravemente il governatore del Texas John Connally.
In quel periodo Reiner – che all’epoca di anni ne aveva 16 – frequentava la Beverly Hills High School. Pur essendo nato nel Bronx, infatti, il cineasta si era trasferito con la famiglia in California per agevolare le carriere del padre Carl e della madre Estelle (entrambi attori).
Come gran parte degli americani, Reiner seguì l’accavallarsi degli eventi in televisione: dall’insediamento del vicepresidente Lyndon B. Johnson alle lacrime di Jackie Kennedy, fino all’assassinio choc in diretta TV del principale sospettato, Lee Harvey Oswald, da parte del proprietario di un nightclub di Dallas.
E, come il resto d’America, si iniziò presto a porre il fatidico interrogativo: chi ha realmente ucciso JFK? “Certamente non pensavo a nulla di diverso da ciò che il governo mi diceva essere vero”, ha detto Reiner in una recente videochiamata. “Finché non è uscito il rapporto della Commissione Warren e la gente ha iniziato a trovarci dei difetti. Dicendo che forse questa non è la vera storia”, sostiene il regista, riferendosi al report ufficiale che nel settembre 1964 concluse che Lee Harvey Oswald era l’unico responsabile dell’omicidio di Kennedy.
Ebbene, più di mezzo secolo dopo, il regista si dice convinto di aver trovato finalmente una quadra – e che i risultati di anni di indagine amatoriale verranno svelati nel suo nuovo podcast in 10 episodi “Who Killed JFK?” di iHeartPodcasts – in collaborazione con la giornalista Soledad O’Brien.
“È importante che la gente sappia la verità su ciò che è successo”, dice Reiner. “Perché ora siamo in un periodo strano nel nostro Paese in cui la disinformazione vola via. È difficile capire la verità. Siamo più divisi che mai”. “Per me la democrazia si trova in una situazione davvero difficile”, afferma. “E se vuole sopravvivere, deve basarsi sulla verità. Tutte queste cose mi hanno spinto a fare questa cosa”.

Gli intrighi politici hanno suscitato da sempre la curiosità artistica di Reiner. Ne sono un esempio le questioni militari in Codice d’onore, il movimento per i diritti civili in L’agguato – Ghosts from the Past e le relazioni tra politica, giornalismo e guerra in Attacco alla verità – Shock and Awe. Nello specifico, Reiner ha affrontato da vicino l’assassinio di Kennedy nel biopic del 2016 LBJ, con un magistrale Woody Harrelson ad interpretare Johnson.
Qualche anno dopo, quando Reiner e la moglie Michelle hanno iniziato ad appassionarsi ai podcast, ai due è venuta l’idea di tornare sull’argomento FK. “È qualcosa che seguo da 60 anni, ogni volta che salta fuori qualcosa di nuovo. E quello che volevo fare era cercare di trovare un modo per mettere tutto in un unico posto, perché quando escono nuove rivelazioni, la gente le sente, la stampa le sente, e tutti fanno: ‘Oh!’ Ma non le contestualizzano con tutto il resto. È come un piccolo pezzo del puzzle che viene fuori, e se non lo si segue da vicino non si può sapere che aspetto avesse quel puzzle”.
Quanto alla fatidica domanda – chi ha ucciso Kennedy – Reiner si rifiuta di fare quello che in gergo si chiama spoiler. Anche se fa trapelare qualche indizio: “Sono molto fiducioso sulla parte cospirativa, su questo sono sicuro al 100%”. “Facciamo i nomi di chi ha sparato; diamo un nome alle posizioni in cui si trovavano i tiratori. Alcuni dicono che erano in quattro, altri dicono che erano in cinque, e io sto ancora lottando su questo punto. Ma in base alla scientifica, sappiamo che erano quattro”.
E ancora: “Nel podcast diciamo con certezza che c’era qualcuno al sesto piano e che c’erano delle persone, c’era qualcuno, che sparava dal sesto piano”, dice Reiner. Che lascia tutti con una domanda in sospeso: “Perché il primo colpo è stato mancato?”. E a chi era rivolto?